MATTEO BRIGHENTI | L’Associazione Culturale Imagonirmia di Elena Mantoni è l’atto d’amore di due genitori verso la loro figlia scomparsa e l’impegno a valorizzarne l’eredità culturale.
Elena viene trovata morta a soli 27 anni nel suo appartamento di Berlino. È luglio 2014 e la giovane ricercatrice di Treviso è in Germania per proseguire la sua istruzione accademica. L’arte è il suo orizzonte di pensiero e la sua forma di esistenza. Il paesaggio e il giardino come “bene comune” sono poetiche a lei care. Rilevato il contrappunto tra potere dell’immagine e dell’immaginario e il logoramento dei legami sociali, si è inoltrata nel campo artistico pensandolo come spazio di relazione, condivisione e reciproca emancipazione.
Un lascito che un aneurisma non ha spezzato in quell’estate 2014, anzi, è stato la linfa da cui Paola Visentin e Andrea Mantoni hanno attinto per creare subito l’Associazione e nel 2016 il Premio Imagonirmia [art residency + publishing project]. In palio, una residenza artistica, un accompagnamento curatoriale, un sostegno alla produzione, una pubblicazione dei materiali di lavoro ed elaborazione critica del progetto sui “Quaderni di Imagonirmia”.
Il Bando di concorso, in questo primo triennio, è modellato sulle esperienze di placemaking dell’arte a Chiaravalle a opera di Terzo Paesaggio, un “progetto performativo per il paesaggio” per trasformare il quartiere nella periferia meridionale di Milano in una sede di pratiche artistiche e di sperimentazione per la comunità abitante.
In esclusiva per PAC abbiamo intervistato Paola Visentin, Andrea Mantoni e Isabella Bordoni, consulente artistica dell’Associazione e curatrice del Premio, che quest’anno ha visto vincitore Franco Ariaudo con Il Giornale Ideale. Un confronto a tre voci con la consapevolezza che l’arte, la creatività, la cultura, sono leve di coesione sociale, di generazione e rigenerazione di relazioni di comunità.
Chi era Elena Mantoni?
Paola Visentin, Andrea Mantoni: Elena è stata una figlia molto amata che amava la vita e spesso ne sentiva il peso. È stata in grado di mettersi costantemente in discussione, il suo più grande valore è stato quello di aver voluto essere, fin da bambina, indipendente e libera, nel pensiero e nelle azioni. Nel suo breve percorso di vita ha potuto e voluto mantenere sempre il suo spirito libero, pur incontrando spesso il dubbio. Si è sempre avvicinata con curiosità al mondo che la circondava e anche a quello che forse ha sempre immaginato e sognato di poter migliorare. Amava scoprire ogni volta il lato “buffo” delle cose. Chi l’ha conosciuta e le è stato vicino ne ricorda con piacere il sorriso e l’inconfondibile risata.
Perché avete scelto di dedicarle un’Associazione e un Premio?
P. V., A. M.: Per mantenere vivo il suo ricordo e per dare attraverso di lei ad altri giovani la possibilità di esprimersi nel modo dell’arte e della cultura in generale.
La parola ‘imagonirmia’ non si trova nel vocabolario. Cosa significa?
P. V., A. M.: La parola ‘imagonirma’ non è altro che l’anagramma della parola ‘immaginario’. Elena diede questo titolo alla sua tesi alla fine del percorso di studi nel 2012 presso la NABA di Milano, Imagonirmia: processi di decostruzione dell’immaginario e nuove pratiche di riappropriazione creativa.
Qual era il suo ambito di studi?
P. V., A. M.: Elena, dopo il liceo classico, aveva frequentato il corso di laurea in Economia e Gestione delle Arti e delle Attività culturali presso la Cà Foscari a Venezia, per poi seguire con un biennio in Arti visive e Studi curatoriali presso la NABA.
Elena si chiedeva se esistessero degli spazi di liberazione in un mondo dell’arte diviso tra sovrapproduzione e frammentazione. Ne avete trovati in questi 4 anni di attività dell’Associazione?
P. V., A. M.: Ci si è aperto un mondo fino ad allora sconosciuto, addentrandoci nel quale abbiamo scoperto persone e competenze molto gratificanti. Ci hanno dato la forza e l’orgoglio di proseguire con la nostra attività di sostegno alle iniziative che ci vengono sottoposte attraverso il Consiglio direttivo dell’Associazione.
