MARAT | “Teatri vuoti e chiusi potrebbero affollarsi se tu ti proponessi di recitare te”. Credo che i CCCP siano il (mio) corrispettivo di certe filosofie orientali. Di quei libri che apri a caso e in cui trovi (o credi di trovare) qualche tipo di verità. Ma è ortodossia, non santità. Chissene della santità. Con buona pace di Giovanni Lindo Ferretti sugli Appennini, di cui non voglio parlare oltre. Dolore. Che sto ancora cercando di elaborare il lutto del cambiamento. Che a trovarlo con una rubrica su Avvenire sai com’è, quasi mi viene un colpo. Comunque ascoltavo Emilia paranoica in macchina. Credo di essere la persona che più ha ascoltato al mondo Emilia paranoica in macchina. “Teatro vuoti e chiusi potrebbero affollarsi se tu ti proponessi di recitare te”. Già, ma cosa comporterebbe? Il senso è che sento profonda la mancanza di un’urgenza, per dirla con Bergonzoni. Di comunicare qualcosa senza rimandare oltre. Di mettere sul palco sé stessi, magari fragili e minuscoli, ma sporchi del vero. Con quell’ovosodo da sputar fuori a voce piena appena la gente ti si siede innanzi. Si è recentemente parlato di una suddivisione del teatro fra chi racconta della realtà e chi estetizza, con derive da esercizi di stile. Mi suona un po’ vecchia come cosa. Un po’ facile. E mi rendo conto che nella mia testa ciò che invece discrimina è un senso di verità. Che quello che ho di fronte sia vero per qualcuno, sia un’inderogabile necessità. Di comunicare, emozionare, indignare. Ho superato la soglia. E preferisco uno spettacolo imperfetto ma vero, alle vostre raffinatezze. La pancia a un trenino senza destinazione. Di chi ragiona per mode, abbonamenti, critica. Di chi prende un’immagine e la stiracchia per 40 minuti, una fede e ne abusa, un aggancio produttivo e si prona. Che il fascino dei ciarlatani è sfumato da tempo, intorno ai 18 anni. E di mestieranti è pieno il mondo. L’ho visto giù a Napoli, fra gente arrivata. L’ho visto qui a Milano, in mezzo a chi ha fame. L’ho visto in registi residenti, stanchi come pensionati. E in operatori ottusi come medici obiettori. Perché c’è ancora una purezza di fondo nel mio (nostro) sguardo, che merita d’essere conquistata. Senza sotterfugi. E a cui basta una parola, un gesto, una poesia, per venir via. Come cantava Viola Valentino. Che era tanta roba. Aspetto un’emozione sempre più (in)definibile.
Mondocane#10 – Lo sguardo puro di Viola Valentino
Comments are closed.
Vuoti e inutili