ANDY VIOLET | Nel 1534, il Parlamento inglese emanava l’Atto di Supremazia, una legge fortemente voluta da Enrico VIII dopo i vari insuccessi nelle lunghe ed infruttuose trattative intavolate col Papato per lo scioglimento del matrimonio del monarca con Caterina d’Aragona, rea di non aver saputo generare il nuovo anello dinastico della casata dei Tudor. Con tale legge ad personam, potremmo dire impropriamente, richiamando i fantasmi della nostra contemporaneità, e una serie di atti collaterali disposti per la soppressione dei benefici economici accordati allo Stato della Chiesa, il sovrano inglese sanciva il definitivo scisma da Roma, liberandosi dell’ingerenza politica ed economica del potere temporale indirettamente gestito dal Papa sul territorio del Regno Unito attraverso una cospicua serie di prebende e benefici, nonché tramite il controllo diretto dei terreni e dei beni ecclesiastici dislocati nel territorio anglosassone.
Si consumava in tal modo un ulteriore strappo nella già compromessa unità confessionale di un’Europa in odore di modernità, in cui i due soli danteschi cominciavano ad eclissarsi in favore di un particolarismo politico non più disposto a subire le pressioni di un potere universalistico.
A circa 450 anni di distanza, tuttavia, nonostante le reiterate dichiarazioni di disinteresse per politica attiva, dal ricchissimo brandello di terra romana loro ufficialmente riconosciuto, le gerarchie ecclesiastiche, munite del più minuzioso bagaglio retorico mai concepito, continuano a far tuonare quella che Nietzsche definiva “la voce dell’uomo nell’altro uomo”, pretendendo di regolare l’agenda politica di stati esteri, in primis dell’Italia, attraverso la manipolazione della credulità popolare e una paurosa sovrapposizione tra legge dello stato e dogma. Non stupisce, dunque, se alla possibilità, recentemente paventata, di un viaggio apostolico del Pontefice, nel Regno Unito si sia scatenata un’enorme protesta che ha riempito fogli e fogli di firme di cittadini infuriati per l’eventuale spreco di risorse pubbliche che servirebbero a rispettare i lussuosi parametri d’accoglienza papale, perseguiti senza percepire il minimo stridore con il contemptus mundi e l’esaltazione della povertà del messaggio evangelico, ma soprattutto indignati di fronte alla reale natura del potere pontificio, che essi, non fuorviati dallo specchio deformante della credenza, vedono con molta chiarezza nella sua dimensione di etica integralista, per sua intima essenza inconciliabile con qualunque forma di compromesso o tolleranza, come lo è ogni professione di verità assoluta.
Spogliato delle ricche vesti talari e della magniloquente verbosità della sua prosopopea, i cittadini britannici altro non vedono nel capo di stato Vaticano che una minaccia per il loro senso di giustizia e d’uguaglianza, per il loro progresso politico e sociale, in cui le retrive esternazioni sugli amori deboli e le altre affermazioni confessionali, in contrasto con il diritto, quello si sacrosanto, all’autodeterminazione personale, sembrano stracci di porpora impigliati negli ingranaggi della storia.