VALENTINA SORTE | “Vite senza fine”, “Teste calde” e “Lumi dall’alto”. Sono questi i tre spettacoli che compongono la trilogia Teatro sopra la città che Gigio Brunello ha dedicato alla città di Mestre e che il Teatro Verdi ha ospitato dal 18 al 20 febbraio all’interno di IF, il Festival internazionale del Teatro di Immagine e di Figura.
Via Pastrengo aveva già accolto nel novembre del 2010 uno dei capolavori dell’artista veneto, “Macbeth all’improvviso”, ma quest’anno il teatro ha deciso di dedicargli una vera e propria personale, accompagnando a ognuno dei tre appuntamenti della trilogia la proiezione di “L’anima delle cose”, una video-intervista curata da Andrea Bernasconi e Mario Bianchi a questo grande maestro burattinaio e al suo particolare percorso artistico nel teatro di figura, ma non solo.
I tre spettacoli, presentati nel loro ordine di creazione e non secondo la successione dell’ambientazione storica, formano un trittico sulla città che cambia e si trasforma nel tempo: dalla Mestre operaia di “Vite senza fine” a quella risorgimentale di “Teste calde”, fino alla Mestre di oggi di “Lumi dall’alto”. Il risultato è una narrazione molto vivace e stratificata, generosa di storie e di vite, in cui il particolare e il dettaglio si inseriscono senza rotture o forzature in un quadro più universale: un enorme arazzo umano.
E come Ariosto imbastiva i fili e i destini furiosi dei suoi personaggi, interrompendo e riprendendo ininterrottamente le loro vicende, così Gigio Brunello in scena si fa a sua volta maestro dell’entrelacement “alla nuova maniera”, muovendo cioè fisicamente i suoi personaggi-sculture sulla scena secondo infiniti intrecci e salti, dandoci ora un assaggio dell’uno ora un assaggio dell’altro e di un altro ancora, e così via per poi ritornare al primo, carico e carichi di tutti gli altri microcosmi, di tutte le altre vite. Insomma un’affabulazione poetica e allo stesso tempo materica, concreta, artigiana, dove la drammaturgia lascia il giusto spazio al gioco.
Non stupisce allora vedere da una parte Ginco e Kira, i protagonisti di Lumi dall’alto, sollevarsi e sorvolare il bosco di Bissuola in groppa al cavallo C’est la vie (mentre resta visibile il meccanismo che permette all’animale di sospendersi in alto) e dall’altra parte assistere in più di un’occasione alla trasformazione di Brunello in una specie di oggetto scenico, o meglio, in una protesi scenica. La prima volta, sempre in Lumi dall’alto, quando l’artista indossa lo stesso sacchetto di cellophane in cui sono avvolti Kira e il fratello per proteggersi dall’acqua e si adagia piano piano sul tavolo, per trasformarsi nel gommone su cui viaggiano; un’altra volta invece, quando Kira rifiuta di sposare un ricco cugino del Canada perché innamorata di Ginco e accende un forte litigio col padre, Brunello trova una bellissima soluzione scenica per tradurre la rabbia e le grida del padre all’interno delle mura domestiche. All’inizio battendo con forza la casa sul tavolo e alla fine infilando la testa dentro la casa, urlando e borbottando verso Kira.
Dall’elegante volo degli sposi “alla Chagall” alla ricostruzione più “popolare” del quartiere operario di Mestre, con le sue case, la chiesa, la piazza, il filare di pioppi e i suoi abitanti (in “Vite senza fine”), è soprattutto la componente visiva ad affascinare e a guidare l’occhio dello spettatore. Sia per quanto riguarda l’ambientazione di ogni singolo spettacolo, che per quella delle singole sequenze di cui si compone, ma soprattutto per la bellezza delle sculture create da Brunello, veri e propri oggetti d’arte.
L’elemento che colpisce di più, in questi tre capitoli molto diversi fra loro, è proprio la capacità dell’artista veneto di narrare e condividere la vicenda insieme alle sue creature, che nonostante la loro immobilità e la loro staticità, riescono in ragione di questo dialogo continuo con il loro burattinaio, a diventare personaggi in carne ed ossa.