ESTER FORMATO | Nessuno può tenere baby in un angolo di Simone Amendola e Valerio Malorni prima di essere uno spettacolo, è stato un percorso artistico maturato in residenza teatrale, precisamente presso Carrozzerie n.o.t. di Roma, con il sostegno del Teatro Area Nord e Festival Attraversamenti Multipli.
Approda allo Start/Interno 5 di Napoli a qualche giorno di distanza dall’incontro “Lessico Contemporaneo” che ha visto confrontarsi compagnie/attori o registi della realtà campana con alcuni esponenti di C.Re.S.co. E se dovessimo definire lo spettacolo di Malorni in poche parole, verrebbe in mente proprio lessico contemporaneo.
“Nessuno può tenere baby in un angolo” s’inserisce perfettamente nel quadro delle drammaturgie e dei loro linguaggi di questi anni che rielaborano a pieno la condizione di marginalità umana, non più esclusivamente in maniera esistenzialista come succedeva nel ‘900, ma sociale, economica, inserita quindi nel tessuto complesso del quotidiano del nostro vissuto, facendone propri i linguaggi, le istanze, le attese. La ricerca teatrale di tante compagnie, soprattutto piccole, affronta il contemporaneo attraversandolo con urgenze e modalità differenti, spesso maturate proprio nel tempo prezioso alla riflessione e alla pratica scenica, concesso loro all’interno delle Residenze.
Da questo punto di vista colpisce come Malorni e Amendola rifiutino in questo spettacolo di sondare la realtà con una poetica della metafora, dell’allegoria, e di prediligere invece un linguaggio naturalistico e sarcastico (già il titolo, famosa e “salvifica” battuta di Dirty Dancing, è in effetti un’amara ironia). Non manca certo quella declinazione verso il surreale, ma tale impronta si concreta in correlativi oggettivi (il borsone, la voce off del giudice, le canzoni che fanno da contorno alla drammaturgia, il manichino dell’avvocato, l’enorme sedia) atti a marcare la completa solitudine del protagonista Lucio.
Malorni sta su una pedana su cui vi è un’enorme sedia. La trasversalità della luce che fende tutta la scena illumina un solo oggetto, un borsone. Questo trentontenne è semplicemente “uno che poteva fare altro ed invece fa il benzinaio” per il quale il padre che portava a spasso il cane e che aiutava a fare benzina sin da piccolo, era una specie di supereroe. “Sono stato l’unico in classe a non andare all’università” ci dice e poi “Spero di fare un figlio. Sono una persona socievole. Conosco tante persone” perché, in verità, pensare di avere una certa rete sociale significa convincersi di non avere del tutto fallito. È, dunque, lui il protagonista dei pochi quadri che si susseguono e che sottendono ad uno scontro corrosivo con la propria coscienza e con invisibili autorità giudiziarie che lo accusano del truce delitto di una donna alla quale l’omicida ha staccato la testa, proprio nella parte retrostante la pompa di benzina.
Il senso dello spettacolo non si riduce, tuttavia, ai termini dell’autodifesa né della colpevolezza, ma nel costante rischio di un’identità fra assassino e lo stesso Lucio. La frustrazione di non aver ambito a nulla, di esser stato innamorato senza aver avuto la capacità di avere una compagna al suo fianco, la monotonia dei giorni, le storie di pedofilia nelle mura di casa viste in tv, il drink bevuto stanco morto sul divano, il cellulare (dimenticato al lavoro) che non squilla quando aspetta di uscire con una donna, il messaggino di quest’ultima che lo liquida con “scusa…ma è un periodaccio”. Ecco perché – dirà – posso essere stato io.
Valerio Malorni ci conduce entro una dimensione esasperante ed esasperata che va palesandosi minuto dopo minuto in una sorta terra di mezzo ove il confine fra colpevolezza ed innocenza si assottiglia sino a confonderci. Solo, con quell’enorme sedia ascolta la voce dell’autorità rovesciare la sua deposizione in forma di chiara autoaccusa, oppure si appella ad un avvocato in forma di manichino mentre luci chiaroscurali adombrano la scena tutta, così come le sue parole, offuscate dalla colpevolezza di una falsa testimonianza, dagli indizi a suo carico che aumentano e che gli insinuano la mania del complottismo.
Malorni articola con durezza, con una sorda (in)sofferenza frammenti di un’esistenza disorientata entro lo strettissimo perimetro del proprio quotidiano, sino a far risultare allo spettatore corrosiva la sua parola urlata, esplosa. Vi si sottende sarcasmo più che ironia, e difatti la scelta di riproporre ad un tratto la sua deposizione con parole e costumi spagnoleggianti per conferire alla scrittura scenica un guizzo estraniante appare quasi di un’ironia stonata con la tenitura complessiva.
D’altro canto la reiterazione di elementi della sua deposizione in cui mette in fila le sue azioni della sera dell’omicidio, spesso cambiando versione, è rielaborata nella drammaturgia a mo’ di strumento maieutico che consente al protagonista di portare al di fuori tutto il senso di fallimento che lo assale. Fingendo in Lucio una sorta di rimozione, il monologo di Malorni e Amendola ci rivela un’inedita prospettiva: il progressivo scoprire che i propri fallimenti vanno assomigliando a degli ottimi moventi per un omicidio così efferato della donna di cui si era innamorato. La tensione drammaturgica consiste proprio nel rischio di far combaciare se stesso con l’assassino, tensione che rende palpabile lo smarrimento sociale ed esistenziale che porta Lucio allo scollamento totale con la verità di se stesso. Parabola assurda e naturalista al contempo, di un uomo che si scopre in età ormai matura di essersi come esiliato dalla vita, già sulla rotta di un irreversibile disfacimento.
La gestualità, la vocalità e la presenza scenica di Malorni restituiscono di Lucio un abisso fragile e nevrastenico sotteso già al testo che, tuttavia, in alcuni punti perde di consistenza, smorzando non di poco la compattezza e la tensione espressiva ed emotiva necessari per questa catabasi del fallimento.
NESSUNO PUÓ TENERE BABY IN UN ANGOLO
di Simone Amendola e Valerio Malorni
con Valerio Malorni
scritto da Simone Amendola
collaborazione al testo Sandro Torella
regia Simone Amendola e Valerio Malorni
produzione Blue Desk
residenze Produttive TAN teatri Associati di Napoli, Carrozzerie n.o.t Roma
con il sostegno di Festival Attraversamenti Multipli