ESTER FORMATO |  Concludiamo la narrazione di Primavera dei Teatri con  Io non sono un gabbiano della Compagnia Oyes e con Roberto Latini che ha portato a Castrovillari la sua rilettura de Il Cantico dei Cantici.

Se scrivendo dei precedenti lavori, abbiamo imputato a questi ultimi delle fragilità inerenti alla drammaturgia e alla messa in scena, nel caso di questi due spettacoli dobbiamo relazionarci a due classici della letteratura mondiale e al tentativo di entrambi di estorcervi contenuti sottaciuti ma evidenti alla sensibilità contemporanea,  con modalità del tutto differenti.

La Compagnia Oyes ci presenta in anteprima una riscrittura da Cechov. Schierati ai lati della scena, vi sono alcuni dei personaggi de II Gabbiano, calati in un nudo assito con in un angolo un tavolo con un pc che regola il microfono con il quale Medvedenko, al centro della scena, con un ritmo vagamente televisivo,  legge una sorta di epicedio in onore di Arkardina, attrice e madre dell’inquieto Kostja.  La morte di Arkardina che nel testo originale si contende l’assoluto protagonismo con il figlio, ci permette di comprendere quanto questo personaggio sia realmente ingombrante, anche se lo si immagina morto.

oyes

La compagnia Oyes rielabora una sovrapposizione fra lei e Nina, sovrapposizione che si riflette sul nevrastenico Kostja, qui avviluppato da complessi edipici e tormenti artistici. Il suo amore per Nina surroga una morbosa dipendenza dalla  madre, nutrita di rancori e di slanci incestuosi e al contempo  simboleggia l’incapacità di ricercare nuovi linguaggi che lo svincolino dal “vecchio teatro” e lo rendano fautore di nuove creazioni.  È facilmente intuibile come la Compagnia Oyes ponga agevolmente su un binario metateatrale la propria riscrittura checoviana, mettendo in rilievo la dicotomia fra il vecchio ed il nuovo linguaggio teatrale laddove la morte di Arkardina non semplifica la questione, ma problematizza ulteriormente la difficoltà di una nuova generazione a definire nuovi spazi di espressione. Aleggiano sulla scena un irremovibile senso di frustrazione, il palpabile sentimento del fallire che pulsa in tutti i personaggi checoviani, congiunti ad una maturazione del senso di colpa del tutto contemporaneo (“colpevole di sentirsi in colpa”) ed un’ironia in alcuni punti che si mostra molto vicina a quella ineffabile, sempre troppo difficile da restituire, di Chechov.  La riscrittura dilata alcuni punti del testo, riarticolandoli,  e la si plasma sulla scena con una coesistenza simultanea fra coerenza filologica (le parole, le posture che i personaggi assumono ai lati della scena, il tono) e cifre espressive odierne abbastanza equilibrate.  L’estetica dello spettacolo  incarna forse un’istanza,  come riorganizzare la relazione con la madre che è la tradizione, consapevoli anche della necessità di tradirla.

oyes1

Infine, vogliamo concludere il nostro racconto sulla diciottesima edizione di Primavera dei Teatri con Roberto Latini. In anteprima nazionale è andato in scena nella sala consiliare di Castrovillari il suo Cantico dei cantici. Prigioniero di una dimensione quasi autistica, come potrebbe essere la cabina di uno speaker radiofonico, Latini traduce in onde sonore, grazie alle sue doti vocali, il testo biblico. La postazione radio è fiancheggiata in avanti da una panchina sulla quale è adagiato l’attore prima dell’incominciamento. Le luci tenui, chiaroscurali che accompagnano la sua performance fanno immaginare tutto ciò come un posto claustrofobico, magari fluttuante in una metropoli chiassosa fuori.

latini

Se si chiudono gli occhi, possiamo pensarlo in una notte solitaria in cui fa fluire attraverso il microfono  i versi millenari di un componimento che, spogliato di ogni significato teologico, trasale nell’aria come se fosse la partitura di un’unione fra corpi. La violenza e la tenerezza, compresenze imprescindibili dell’eros, qui si fondono in un unico afflato nell’angosciosa alternanza della perdita e ricerca dei due sposi; l’amplificazione sonora, la presenza di loop che agiscono su  alcuni versi forti del testo, l’echeggiare di passi, di suoni di porte e chiavistelli si plasmano nell’udito degli ascoltatori. L’ascolto, difatti, diviene esperienza, la partitura proposta da  Latini una  sorta di rapsodia scatenata da una profonda immersione nella solitudine. Non pare che egli voglia proporci un personaggio, bensì uno stato mentale, una condizione umana di follia,  solitudine, di costante senso di alienazione che sperimenti con disperazione, attraverso la parola del Cantico, l’irraggiungibilità della pienezza dell’amore. In un accrescere di sensazioni, Latini conferisce al testo, ma soprattutto alla sua performance, una scansione ritmica di un amplesso che fa rimbombare in platea tutta la potenza espressiva dell’eroticità del canto. Ma non è solo questo che resta… resta impressa la sensazione di una forza d’amore ineffabile, irraggiungibile, inghiottito nelle canzonette che  intervallano la narrazione, nelle parole sbrodolate in una cornetta del telefono nel tentativo di squarciare, con la loro foga millenaria, lo squallore di una solitudine o alienazione rincantucciata – questa è la nostra suggestione – in qualche buco di una sterminata metropoli.

latini 2

Termina con Il Cantico dei Cantici il nostro reportage sul festival teatrale di Castrovillari che, ancora, ci conferma quanto ci sia ancora bisogno di stare al teatro sentendosi parte di una comunità umana e quanto  sia pulsante e vitale l’incontro con le nuove generazioni artistiche. Se Scena Verticale con “Masculu e fiammina”  ha sollecitato un’interpretazione comunitaria ed insieme di appartenenza ad un territorio e con Roberto Latini abbiamo veduto il pregio di un teatro di ricerca e perfomativo importante, d’altro canto nella vetrina di quest’anno abbiamo constatato come i nuovi linguaggi vertano verso una frantumazione progressiva dell’arte scenica convenzionale o verso il suo svuotamento. In particolar modo abbiamo avuto l’opportunità di osservare quanto spesso la semplificazione o riduzione dei processi comunicativi all’interno di uno spettacolo (frontalità, i vari usi del microfono, i riferimenti testuali sullo schermo) paiono voler destrutturare o svuotare le prassi sceniche. Tutto ciò testimonia l’esigenza di una ricerca che sappia ricreare nuove forme che possano essere fedeli al sentir contemporaneo, che è ancora incerta nei suoi risultati ma nei suoi sforzi mai del tutto scontata. Del resto, è questo lo spirito che contraddistingue la Primavera dei teatri, terreno fertile in cui la dialettica fra teatro e pubblico, fra il vecchio ed il nuovo, identità e scardinamento della stessa è in fermento. È meta virtuosa nella maniera in cui stimola al confronto, ci pone altre domande facendo emergere criticità, ci suggerisce mutamenti di prospettive , partendo proprio dal senso di dislocazione rispetto ai luoghi centrali di riferimento della realtà teatrale nazionale. Tutto ciò, ci auguriamo,  ne rafforzi l’identità e la progettualità per gli anni prossimi.

COMPAGNIA ÒYES

Io non sono un gabbiano
ideazione e regia Stefano Cordella
con Camilla Pistorello, Camilla Violante Scheller, Francesco Meola, Umberto Terruso, Dario Merlini, Dario Sansalone, Fabio Zulli, Daniele Crasti

FORTEBRACCIO TEATRO

Il Cantico dei Cantici
di e con Roberto Latini