LAURA BEVIONE | Dici Ruy Blas e subito dalla memoria del critico emerge un’immagine, quella di Michela Cescon, racchiusa in un abito sontuoso e pesantissimo, che ne rallentava inevitabilmente i movimenti, impegnata a dichiarare con regale disperazione il suo amore a  Massimo Popolizio. L’allestimento diretto da Luca Ronconi nel lontano 1996 era elegantissimo e quasi ieratico ma, anziché in levare, era costruito assecondando il melodrammatico ritmo ottocentesco dell’opera di Hugo. Rock, invece, potremmo definire l’impostazione scelta da Marco Lorenzi per il suo adattamento e la sua regia che, tradendo, apparentemente, l’originale, in realtà ne sanno lumeggiare con acume interpretativo il senso più profondo.

Costruito nel corso di alcuni densi periodi di residenza, lo spettacolo nasce dal lavoro condiviso del regista e dei suoi attori ed è, altresì, frutto della collaborazione di due giovani compagnie torinesi, Il Mulino di Amleto e Kataplixi Teatro. Uno spettacolo sviluppato in maniera non ordinaria, dunque, e in un arco di tempo insolitamente dilatato – più di un anno, da settembre 2016 a novembre 2017 – e pensato per luoghi altrettanto non convenzionali – l’anteprima è avvenuta in una sala del Museo d’Arte Contemporanea ospitato dal Castello di Rivoli.

Il Mulino di Amleto - Foto di repertorio

E la scelta della sala è stata quanto mai felice: gli spettatori, seduti sui tre lati, in intima vicinanza con gli attori, sovrastati dal cavallo imbalsamato e appeso al soffitto con un’imbragatura, opera di Maurizio Cattelan. E quell’animale, con la testa dolorosamente ripiegata, è allo stesso tempo desolato emblema di un’epoca oramai tramontata – quella in cui è ambientato il dramma di Hugo – e simbolo di quella fragilità che è innata in ogni essere vivente. E di fragilità, ma anche di coraggio e di forza morale, parla appunto Hugo, acuto conoscitore dell’animo umano.

Proprio sulle eterne debolezze, ma anche sugli atti eroici di cui l’umanità a volte è ancora capace, concentra dunque la sua regia Marco Lorenzi, che sceglie come sottotitolo del suo spettacolo Quattro quadri sull’identità e sul coraggio. L’identità, tuttavia, non è soltanto quella di Ruy Blas, servitore costretto a vestire i panni di nobiluomo per soddisfare la sete di vendetta di Don Sallustio, ovvero quella della stessa regina, insofferente al proprio ruolo “istituzionale”; bensì quella degli stessi attori che – tutti in abiti rigorosamente contemporanei – costantemente entrano ed escono dal proprio stesso personaggio, calibrando la propria interpretazione sulle risposte degli spettatori – in un paio di frangenti chiamati anche direttamente in “scena” – e sugli “aggiustamenti” introdotti dagli altri compagni.

Con calviniana leggerezza, il regista e i suoi affiatati e generosi attori mettono in scena la meschinità ma anche quella debolezza immensa che permette nondimeno di compiere sublimi azioni che è l’amore – per una donna ma anche per un ideale, quale la democrazia e la giustizia sociale, altri temi cari a Hugo – mostrando con convincente evidenza quanto coraggio sia necessario per conservare – nell’Ottocento così come nel secondo millennio – la propria “umanità”.

www.ilmulinodiamleto.com; www.kataplixiteatro.com

 

RUY BLAS

da Ruy Blas di Victor Hugo.

Regia di Marco Lorenzi. Visual concept di Eleonora Diana.

Con Yuri D’Agostino, Francesco Gargiulo, Barbara Mazzi, Anna Montalenti,
Alba Maria Porto, Angelo Tronca.

Prod.: Il Mulino di Amleto, in collaborazione con Kataplixi Teatro, in coproduzione con Tedacà, Fondazione TPE, e con il contributo di Siae Sillumina – Copia privata per i giovani, per la cultura.