MATTEO BRIGHENTI | Camminare apre il passo al mondo. In Gianni Caroline Baglioni cammina suo zio maniaco-depressivo. Da un piede all’atro, da una scarpa col tacco a un mocassino, è un incedere per tentativi che esplora una voce fissata per sempre su tre cassette. Disequilibrio più che armonia, inquietudini e sconfitte quotidiane. Una ricerca dei passi familiari perduti che è inciampo di salute e malattia, amore e vuoto, nutriti di ciò che Gianni ha visto e sentito, tra tanti uomini e poche, pochissime donne. Il lavoro, anche scritto e diretto dalla giovane attrice diplomata al Centro Universitario Teatrale di Perugia, e prodotto da La Società dello Spettacolo, ha vinto il Premio Scenario per Ustica 2015.
Caroline Baglioni, in lungo abito violaceo, sorge dal buio fitto con in braccio un cumulo di scarpe: stringe le strade che lei e suo zio hanno percorso separati e distanti e che ora diventano una comune, il palcoscenico. Tutte hanno una storia da raccontare, seduzioni, intimidazioni, sottomissioni, provocazioni, e rivelano la grammatica di un’appartenenza sociale fatta di asimmetrie, contrasti, divisioni. Quelle scarpe sono un incantesimo per far muovere il fantasma del loro proprietario, suggerendone inevitabilmente l’assenza.
Il mucchio viene lasciato sulla sinistra del palco e diventa, di volta in volta, esercito schierato, rettangolo magico, e infine la Stairway to heaven per il drammatico riscatto di Gianni da una vita che l’ha sedotto e abbandonato (la canzone dei Led Zeppelin è una delle prime che risuonano in scena); a destra c’è la casa in cui Gianni si registra, un ritaglio immaginario, perché il tavolino con sopra il posacenere, la televisione, la finestra, il soggiorno, il corridoio, la camere, sono spazi delimitati per terra con pezzi di scotch di carta bianco, e neanche il registratore c’è, è solo un puntino illuminato di rosso.
Sono “due ambiti scenici che si rivelano anche esistenziali”, com’è scritto nella motivazione del Premio Scenario. Una stanza tutta per sé e una stanza tutta per lui: da una parte Caroline Baglioni si cambia di scarpe e (se lo) racconta, dall’altra rievoca lo zio, ai piedi calza una scarpa da uomo e una da donna, il volto è una luna calante, porta la schiena in avanti, tiene una mano su un fianco come a spingere e insieme frenare il bacino (e il sesso), mentre con l’altra mima una sigaretta che non si esaurisce mai. “La mia vita è un cerchio che non riesco a spezzare” dice Baglioni con voce che imita un impasto di perugino, nicotina, psicofarmaci, e anni che avanzano.
La luce mette a fuoco tutta la scena, nulla deve essere tenuto nascosto, e spesso piove di taglio, come un’occhiata o una lacrima di Gianni sul viso di Caroline. Soltanto il primo incontro con l’ospedale è avvolto nell’oscurità e nel pudore. E lo spazio in cui volerà con il Major Tom di David Bowie sarà un occhio di bue blu notte di quelle che la lotta contro la solitudine è stata così forte e dura che la polvere del bancone risplende come polvere di stelle.
Un desiderio, una boccata di sigaretta, una gioia, un’altra boccata, una tristezza, un’altra boccata ancora. Stop. Nuova registrazione. Parlare al registratore per Gianni doveva essere un modo diverso di fumare, e fumare di respirare. ‘Doveva’ perché Caroline Baglioni non spiega il motivo dei nastri, né dicendolo, né agendolo, forse non se l’è domandato o se l’ha fatto le risposte non sono poi entrate nella costruzione di Gianni sulla scena. Il non dire non pare, dunque, una scelta drammaturgica per consegnare la vicenda, ad esempio, alla libera interpretazione o immedesimazione del pubblico, quanto una mancanza, un inciampo, il passo falso di un cammino che non arriva mai a farsi strada, viaggio e quindi meta da raggiungere.
“Colpisce la trasformazione di un materiale biografico intimo e drammatico in un percorso personale di ricerca performativa”. Comincia così la motivazione del Premio Scenario. Gianni è ‘personale’ perché riguarda la persona Caroline Baglioni, la sua biografia, non altrettanto come espressione del suo punto di vista, che è demandato soprattutto alle musiche, e ad alcuni momenti di teatro danza, quando le parole, anche quelle di Gianni, non bastano a dire l’indicibile dello zio. Non ci dice cosa ha provato nel ritrovare le cassette o nell’ascoltarle, non sappiamo come ha vissuto i 10 anni che separano il primo ascolto dallo spettacolo, non ci fa ‘vedere’, soprattutto, la realtà di Gianni per come se la può essere immaginata attraverso i nastri. Amore assurdo di Morgan, Green Eyes dei Coldplay, Voglio una pelle splendida degli Afterhours e poi Enzo Avitabile, Nick Cave, Sergio Caputo, Louis Armstrong, Venditti, Battisti, Renato Zero, i già ricordati Led Zeppelin e Bowie: sono loro che dischiudono alla percezione la complessità e contraddittorietà della vita tra uno stop del registratore e l’altro.
In scena, perciò, la nipote fornisce le date e i dati minimi ad articolare la narrazione, mentre l’attrice indossa una postura e una voce che, alla lunga, risultano una maschera astratta, una caricatura dello zio. Gianni poteva essere il nuovo Ultimo nastro di Krapp, a cui proprio i giurati di Scenario lo paragonano, con in più il doppio salto mortale della verità familiare e dell’ascolto dei nastri non da parte del loro autore, e invece, per parafrasare Vladimiro di Aspettando Godot, Caroline Baglioni si è concentrata sulle scarpe quando il cammino è dei piedi. Quei piedi scalzi, nudi, su cui prende gli applausi, meritati per la forza di un coraggio comunque esemplare.
Gianni
di e con Caroline Baglioni
supervisione alla regia Michelangelo Bellani c.l. Grugher
assistente alla regia Nicol Martini
luci Gianni Staropoli
organizzazione Mariella Nanni
produzione La Società dello Spettacolo
si ringrazia Stefano Romagnoli e Alexandro, Rose, Alfonso, Leonardo, Benedetta, Marisa della famiglia Baglioni per il sostegno e la collaborazione
Visto giovedì 31 marzo al Teatro Cantiere Florida, Firenze, nell’ultimo appuntamento della rassegna “Materia Prima”.