MATTEO BRIGHENTI | L’anno shakespeariano è agli sgoccioli, ma c’è ancora tempo per qualche ultimo fuoco. Riccardo III e le regine di Oscar De Summa è un artificio che fa molto rumore e poca luce.
Lo spettacolo in prima nazionale al Teatro Cantiere Florida di Firenze, prodotto da La Corte Ospitale in collaborazione con Armunia, inizia in modo informale, la sala accesa e la compagnia schierata di fronte al pubblico. De Summa sarà Riccardo e lo si capisce dal piglio ‘capocomicale’ che ha sul gruppo, composto da Isabella Carloni, Silvia Gallerano, Marco Manfredi, Marina Occhionero. Riduce la trama a una battuta – il protagonista uccide tutti, diventa Re, viene sconfitto – e il rapporto tra i sessi a uno scontro tra uomini e donne, cameratismo contro solidarietà femminile. Il calar del buio è il segnale che la mattanza può scatenarsi, danzando quasi indisturbata con le regine, cioè le vedove, madri, perseguitate dagli inganni e dalle cospirazioni di un genio della menzogna, specchio riflesso che tramuta il male in bene, rendendo le vittime partecipi della loro stessa distruzione.
Riccardo parla, comunica, dichiara al microfono alla destra del palcoscenico: suo primo spettatore, compiaciuto e insieme stupito delle sue istrioniche interpretazioni, talmente abili da far sembrare altruistiche anche le macchinazioni più abbiette. È l’attore e il personaggio, l’inquadratura e l’obiettivo, è teatro nel teatro. A sinistra sta il mixer audio-luci governato da Marco Manfredi, che all’occorrenza si comporta da Buckingham, cugino e sodale di Riccardo, poi anche lui ripudiato e travolto nell’escalation di sangue. Al centro della scena il trono, su due pedane grigie sovrapposte, pare un missile che sta per squarciare un grande telo che piove sullo schienale. Ci troviamo nel retroscena dove il male prende forma prima di mostrarsi, al di qua del ‘sipario’ che giustifica i mezzi per il fine dell’applauso, del consenso.
L’affabulazione, infatti, la straordinaria capacità di manipolare, confondere e controllare chiunque, è la chiave di lettura primaria di Riccardo III e le regine. Per questo, ad esempio, Riccardo riesce a corteggiare e far innamorare di sé Lady Anna (Marina Occhionero) a cui ha ucciso in guerra il padre e il marito e che si presenta trascinando una bara dello stesso colore delle due pedane e con la medesima croce sull’una e sulle altre. Il potere e la forza che lo legittima si fondano sulla morte.
Eppure, la scia di cadaveri che si lascia dietro Riccardo nella sua recita malefica non produce effetti, a parte far scorrere il tempo del racconto: non c’è cattiveria, né dolore, né vendetta, ci sono labbra che muovono parole, o meglio parole che muovono labbra. L’entrare e uscire di Oscar De Summa dai suoi panni (De Summa fa De Summa che fa Riccardo), i tic, le smorfie, i gridolini, sembrano volerci dimostrare che si può ridere dei potenti, perché i potenti, in fondo, fanno ridere. Sanno fingere meglio, ma sono come noi, anzi, sotto sotto sono più goffi e deformi di noi. Questo, se da un lato ci avvicina al personaggio, rendendocelo ‘familiare’, dall’altro lo depotenzia, abbassandone la pericolosità al livello di barzelletta. Il gioco non vale il risultato e rischia perfino di assecondare quel potere che vuole smascherare. Riderne chiude gli occhi. Basta vedere cos’è successo in America con Donald Trump (e prima in Italia con Berlusconi).
“Per fare cose diverse bisogna avere regole diverse” è una delle massime del De Summa-Riccardo pensiero. Questa ‘diversità’ si sostanzia in uno stile dark ghotic punk negli abiti, un po’ alla I guerrieri della notte, il film del 1979 diretto da Walter Hill, e negli atteggiamenti, nella foga di dire tutto e subito, ad alta voce, quasi incomba sulle loro teste la paura che una pausa di riflessione, pensiero o approfondimento equivalga al vuoto, alla perdita completa di sé. Shakespeare è un adolescente in anfibi, jeans e chiodo di pelle, ma così, alleggeriti e in fondo derisi, personaggi e storia smarriscono la loro carica poetica, la propria forza e natura di archetipo, finanche “il nome di azione”, per citare l’Essere o non essere di Amleto (Giulio Sonno su Paperstreet parla di ‘indigestione pop’). E proprio il Principe danese del dubbio figura tra i sovvertimenti di Shakespeare messi in atto dall’attore e regista pugliese (Amleto a pranzo e a cena), come del resto il Moro (Un Otello altro) e lo stesso Riccardo III, il primo del 2007.
Riccardo III e le regine dunque zoppica, al pari del suo gobbo e mostruoso protagonista, appoggiando buone intenzioni al bastone di esecuzioni non riuscite (per tacer dell’assoluta gratuità della pera che si fa in vena Lady Anna). Luci di taglio si alternano a totali di scena come il piano e gli archi a una musica dura, al limite dell’industrial. E tra una maledizione della Duchessa di York, madre di Riccardo, e di Margherita d’Angiò (nella figura di Isabella Carloni), vedova di Re Enrico VI, ridotta a dipendere dalla carità degli assassini della sua famiglia per sopravvivere, si arriva al cuore della visione di De Summa: l’amore frustrato di Riccardo. Da qui il focus sulle donne, le regine.
Tutto quello che ha fatto l’ha fatto per Elisabetta Woodwille, vedova di Edoardo IV (impersonata da Silvia Gallerano, la voce e il corpo del pluripremiato La merda), di cui peraltro ha stroncato la discendenza. Ed è proprio lei, in un impeto di furore rock e ironia della sorte, a strappare il ‘sipario’ sopra il trono e a rendere palese lo scopo dell’aspirante Re e il tormento del mondo circostante alla sua malvagità.
“Non si può dire amore se non si è ammalati”. Chiuso nella torre del suo Io, incastonato nella proiezione di un rosone sacrale, Riccardo ha scavato dentro di sé per lasciare spazio al mistero, all’ospite inatteso, al dio ignoto. Una strada buia e circondata dall’abisso che ci riconsegna all’originale shakespeariano quando Riccardo III e le regine è ormai finito. Troppo tardi.
Riccardo III e le regine
da William Shakespeare
ideazione e regia Oscar De Summa
con Oscar De Summa
e con Isabella Carloni, Silvia Gallerano, Marco Manfredi, Marina Occhionero
scene Matteo Gozzi, Laboratorio scenotecnico di Armunia
luci Matteo Gozzi
costumi Emanuela Dall’Aglio
produzione La Corte Ospitale
in collaborazione con Armunia Centro di Residenze Artistiche Castiglioncello
Visto venerdì 4 novembre 2106 al Teatro Cantiere Florida, Firenze.