ESTER FORMATO | La collocazione site specific dello spettacolo “Mare Mater” ha una valenza duplice e tale peculiarità diviene – al primo impatto –  componente essenziale della natura e della teatralità dello stesso.

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L’area della Marina Militare che ingloba anche il Bacino Borbonico del Molo San Vincenzo, col suo bacino d’acqua, gli ormeggi e le imbarcazioni militari ancorate alle piattaforma, è lo speciale palcoscenico che ha ospitato, in occasione del Napoli Teatro Festival, il lavoro scritto e diretto da Alfonso Postiglione e Fabio Crocifoglia, facendo convergere alla perfezione l’ambientazione teatrale e quella storica, realissima di quella che fu la Nave Caracciolo e, dunque,  la vicenda individuale di Giulia Civita Franceschi (interpretata da Manuela Mandracchia). Perché proprio lì, dove eravamo ad assistere allo spettacolo, immersi in uno scorcio inedito ai molti della Napoli portuale, fu ormeggiata la nave-scuola che dal 1913 al 1928 accolse più di settecento “monelli” napoletani allo scopo di dar loro istruzione e formazione ai mestieri.

Chi è Giulia Civita Franceschi (1870-1957) forse ancora pochi lo sanno, ed è una vera falla della memoria collettiva perché, definita la “Montessori del Mare”, fu madre ed educatrice di centinaia di “scugnizzi” di strada, orfani dediti all’elemosina o ai furti  e che ella – ottenuta la direzione della Nave Caracciolo – raccolse e accudì secondo un metodo pedagogico puerocentrico; tale approccio partiva da un’osservazione costante del fanciullo nel nuovo spazio e continuava con un progressivo sviluppo delle relative inclinazioni naturali con le quali il bambino poteva identificarsi e acquisire autonomia e significato all’interno della società e costruire, così, costantemente una propria autobiografia che successivamente imparava a mettere su carta, come un’autentica terapia.

La regia e la drammaturgia di “Mare Mater” prediligono un taglio intimistico della vicenda; si rievoca la nave (la scuola fu chiusa nel 1928 a causa dell’obbligatorietà di conformazione all’educazione fascista)  che era in quello stesso bacino, ora contigua parte dell’assito naturale e dal quale con una barca a remi – a mo’ di “Inferi della memoria” – giungono i due ex caracciolini che innescano il susseguirsi dei ricordi ed il padre Emilio che sollecitò l’attività pedagogica della figlia, assumendola sin da ragazzina come educatrice nel suo laboratorio d’ebanista e scultore. Un “tornare indietro” – è questo l’adynaton che si traduce nell’enucleazione drammatica dei punti essenziali ed intensi dell’esperienza della donna  –  che inizia con la banda dei ragazzi dell’Associazione Life-Scugnizzi a Vela che, impersonando i tanti ragazzini della Nave, “scorrono” dinanzi ai nostri occhi sotto una luce bluastra, scatto fotografico, fusione del passato e del presente.

Di sottofondo delle musiche accompagnano la rappresentazione, suggestioni sonore – echi bambineschi rimbombano nel bacino a sciorinare alcuni dei nomi dei ragazzi – acuiscono la natura introspettiva della storia il cui rammentare è vissuto come parto maieutico giacché uno dei due ex caracciolini rifiuta di ricordare i suoi anni nella Nave e dal suo  faticoso riconoscersi traluce la condizione vessatoria di chi, secondo un determinismo sociale ancora vigente in una città come Napoli, è  stato (o ha continuato ad essere senza possibilità di redenzione) “scugnizzo”, plebaglia informe e viziosa.

Nel complesso, allora, la vicenda della Civita Franceschi si concreta in “Mare Mater” come un’estrapolazione lirica – non scevra di contorni tipicamente indigeni, come i canti – cesellata dagli episodi presenti nel grande archivio fotografico e documentario tuttora esposto al Museo del Mare, che ne plasmano la drammaturgia in cui emblemi cruciali quali la storia di Pinocchio, la polisemica figura del Mare vengono interiorizzati dalla protagonista per riconoscere ancora una volta, le più profonde ragioni di un’educazione definita semplicemente “del cuore”.

Del site specific che probabilmente in questo frangente si  rivela elemento doppiamente suggestivo ne osserviamo anche il rischio e cioè quello di una declinazione a puro evento di cui  il Napoli Teatro Festival pare essere affetto nei suoi labili “approdi” al tessuto autentico di una città così complessa. Più che altro si auspica che tale materia drammaturgica  possa essere ridefinita  nella volontà di continuare a veicolarne la storia, elargendo spunti di approfondimento ad un pubblico meno circoscritto .

Mare Mater                                                                                                                                                  o della esemplare storia della Nave Caracciolo e del suo capitano Giulia Civita Franceschi 

UNO SPETTACOLO DI FABIO COCIFOGLIA E ALFONSO POSTIGLIONE
COLLABORAZIONE DRAMMATURGICA DI ANTONIO MARFELLA
CON MANUELA MANDRACCHIA, GRAZIANO PIAZZA, LUCA IERVOLINO, NIKO MUCCI, GIAMPIERO SCHIANO
E LA PARTECIPAZIONE DEI BAMBINI DELLA BANDA MUSICALE DI BARRA DEL PROGETTO CANTA SUONA E CAMMINA
E DEI RAGAZZI DELL’ASSOCIAZIONE LIFE-SCUGNIZZI A VELA
MUSICHE E AMBIENTE SONORO LUCA TOLLER
COLLABORAZIONE ARTISTICA ENZO MUSICÒ
PRODUZIONE LE NUVOLE/CASA DEL CONTEMPORANEO – CENTRO DI PRODUZIONE
IN COLLABORAZIONE CON MARINA MILITARE ITALIANA, FONDAZIONE THETYS-MUSEO DEL MARE DI NAPOLI, INTERNATIONAL PROPELLER PORT OF NAPLES, AUTORITÀ PORTUALE DI NAPOLI, LEGA NAVALE ITALIANA, PIO MONTE DELLA MISERICORDIA