VALENTINA SORTE | La IX edizione di IF, il Festival Internazionale di Immagine e Figura organizzato dal Teatro del Buratto, ha ospitato dal 22 al 24 gennaio un piccolo gioiello firmato da Luca Scarlini e diretto da Luca Veggetti: Non essere, una tentazione.
Si tratta di uno studio sul Dottor Faustus di Marlowe, una riscrittura molto libera e coraggiosa del testo originale, “La tragica storia del Dottor Faust” appunto. Luca Scarlini torna all’Ur-Faust e se ne riappropria, condensando la mai-conclusa e la mai-appagata ricerca esistenziale del protagonista (una Sehnsucht ante litteram) in dieci quadri, dieci monologhi interiori che raccontano un Io profondamente diviso e frammentato. Per l’esattezza: Uno studio in rosso; Scrivo, dunque sono? Specchio; Desiderabile; Invocazione; Ritirata strategica; Tentativo di ribellione; Prove di afasia; Canto della resa incondizionata e del silenzio prolungato; Acromo, felice.
Con un’intuizione molto buona Luca Veggetti riesce a intercettare il mondo interiore di Faust e a inserirsi – sviluppandola – nella scia aperta da Scarlini. Se infatti sulla carta, Faust, tutto preso nel suo arrovellamento interiore, si muove e si dimena come una marionetta che, pur vedendo i propri fili, non riesce in realtà a disfarsene, in scena Faust si fa vera e propria Marionetta. E quella creata da Moe Yoshida è di rara bellezza. È una silhouette antropomorfa, la figura stilizzata di un uomo, a grandezza quasi naturale : tanto semplice e leggera nelle linee quanto elaborata e solida in alcune parti, la spina dorsale fra tutte. Ogni anello della colonna vertebrale è infatti rivestito da profili umani che la irrobustiscono e che sono la traduzione “materica” dei mille fantasmi che abitano Faust. La testa al contrario è sottoposta ad un’operazione di svuotamento e alleggerimento (nonostante il carattere fortemente celebrale di questa creatura). A suggerirla basta il suo profilo e due piume al posto delle palpebre. SuperMarionetta? O meglio Ur-Marionetta? La riflessione rimane ancora aperta. Il teatro di figura non sembra essere per Non essere, una tentazione uno dei linguaggi o delle “semiotiche” possibili, ma LA sua vera e propria deissi.
Non solo durante tutto lo spettacolo la figura di Faust è manovrata a vista da una danzatrice (un’ottima Stefania Tansini), grazie ad una struttura flessibile di lunghe bacchette che consentono un movimento simbiotico tra i due corpi, ma ad un certo punto, un passo a tre tra la marionetta, la danzatrice/manovratrice, e Luca Veggetti – presente in scena nella doppia veste di coreografo e servo di scena – trasforma e infittisce la dicotomia agente/agito, rendendola più complessa – poiché trina – e autentica cifra drammaturgica del lavoro. La Tansini da manovratrice diventa a sua volta manovrata, e Faust di riflesso un’estensione mobile e intima di un’altra estensione. Agito dall’agito. A muove B che muove C. Da qui, A muove C. La matematica tramite la danza diventa poesia.
E’ sicuramente un lavoro costruito su un forte equilibrio espressivo, in cui cioè ogni elemento è strettamente legato all’altro: danza, movimento, oggetti scenici, corpi scenici, luci, testo, parola, musica e paesaggio sonoro. Ogni dettaglio è estremamente curato e necessario all’interno della creazione. Ne sono una dimostrazione l’attento disegno luci – capace di guidare lo sguardo e suggerire chiavi di lettura – ma ancora di più il progetto sonoro di Paolo Aralla, sia per quanto riguarda i brani di accompagnamento ai dieci quadri (ad esempio la riproduzione di soffi o rantoli elettronici, ricavati da flauti baritono) che per la captazione sonora dello spazio scenico. Al centro del Teatro Verdi un’enorme pedana, inclinata e mobile, grazie a un sistema di microfoni amplifica ogni movimento dei performer. Altra estensione, questa volta sonora, del percorso esistenziale del protagonista.
Lo spettacolo presenta ancora dei margini di miglioramento (primo fra tutti lo snellimento del testo) ma si dimostra una prova riuscitissima. Lontana certo dal memorabile allestimento di Trionfo/Salveti “Faust Marlowe Burlesque” con Carmelo Bene e Franco Branciaroli nel 1976, ma altrettanto apripista. “Faust Marlowe Marionette”? Potrebbe darsi