RENZO FRANCABANDERA | Finalmente ieri, dopo tempo immemore e con qualche eccezione, legata più a grandi eventi internazionali, magari di matrice sportiva, si è rivisto in tv su quella che un tempo si chiamava “rete ammiraglia”, qualche passo di danza. “La mia danza libera“, il titolo del programma, a fare un po’ eco a Battisti con il suo canto libero, e il primo ballerino della Scala Roberto Bolle, ormai star multimediale, a fare da protagonista assoluto. Parliamo di un talento cristallino, notato giovanissimo da Nureyev e che ha avuto, ed ha, una carriera di valore assoluto su cui non abbiamo nulla da dire ovviamente, se non che vorremmo avere un decimo di quella grazia.
Torniamo invece a noi in panciolle davanti alla tv e spendiamo piuttosto due parole su quanto visto. Qui chiaramente indossiamo il truce cappello dell’osservatore critico e diciamo: nulla di che. Siamo nella scia del format Pavarotti and friends, con la star da botteghino di turno, che viene accompagnata nelle sue performance da figure per la gran parte di minor impatto mediatico, per garantire ovviamente l’assenza di comprimari; tutt’al più qualche “amico”.
Curioso, però, che mentre la stampa generalista, più o meno vicina alla classe media e alla grande divulgazione in rete, celebri il trionfo di questa serata televisiva all’insegna dell’accessibile e del ritorno di Tersicore sul piccolo schermo, gli addetti ai lavori e gli appassionati della danza contemporanea sui social storcevano il naso, dicendo che la serata televisiva non aveva alcunché di particolare, per usare un eufemismo.
Effettivamente pennellate di brutto, televisivamente parlando e dunque corpi e coreografie a parte, non mancavano in una tela di dimensioni assai ampie dove a passi di danza si alternavano intermezzi e piccoli sketch, in un ambiente privo di scenografia tradizionale (e questo bisogna dire non è un dettaglio banale, visto che finora la gran parte del teatro e della danza passati in tv avevano fondali e scenografie degni del miglior barocco napoletano). Brutto anche il finale, con il ballerino che dallo studio passa, complice una scenografia ad hoc, in una fantomatica piscina dove lo perdiamo allontanarsi sott’acqua a nuoto (in un pre registrato), a metà quindi fra finzione scenica e potenziale del medium televisivo, che sicuramente Bolle non domina come Carmelo Bene. Anzi. Essendo tutto montato ad arte, in un paio di occasioni l’artista fissa la telecamera con la naturalezza che avrebbe un calciatore sul proscenio della Scala nel turbine di una scena corale.
Insomma un perfettibilissimo spettacolo di intrattenimento, una rete a maglia stretta buttata a mare, non senza il necessario dispendio tecnico e di conseguenza finanziario, per cercare di acchiappare più pesci possibile. E d’altronde la danza è il linguaggio cui in Italia anche con il finanziamento pubblico viene riservata la minor attenzione, quindi, a parte qualche talent show, pensare ad un pubblico sensibile a questo linguaggio è veramente assurdo.
Basti buttare un occhio alla ripartizione di quello che era il Fondo Unico per lo Spettacolo nell’ultimo decennio per capire (la danza è in fondo, in basso, vicino allo zero, poco prima del circo…). E non deve trarre in inganno questa voce, perché alla “danza libera” sono arrivati proprio quei soldi lì, visto che sicuramente gli enti lirici come il Teatro alla Scala non rientrano in questo tipo di finanziamenti ma in quelli in cima a tutto il grafico, con una progressiva e sostanziale riduzione dei costi nell’ultimo periodo, come si nota.
A questo punto la lamentela degli addetti alle arti in senso stretto e al piccolo mondo, spesso autoreferenziale, di dediti al teatro e alla danza, è abbastanza scontato. Nè potremmo teorizzare diversamente noi, osservatori dell’evolvere di questi linguaggi, essendo “La mia danza libera” un programma pensato per un pubblico molto ampio, che negli anni ha perso qualsiasi abitudine ad una proposta che non comprendesse almeno uno scambio di pacchi, un montepremi, una qualche domanda con musica agghiacciante per sottofondo e repentini cambi di luce in studio per inquadrare il pubblico col telecomando in mano per aiutare il concorrente, nella migliore delle ipotesi.
Ecco quindi la considerazione che, se questo rimanesse un una tantum tipo Pavarotti and friends, allora sì, confermiamo: la cosa era modesta, a tratti brutta, divertente forse per pochi minuti (il duetto esilarante con Virginia Raffaele che interpretava la Fracci – come aveva fatto anche a Sanremo dove pure aveva dettato con Bolle- un momento notevolissimo, più per lei che per lui, a dire il vero).
Se invece venisse seguito da un progressivo ritorno dello spettacolo dal vivo in prima serata, senza che questa proposta venga relegata al canale specializzato della Rai, questo sicuramente sarebbe un ritorno interessante, che non potremmo che guardare con ovvio favore, sempre avendo ben presente il ruolo e quindi il gusto che può proporre nella fascia di maggiore ascolto la più vista fra le reti della tv pubblica italiana.
Devo dire, non a difesa della proposta mediocre a qualsiasi costo ma per onor di verità, di aver spesso visto anche su canali nazionali esteri in prima serata spessissimo con maggior facilità danze popolari tirolesi o assimilabili che ardite coreografie di Platel. Per quelle c’è sempre il canale Arte, ad uso dei fighetti.
Certo pensare di vedere Virgilio Sieni o Zappalà danza (prossimamente quest’ultimo a MilanOltre) in prima serata su Raiuno mi pare un sogno che non penso verrà coronato da traduzione pratica nel mio tempo mortale.
Ma se, per esempio, fosse un blob di 10 minuti con frammenti di quello che sta andando in scena sui palcoscenici dei teatri italiani in una certa settimana o mese, da mandare in onda subito dopo il Tg, con un montaggio divertente contenente, fra l’altro, 20-30 secondi di interviste qui e lì, con i soliti Servillo and friends, vabbè, ma anche con qualche voce off, sarebbe proprio una bestemmia?
Potrebbe portare sotto lo sguardo di qualche milione di spettatori l’idea di una serata diversa, da passare magari in un teatro o in un altrove che non sia il salotto di casa o la sedia davanti allo schermo del computer, mettendo like a dritta e a manca, quand’anche questo non avvenga invece in posizione orizzontale con il portatile o il tablet spaparanzati sul divano o meglio ancora nel letto, alla faccia di quegli sfigati che sono usciti di casa per andare a teatro con questo freddo. Bolle l’acqua per la borsa dell’acqua calda, tutt’al più.
Caro Renzo, non disperare: man mano che la televisione generalista perderà inserzionisti (di un pubblico che spende poco chi se ne importa?), cominceremo a vedere i programmi che ora sono rinchiusi nella riserva Rai5, emigrare sulla rete “ammiraglia”, ormai “bagnarola” Rai1.