ROSSELLA BATTISTI | Anghiari Dance Hub: nel nome un groviglio di sensi, tutti stimolanti, per questa nuova avventura nel mondo della danza. Non una (semplice) residenza coreografica, non solo promozione di giovani autori, semmai potremmo pensarlo come percorso iniziatico, che intercetta i germogli diuna creazione e ne sostiene la crescita. Torniamo al nome. Anghiari, perché è qui in questo meraviglioso paese, nella ruvida bellezza della Toscana più interna, che sono stati accolti i cinque vincitori di un bando pubblico: Francesco Michele Laterza, Salvo Lombardo, Tommaso Monza, Mosè Risaliti, Giovanna Rovedo. E Dance Hub perché gli animatori del Centro di Promozione della Danza di Anghiari lo hanno trasformato in snodo, come l’hub di una rete che smista dati. Il punto focale di una serie di incontri e di scambi di esperienze.
Le regole del gioco sono semplici: scegliere artisti esordienti e proporre loro di creare lavori su misura di un altro da sé oppure per più di un danzatore. Premessa che mette subito da parte lo spettro dell’assolo asfittico (un po’ come il monologo a teatro dell’attore/autore) ormai abusatissimo e riporta al centro dellacreazione la necessità di una complessità di trame. Evviva. Ma si va oltre, previdentemente, affiancando ai giovani artisti al lavoro un team di tutori esperti. Luigi Ceccarelli a illustrare le interazioni tra musica e danza, Gianni Staropoli per il disegno luci, Enzo Cosimi sulla composizione coreografica, Guy Cools sulla drammaturgia della danza, Elena Lamberti sulla promozione (è il mercato, bellezze, e non si può più fare a meno di conoscerne i parametri) e Andres Morte col suo carico di esperienza come direttore artistico e grande visionario di eventi d’arte.
Basterebbero queste premesse a fare di Anghiari Dance Hub un centro propulsore di giovani promesse d’autore, ma il passo in più è quel primo movimento, la mise en espace davanti a un pubblico scelto di addetti ai lavori seguito da una mattinata di discussioni sull’opera in divenire.
E’ qui che Anghiari Dance Hub coglie l’attimo mutante, l’arte come processo collettivo, come osmosi di riflessioni e sensibilità. Fuori dal segreto degli studi (più spesso cantine) dove l’artista mescola da solo le sue pozioni. Le coreografie ancora germinali vengono focalizzate, circondate da uno sguardo circolare che ne suggerisce tridimensionalità e spessore. L’artista porge, lo spettatore professionista riceve e ricambia. In un rapporto rigenerante per quello che sarà il risultato definitivo. Se questa non è la dimensione dello spettacolo 2.0 poco ci manca…