ArtisticinesiaParigi_PangXunquinMARIA CRISTINA SERRA | Il Museo Cernuschi è la cornice suggestiva per godere le opere degli “Artisti cinesi a Parigi” (fino al 31 dicembre), che fra le due guerre mondiali, come viaggiatori speciali, hanno superato le frontiere di due mondi lontani, per tracciare attraverso la pittura una sintesi artistica fra Oriente e Occidente

Il verde severo degli abeti, ancora spogli di decori, riempie i marciapiedi antistanti le botteghe dei fiorai. Le vetrine degli alimentari sono decorate da bacche cremisi, finti fiocchi di neve e Babbi Natale di cioccolata. Lungo gli Champs Elysèes si susseguono gli chalet di legno del tradizionale “mercato di Natale”. Nell’aria fredda si diffondono i profumi speziati del vino caldo e delle frittelle. La notte si accende di magia con le luminarie, per lo più le stesse dell’anno passato.

La crisi è tangibile! Qui, come ovunque le “ragioni” delle élites sono inconciliabili con quelle dei cittadini: incertezze, contraddizioni, interrogativi sospesi sul futuro formano un’ombra palpabile. Con qualche scintilla di speranza, che ci appare lontana anni luce dalle “certezze” inique e inutili dei distinti “professori nostrani”, suggellate da zuccherose lacrimucce. Quando le inquietudini prendono il sopravvento è bene prendere le distanze, gettare uno sguardo in luoghi che riescono ancora a custodire l’equilibrio cuore-mente, come il Parc Monceau nell’8° arrondissement, nei cui spazi (progettati a metà del 1.700 dall’architetto Carmontelle, per dare l’illusione di un paese senza confini né temporali né di stili) sono visibili le sculture di artisti cinesi contemporanei, riuniti intorno al tema “Secondo natura”. E’ un parco, questo, con una sua particolarità, non solo perché collocato fuori dagli itinerari più consueti, ma per il suo incanto fermo nel tempo e l’armonioso disordine architettonico, delimitato da discrete e prestigiose dimore “fin de siècle”, che rivelano inaspettate magnificenze oltre i loro portoni.

Il Musée Nissim de Camondo è uno di queste. Racconta di una saga familiare di banchieri ebrei mecenati, partita da Costantinopoli nell’Ottocento, poi sterminata ad Auschwitz, e di una preziosa collezione di arredi, dipinti e porcellane. A breve distanza, il Museo Cernuschi raccoglie una sofisticata raccolta di arte cinese e giapponese, oltre ai segreti dell’avventurosa vita di Enrico Cernuschi, finanziere dalle misteriose fortune (forse all’ombra della potente fratellanza massonica) e amante d’arte orientale.

La mostra sugli “Artisti cinesi a Parigi” ci introduce storicamente alla comprensione dell’avventura parigina di una generazione di artisti di diverso orientamento e temperamento, che fra il 1920 e il 1958 rivoluzionarono i loro tradizionali canoni di pittura, per riportarli poi, rinnovati di contaminazioni, al loro ritorno in Cina, con l’obiettivo di contribuire al rinnovamento artistico del loro paese.
Già dalla metà del XIX° Secolo, le migrazioni intellettuali verso l’Occidente di pittori avevano accompagnato le profonde modificazioni che la decadenza dell’Impero e il dominio degli interessi commerciali dell’Imperialismo europeo avevano inferto alle tradizioni millenarie. Lacerazioni che gli artisti in cerca di ispirazioni a Parigi cercarono di rimarginare, reinterpretando le avanguardie del Novecento, alla luce delle loro antichi canoni, costruendo così un originale ponte ideale e stilistico fra due civiltà e una nuova coscienza della loro identità. Più ancora della rappresentazione della natura, quella del corpo nudo femminile permettono di cogliere le differenze fra le due diverse sensibilità.

In Pan Yuliang, la figura carica di erotismo mantiene una dimensione scultorea dai tratti sensibili e modulati attraverso la tecnica tradizionale del “Baimiao” (una pittura ad inchiostro monocromo), alternanta con colori ad olio. Il “Nudo seduto”, con la testa raccolta fra braccia e gambe sembra custodire il segreto della morbidezza e della femminilità. La “Belle Dame” di Lin Fengmion (che fra il 1965 e il 1972 fu imprigionato, subì persecuzioni e interdizioni a dipingere) ha le forme sinuose e i colori a olio netti e forti assumono la leggerezza dei fiori di loto, grazie ai contorni bianchi e straordinariamente trasparenti dei veli, che ricoprono pudicamente il corpo. Le composizioni floreali e i nudi di Samyu rendono un senso grandioso dello spazio, che si esalta nella “pienezza” del vuoto. Un perfetto senso di armonia, che si equilibra sull’incompiuto. Ci appare una meraviglia “Il paesaggio con neve” di Liu Haisu dai colori bruni e chiari, pastosi, grumosi, stesi con minute pennellate, che ne esaltano i rilievi, mentre un chiarore solare penetra a tratti fra un cielo carico e minaccioso.

Il ritratto di Shana, la bambina-icona della mostra, realizzato da Chang Shuhong, offre l’esempio di una sintesi tecnica fra tradizione cinese ed europea, associando la frontalità della figura e la verticalità della scrittura ai contrasti dei colori del soggetto più propriamente occidentale. E’ una pittura naturalistica quella di Xu Beihong, che soggiornò fra gli anni Venti e Trenta a Parigi e a Berlino, più orientato versi i maestri del passato che all’avanguardia.

Tutti i confini sembrano superati e sublimati nello splendido paesaggio di montagna di Zao-Won Ki, in cui le forme sembrano confondersi con la vita e con la luminosità dei desideri. Sottili tratti di pennello nero e chiaro, indicano i rami che flessuosi tagliano montagne e orizzonti, che si confondono con inverosimili sfumature di celesti e turchesi. La presenza umana è indicata solo dai tetti inclinati delle case illuminate dall’interno, saldamente sospese, in bilico fra terra e cielo: naturalezza e irrealtà, duplicità di ogni pensiero. Una mostra che scalda i cuori e testimonia come l’arte possa anticipare gli incontri tra le culture, molto più della politica, della diplomazia e degli scambi commerciali, fornendo una lettura “consolatoria” della realtà.

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