RENZO FRANCABANDERA | Il tema della morte, non nuovo al collettivo multimedial-performativo Rimini Protokoll, ritorna nella loro installazione multimediale ospitata in questi giorni al Piccolo Teatro Studio, in un apprezzabile tentativo del principale teatro milanese di cominciare un percorso di confronto, che speriamo sempre più definito e continuo, con le forme di spettacolarità ulteriori rispetto alla prosa.
In particolare più che la morte in senso stretto, torna il tema del lascito, di quello che dopo di noi resta a chi ci sopravvive. Se Remote Milano due anni fa (ospitalità di Zona K) ci aveva portato a partire dal Cimitero Monumentale per un giro dentro gli spazi urbani alla ricerca di ciò che siamo e ciò che di noi resta, finendo sul tetto del Fatebenefratelli, qui all’audience, come l’ha definita Stefan Kaegi in una video intervista concessami qualche tempo fa, viene dato accesso all’interno di una struttura prefabbricata che ha le sembianze di un piccolo corridoio d’ospedale su cui si aprono 8 porte, ciascuna delle quali reca un contatore di tempo.
Ciascuna fruizione all’interno dei relativi ambienti dura 8 minuti e lo spettatore entra (ed esce) a seconda delle sue preferenze, senza alcun obbligo di permanenza. L’esperienza dura complessivamente poco più di un’ora.
Ma che esperienza è e come si colloca all’interno del percorso del Collettivo?
In ogni stanza c’è un vero o presunto lascito testamentario, da quello dell’anziana filantropa a quello della matura coppia con i figli lontani che ha deciso di ricorrere alla morte assistita per un trapasso congiunto, passando per il luminare della scienza che ha studiato per tutta la vita gli effetti del decadimento cognitivo e che si trova lui adesso a fare i conti con la noia del mondo oltre il tempo del lavoro. O il base jumper che non sappiamo se sia vivo ma ha inteso lasciare comunque un segno prima di una sua pericolosa avventura. O un malato di malattia degenerativa. E così via, fino all’emigrante turco in Germania che percorre in vita il viaggio che compirà dopo la morte il suo corpo inanimato.
Ogni ambiente ripropone uno spazio del vissuto di queste persone, diremmo in qualche modo intimo: a volte la vera e propria ricostruzione di una stanza di casa, altre un richiamo simbolico a ciò di cui la nota testamentaria fa argomento. Ma in ogni caso per tutte regna il senso di una piccola claustrofobia da loculo, da coabitazione con il post mortem.
I presunti defunti (non viene data certezza della morte di nessuno di loro, anzi di alcuni possiamo immaginarla, ma di altri no) hanno registrato tutti, in vita, delle note per gli spettatori, e li invitano ad accomodarsi, a non dimenticarsi di loro, come il fantasma del padre di Amleto. Ma nessuno di loro incita a qualche vendetta, come il genitore shakespeariano, anzi, di fatto il racconto, che ci arriva attraverso la multimedialità di un video, di una cuffia, di una registrazione, o di altri dispositivi tecnologici, ci rende edotti su come ciascuno si sia regolato con il tema del Nachlass, dell’eredità, come ci spiega l’esile voce di una vecchina che ha lavorato tutta la vita in una fabbrica di sveglie e si è raccontata attraverso le fotografie. Chi ha pensato al denaro in modo filantropico, chi in forma più egoistica vincolando i nipoti lontani figli di figli emigrati in sud America, a tornare a studiare in Germania, chi non avendo nulla da lasciare di materiale, si concentra sull’immaterialità di quello per chi gli ha voluto bene. E c’è anche chi non solo non ha niente da lasciare ma nessuno a cui lasciare, perché la vita gli ha strappato gli affetti vicini.
Al netto delle idee di allestimento differenti delle diverse stanze, e ovviamente del contenuto dei messaggi testamentari, sotto il profilo strettamente fruitivo la logica sottostante le esperienze è praticamente identica. Una differenza è a volte nella lingua (tedesco, inglese o francese). La barriera linguistica viene superata da una sottotitolatura a schermo o tramite dispositivi, che in realtà distoglie molto l’attenzione dal poter vivere l’emozione dei piccoli luoghi, perché costringe allo sguardo fisso, non permettendo l’esperienza autenticamente sinestesica.
In assenza di interpreti veri e propri come era in alcuni dei primi lavori di Rimini Protokoll o di interazioni inglobanti fra l’ambiente e il pubblico o fra i partecipanti tra di loro, la struttura modulare rivela una certa debolezza. Una fragilità che certo può ricordare la noia e il vuoto del fine vita, del post mortem, ma che è più probabilmente l’esito di una struttura di pensiero su questa installazione multimediale che non raggiunge le intensità e l’originalità delle altre loro recenti creazioni.
Non c’è un ambiente che riesca a lasciarci l’eredità di un’emozione vera e propria, di qualcosa che ci portiamo dietro oltre il piccolo stupore iniziale di quando le porte automatiche scorrevoli si aprono per dare accesso agli ambienti ad un numero sempre limitato di spettatori (6 per volta tipicamente, massimo 50 quelli che possono fruire per ogni sessione oraria l’installazione). Oltre al luogo, al primo incontro con queste storie di vita e della consapevolezza su come ciascuno di loro abbia affrontato il tema di per sè, manca un oltre concettuale. Certo, può essere anche questo un lascito. Ma non è forse scopo dell’arte permettere alla vita di lasciar traccia di sè oltre la morte?
Nachlass
Pièces sans personnes
ideazione di Stefan Kaegi / Dominic Huber (Rimini Protokoll)
video Bruno Deville
drammaturgia Katja Hagedorn
suono Frédéric Morier
assistenti alla progettazione Magali Tosato, Déborah Helle (stagista)
assistenti alla scenografia Clio Van Aerde, Marine Brosse (stagista)
ideazione tecnica e costruzione scene: Workshop Théâtre Vidy-Lausanne
produzione Théâtre Vidy-Lausanne
coproduzione Rimini Apparat, Schauspielhaus Zürich,
Bonlieu Scène nationale Annecy e la Bâtie-Festival de Genève
nel quadro del programma INTERREG France-Suisse 2014-2020, Maillon,
Théâtre de Strasbourg-scène européenne, Stadsschouwburg Amsterdam,
Staatsschauspiel Dresden, Carolina Performing Arts
con il sostegno di Fondation Casino Barrière,
Montreux Le Maire de Berlin – Chancellerie du Sénat – Affaires culturelles
con il sostegno per la tournée di Pro Helvetia – Swiss arts council
in collaborazione con Istituto Svizzero
Spettacolo in lingua inglese, francese e tedesca con sovratitoli in italiano e in inglese
…chiunque ha fatto questa esperienza nella realta’ non e’mai ritornato indietro a raccontare nulla.Non si ha nessuna testimonianza ,questo e’ certo,si sognano i defunti o esperienze di questo tipo ma nessuno,penso, sia in gradoo di immaginare il suo postmortem e’ il nostro istinto di soppravvivenza ce lo impedisce.E’una fortuna questa non credi?Penso quindi sia normale venir fuori da questa performance con nulla.Questo e’buono a parer mio!