RENZO FRANCABANDERA | Parlare di uno spettacolo a 30 anni dalla sua creazione non è propriamente stare sulla notizia. Ma è anche vero che parlare di “Compleanno” di Enzo Moscato, che ha inaugurato la stagione 2016/2017 dello spazio No’hma a Milano il 16 novembre scorso, significa parlare di molte cose assieme.
Soprattutto occorre considerare due fattori: il primo è che la critica assolve un compito che ha con il tempo un rapporto dinamico, che permette la riflessione anche dopo anni perché considera il rapporto fra arte e società, entrambi fenomeni in movimento. Il secondo invece riguarda il fatto che l’osservazione di uno spettacolo teatrale ha il pregio, e in fondo anche il privilegio, di osservare una struttura cangiante, una caratteristica che non riguarda altre arti, che cristallizzano la creazione in un’immobile stasi, come il cinema o le arti pittoriche.
Per il lettore a digiuno, parliamo di un allestimento di poco successivo alla scomparsa di Annibale Ruccello, grandissimo talento del teatro italiano, che condivise il periodo di splendore creativo, fra fine anni Settanta e inizio Anni Ottanta, con interpreti della scena come appunto Enzo Moscato, Mario Martone, Isa Danieli, de Berardinis, Neiwiller, Servillo, Santanelli.
La Napoli di quegli anni occorrerebbe ricordarsela, o immaginarsela per chi è nato dopo. Una città ancora più viva e sconvolgente di ora, fra creatività nuove, sceniche e musicali, vecchi equilibri e nuove tensioni sociali. Nel decennio fra il 76 e l’86 Pino Daniele incideva i suoi primi album, trionfava il sound soul jazz di Napoli Centrale, ascendevano i talenti di Moscato e Ruccello e moriva Eduardo de Filippo; Raffaele Cutolo riorganizzava la criminalità con la nascita della Nuova Camorra Organizzata e, mentre il terrorismo insanguinava l’Italia, a fine novembre 1980 un terremoto devastava l’Irpinia facendo tremare tutto il Sud e Napoli in particolar modo.
Anni di beat generation in salsa soul, di liberazione sessuale, di terrorismo e pane e rose, di scritture teatrali nuove, di grande letteratura, con la città governata dal sindaco comunista Maurizio Valenzi, anni non condensabili in un bignami di 4 righe, per una delle stagioni più incredibili della città e, in fondo, dell’Italia intera e del mondo, se si pensa che nel 1986 iniziò l’era della trasparenza di Gorbaciov e che nel 1980 Reagan era diventato presidente degli Stati Uniti. Rock Hudson nel 1985 fu una delle prime vittime illustri dell’AIDS, che sconvolgerà la comunità omosessuale, mentre da Bennato a Maradona passando per il cemento, l’Italia campione del mondo, l’omicidio di Giancarlo Siani, il rapimento di Ciro Cirillo, Napoli viveva una delle sue impossibili rivoluzioni, fra estasi e dannazione, fra calci di punizione al millimetro, burattini senza fili e discese per via Toledo. Vorremmo rimandare, per capire quegli anni nella loro crudezza e potenza ad un grande documentario, Sciuscià 80, di Giuseppe Joe Marrazzo, fatto con interviste a bambini di strada a Napoli nel 1980, linkato alla foto in questo articolo.
Compleanno nasce in questo clima, è uno spettacolo frutto di quegli anni, di un periodo che fondamentalmente racconta lasciandolo però sullo sfondo, illeggibile o quasi; la piece testimonia il dialogo a tratti surreale fra struttura sociale tradizionale e quella parte della comunità artistica di cui Annibale Ruccello era esponente singolarissimo. La sua scomparsa in un incidente d’auto, come Rino Gaetano cinque anni prima, privò il teatro italiano di un vero e proprio principe, tanto che la scena è dominata da un trono che resterà vuoto mentre alla destra del trono si trova una seggiola su cui sederà un narratore scomposto e sconvolto, un Moscato dalla parola sonante e agìta. Alla sinistra del trono ricoperto di tulle e illuminato da una luce rossa, quindi alla destra del pubblico, un tavolo apparecchiato per una triste festa di compleanno, che inizia con l’entrata stessa in scena dell’attore, che reca, invece che una torta, una base su cui sono accese candele di sapore votivo, funerario, scomposte nel loro essere già sciolte, come in chiesa, davanti ad un ex voto.
Compleanno è ancora con il sentimento di oggi la chiamata ad assistere al lamento per la scomparsa dell’amico, prima ancora che dell’artista, un componimento struggente di ammiccamenti umani e piccoli gesti del quotidiano, fatto di frasi comprensibili forse in alcuni casi solo da loro due, come un dialogo fra un devoto e una capuzzella delle anime del Purgatorio. Poi c’è una parte letteraria, comprensibile alla comunità, privata dell’intelligenza mai nominata di Ruccello, ma evocata in forma simbolica, ad esempio con le rose, quelle di Jennifer, di uno dei suoi testi principali. Poi c’è una parte di cui è incarnazione il corpo dell’attore, accessibile a tutti ancora oggi, a distanza di 30 anni e che anzi, il corpo che cambia di Moscato trasforma in un dialogo con la morte, con la Morte, un personaggio di cui si aspetta l’avvento, più che di un genio di cui si piange l’impossibile ritorno. E che si tratti di un rito funebre, in qualche modo, di una surreale danza macabra, lo statuisce chiaramente una breve lettura che anticipa lo spettacolo e che fa ode alla morte giovane, che cristallizza l’eterno oltre la decadenza della vita. E più passano gli anni, più, ovviamente, l’attore incarna questo inevitabile decadere del corpo, testimoniando come il solo dialogo con lo spirito, l’arte, segnino i passaggi verso l’immortalità.
Il resto è un balbettio, un incomprensibile legare in una giaculatoria il richiamo della gatta
Rusinè a bestemmie in sardo e storie dal nuovo mondo, di canzoni pop-jazz storpiate dalla parlata dei Quartieri spagnoli.
Compleanno è uno spettacolo che si capisce proprio quando si accetta la sua dimensione incomprensibile, esattamente come il mistero della morte, un esperimento drammaturgico di valore assoluto, che ancora oggi per complessità resta per certi versi un quadro astratto di liricità irraggiunta, un Aleph del dolore, che Moscato recita ancora in modo sconvolgente, disumano, incomprensibile, barocco.
COMPLEANNO
( ante-Compleanno: testimonial Giuseppe Affinito )
Dedicato ad Annibale Ruccello
testo, regia, interpretazione: Enzo Moscato
scena e costumi: Tata Barbalato
voce su chitarra: Salvio Moscato
organizzazione: Claudio Affinito
produzione Compagnia Teatrale di Enzo Moscato/Casa del Contemporaneo
Spazio Teatro NO’HMA Teresa Pomodoro
Via Andrea Orcagna, 2 – Milano