MARIA CRISTINA SERRA | Fra promesse mancate e pericoli di nuovi crolli, Pompei confida nel finanziamento europeo di 105 milioni di euro, mentre la sua “Art de vivre” brilla nel suo splendore alla mostra del Museo Maillol, in collaborazione con la Sovrintendenza per i Beni archeologici di Napoli e la Fondazione Dina Vierny (fino al 21 febbraio 2012)
Un Paese, il nostro, che periodicamente si sbriciola e frana, travolto dalle devastazioni di acqua e fango, imprigionato da endemico fatalismo e storica miopia, incline a ripudiare le regole e le
responsabilità collettive in favore di interessi privati e fasulle rappresentazioni della realtà. Nei giorni in cui cala il sipario sul grottesco “Truman show” che con le sue luccicanti luci al neon ha abbagliato le menti, corrotto i cuori e sbiadito la democrazia, sul terreno rimangono rovine e detriti difficili da rimuovere. Come metafora speculare anche i ruderi del mondo antico, “tesori superflui”, abbandonati all’incuria e all’inerzia delle istituzioni, attendono una loro “ricostruzione etica”.
Nel frattempo, l’armonia e l’atmosfera di un’antica “Domus pompeiana” è ricreata con cura attraverso un percorso che si sviluppa lungo i due piani del museo Maillol e restituisce la vivacità della vita quotidiana, partendo dall’Atrium, attraversando Impluvium, Tablinium, Triclinium, Culina, Balneum, Cubicula, Peristilium, decorati da circa 200 reperti (statue, pitture, mosaici, bronzi, marmi, utensili, monili d’oro), che raccontano tutta la ricchezza e la “normalità” di una vita di provincia e la raffinatezza della sua arte nell’apogeo dell’Impero romano. Una storia artistica sociale ed economica, qui razionalmente riassunta, iniziata attorno al VI° secolo a.C., sulla foce del fiume Sarno, nel cuore di una regione fertile e crocevia dei traffici commerciali con la Grecia e l’Oriente, travolta la mattina del 24 agosto del 79 d.C., quando il boato del Vesuvio spazzò per sempre la sua quiete e la sua fiorente industria alimentare e tessile, seppellendola sotto tre metri di polvere lavica e cristallizzandola per secoli.
Una terribile distruzione che immortalò come in un’istantanea fotografica di inestimabile valore storico un’intera città e civiltà, preservando miracolosamente “per la felicità dei posteri”, come annotò Goethe, durante il suo viaggio in Italia nel 1787, “la magnificenza degli antichi romani”, non solo quella dei grandiosi monumenti o delle dimore dell’aristocrazia, ma anche quelle “delle piccole dimore” ordinarie e modeste, dotate di comodità moderne con l’acqua corrente, riscaldamento e giardini interni. Dal mito, tramandato nei secoli, alla realtà delle prime scoperte archeologica dei suoi tesori, nella metà del XVIII° secolo, Pompei ha esercitato un fascino immutato fra viaggiatori, letterati ed artisti di ogni epoca, perché lì l’emozione di “trovarsi faccia a faccia con l’antichità”, come scriveva Stendhal, è sempre stata attuale.
La mostra allestita nel museo di Saint Germain ricostruisce con eleganza, grazie alla disposizione delle opere e ai pannelli narrativi, quell’itinerario ideale ed estetico che fra il Settecento e l’Ottocento elevò l’antica città sannitica, colonizzata poi dai romani, a “modello di vita”, in grado di suggestionare l’intera cultura europea. Così l’arte e la moda del tempo ricercarono nello studio dell’antico un’ideale armonia, fondata sulla linearità geometrica, in cui gli ornamenti, la struttura architettonica e gli arredi si amalgamavano con libertà e immaginazione.
Un importante tavolo in marmo di epoca augustea sorretto da due bassorilievi, decorati con grifoni e cornucopie, simboli d’abbondanza, prerogativa delle dimore più ricche, accoglie i visitatori all’inizio del percorso espositivo. L’attenzione si concentra quindi sul “rosso pompeiano” di un frammento di affresco sul quale spicca un “Dionysos sul trono” (protettore delle mura domestiche) di colore giallo ocra avvolto in velo azzurro,una pantera sacra ai suoi piedi, mentre impugna con la mano sinistra una lancia e con la destra un calice di vino. Perfetti giochi geometrici in rilievo incastonano figure di divinità nella grande cassaforte in legno, bronzo e ferro. Sembrano anticipare di molti secoli lo stile Liberty il sofisticato porta-lampade in argento a forma di albero, decorato da ghirlande, il leggiadro Treppiedi a base quadrata sorretto da un drago, e il tavolino tondo, singolare connubio fra rigore e leggerezza. E’ ispirato ai modelli ellenistici il cratere “a calice”, ornato da scene mitologiche con base raccolta su motivi in rilievo di palmette.
Sintesi di funzionalità ed estetica la stufa cilindrica in argento e bronzo, con coperchio mobile chiuso da un tritone e sul davanti da una porticina a due battenti, sormontata da un frontone con testa di Medusa. Si rifà alla moda greca ed etrusca la bellissima anfora a forma di testa femminile in bronzo, intarsiata minuziosamente in oro e argento, la cui luminosità è accentuata dalle pupille in pasta di vetro. Ma è anche il fascino verso la cultura egizia a ispirare la varietà dell’arte pompeiana e a definirne i contorni di “città aperta” al Mar Mediterraneo. La vita quotidiana si ricava dalle suppellettili usate per la tavola e la cucina: tegami, padelle, colini, cucchiaini simili al moderno design, coppette e bicchieri in vetro dai colori brillanti, brocche e anfore di varie forme e dimensioni, alcune specifiche per il “garum”‘, salsa ottenuta dalla macerazione del pesce azzurro.
L’importanza della religione, una coabitazione di riti tradizionali, culto per gli avi e mistiche orientali, è evidente negli spezzoni di affreschi e nei due magnifici bronzetti speculari, che innalzano i loro favori dall’alto di una doppia base ottagonale e rettangolare. Tanta grazia è spezzata dalla crudezza dei calchi rappresentanti le vittime, ricavati dalla colata di gesso nelle cavità impresse dai corpi sepolti dalla cenere. Geniale invenzione dell’archeologo Giuseppe Fiorelli, patriota rivoluzionario (nel 1848 guidò i moti liberali campani, incarcerato per due anni ne trascorse dieci da vigilato speciale), che nel 1863 con rigoroso criterio scientifico rivoluzionò le tecniche di scavo e conservazione, rendendo Pompei uno dei siti archeologici più visitati al mondo, grazie al fascino di rivivere “il giorno che si fece notte senza luna”, descritto da Plinio il Giovane, “notte che sarà eterna e l’ultima del mondo”.
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