MARCELLA MANNI | La tradizione della fotografia americana è ancora per alcuni giorni in mostra a Modena: una ventina di autori, tutti indiscussi maestri, per una importante panoramica tra la fine della seconda guerra mondiale e gli anni Settanta.
La selezione di opere, nata da un ampliamento di un fondo acquisizioni, permette di approcciare filoni tematici e estetici che hanno attraversato la diffusione di un mezzo, quello fotografico, accogliendo da un lato le istanze della tradizione e, di pari passo con le evoluzioni tecniche, influenzando in maniera determinante la cultura fotografica e più in generale visuale, contemporanea.
La dimensione del Jupiter Portfolio di Minor White apre a una fotografia simbolica con temi concettuali viene da dire; per il grande erede di Stieglitz si parte da un dato reale, tangibile, usando il paesaggio come tramite per una idea altra di fotografia, come esplorazione della rappresentazione. Il paesaggio, quello della wilderness americana, torna in modi completamente diversi nella fotografia di Ansel Adams, che insieme a Weston insegue la “fotografia pura” con il gruppo f/64, in un incessante percorso di sperimentazione prima di tutto tecnica. L’accostamento di autori dalle personalità e dai percorsi anche molto diversi tra loro permette, attraverso i lavori in mostra, di avere esperienza diretta di uno dei punti fondanti dell’estetica dell’immagine, cioè come la fotografia dipenda da una consapevole scelta di stile, di uno stile visivo si intende, da come l’autore si riferisce da un lato al contesto e dall’altro al significato dell’immagine stessa. Vale quindi la pena di citare come tre degli autori abbiano condiviso un esordio importante: Garry Winogrand compare nella storica mostra New Documents al MoMA di New York, nel 1967 insieme a Lee Friedlander e Diane Arbus accompagnati da un pensiero critico, affidato a John Sarkowsky , che in epoca di pieno espressionismo astratto detta le regole per quello che sarà uno degli stili più influenti della fotografia contemporanea. La comunanza del mezzo utilizzato, una piccola macchina fotografia, rende possibile scattare immagini in grado di cogliere espressioni del viso, la relazione tra il gesto, il movimento e gli oggetti in situazioni pubbliche, l’attenzione ai luoghi pubblici, in interno o esterno, che siano ristoranti aeroporti o lobby di hotel, ma soprattutto la città, attraverso le sue strade, codificando il “social landscape”, che tanto deve a Robert Frank.
“Credo che le immagini di paesaggio possano presentarci tre verità: la verità geografica, quella autobiografica e quella metaforica. La geografia di per se stessa è a volte noiosa, l’autobiografia è spesso banale e la metafora può essere equivoca” Robert Adams ci conduce con queste parole verso una idea di bellezza che è frutto di un lavoro personale, di una autenticità che è una ricerca di una armonia, di una composizione che sia in grado di recepire il dato naturale per renderlo in un nuovo paesaggio, quello della fotografia.
E sono proprio Robert Adams e Stephen Shore inclusi, nel 1975, nella mostra New Topographics: Photographs of a Man-Altered Landscape che alla fotografia fa compiere un passo anche nella direzione del cambiamento di un paradigma per dirla alla Khun, cioè come portatrice di nuovi modelli di pensiero. In questa ampia rappresentanza che vede autori attivi a tutt’oggi come John Gossage e Richard Misrach, non si può poi non citare un “outsider” nel senso di unicità e di singolarità della ricerca, portata avanti parallelamente a un lavoro su commissione che per Richard Avedon ha significato la vera e propria codifica di un genere, sovvertendo i canoni della ritrattistica. Che si trattasse di modelle sconosciute, di icone di Hollywood (Marilyn Monroe su tutte) o di capi di stato, le sue pose sono quelle di persone vive e reali, politica e disimpegno si mescolano senza ordini di grado e senza offuscare la forza comunicativa dell’immagine.
A scorrere in senso strettamente cronologico l’ampia rappresentanza di autori risulta evidente quel processo che tra la metà e la fine del Novecento è stato un vero e proprio processo di affiliazione della fotografia alla sfera delle arti contemporanee. Un processo che si può dire ha attraversato l’arte concettuale, l’arte pop e che ha contribuito ad animare un dibattito sia teorico che tecnico-stilistico, sull’immagine fotografica, fino ad arrivare a considerarla, ad opera di teorici non a caso americani, un metro di confronto critico per riscrivere la storia dell’arte moderna tutta.
New Topographics, Stephen Shore, Diane Arbus, straight photography
[vimeo http://www.vimeo.com/32562146 w=500&h=281]
A cura di Filippo Maggia
Fino al 7 aprile 2013
Fondazione Fotografia, Largo Sant’Agostino 228 Modena
.