Il vostro è un occhio particolarmente sensibile, anche se non esclusivo, alle generazioni più giovani. Perché sono le più esposte?
P. V., A. M.: All’inizio pensavamo si rivolgerci esclusivamente a un mondo di under 30, poi, conoscendo in maniera più approfondita il contesto, abbiamo deciso di ampliare il raggio d’azione anche ad artisti più maturi (in termini di età). Questo ci ha consentito di ampliare l’orizzonte dell’Associazione, scoprendo dei buoni talenti e dando loro un’opportunità attraverso la quale esprimersi.
Sulla scorta di Elena, le poetiche del paesaggio e del giardino sono il vostro punto di forza. L’innovazione sociale ed economica passa necessariamente dal rapporto uomo-ambiente-territori?
P. V., A. M.: A nostro parere le azioni umane hanno spesso come risultato conseguenze che possono essere impreviste e dannose per l’ambiente e per la stessa specie umana, che, come le altre specie, vive in un ambiente biofisico finito, sul quale l’uomo non ha un dominio totale. Riteniamo che la cultura abbia attinenza con la produzione di significato e che si debba collegare in modo quasi naturale con l’idea di innovazione sociale e culturale. Il nostro intento è anche poter creare degli strumenti da adottare per aumentare lo spettro delle competenze artistico-culturali delle persone, lasciando poi decidere a loro come usarle. Il fine sarebbe pure quello di risolvere uno dei problemi dell’Italia, un Paese che presenta una forma di diffidenza storica verso la partecipazione culturale.
Il tema del Premio Imagonirmia è ‘spostamento variabile’. Di cosa si tratta?
Isabella Bordoni: ‘Spostamento variabile’ è il titolo che abbiamo dato al triennio 2016/2018 del Premio, che ha individuato nei luoghi e nella comunità di Chiaravalle e soprattutto nel partenariato artistico con l’organizzazione Terzo Paesaggio, che opera in quel contesto da alcuni anni, e con FARE/Frigoriferi Milanesi, i compagni di viaggio per ampliare il paradigma della rigenerazione urbana al concetto di paesaggio, in senso sia fisico sia metaforico, estetico e simbolico. Il titolo indica una traccia che volevamo precisa, pur restando aperta: l’aspirazione a concepire il giardino come luogo inclusivo delle diversità, nella prospettiva di “paesaggio pubblico”, dove le geografie sono spazi di relazione.
A che artisti e progetti si è rivolto?
I. B.: Il Bando invita a candidarsi artiste e artisti di tutte le discipline, consapevoli delle poetiche e delle pratiche relazionali e sensibili ai temi del giardino e del paesaggio, comunque li si voglia declinare. Questo non esclude progetti che si svolgono in autonomia rispetto alla comunità o al luogo, ma anche a questi si chiede di innestarsi in un processo che, in ogni caso, si relaziona con essi negli esiti. L’affiancamento di Terzo Paesaggio veicola la “conoscenza locale”, in quanto competenza che mettiamo a disposizione sul campo. D’altra parte, anche l’accompagnamento curatoriale che il Premio offre è un preciso metodo di approfondimento tra processi artistici e dinamiche sociali, che consente l’innesto del progetto in situ. Nel corso di questo primo triennio abbiamo ricevuto circa 140 candidature. L’alta partecipazione indica il bisogno, da una parte, e la possibilità, dall’altra, di costruire meccanismi autentici e onesti di sostegno e rispetto della ricerca artistica, sia da un punto di vista economico, sia strategico.
Tra le 50 idee-progetto presentate quest’anno è risultata vincitrice Il Giornale Ideale di Franco Ariaudo: un intervento tra partecipazione e editoria, per promuovere l’utopia come forma del quotidiano e racconto di futuro. In cosa Ariaudo ha risposto meglio degli altri al Bando?
I. B.: Chiaravalle è un’area della periferia di Milano dove la città incontra la campagna. Qui, da alcuni anni, attraverso azioni costanti e mirate, l’organizzazione Terzo Paesaggio, in sinergia con altri attori locali, city-user e abitanti, sviluppa pratiche di innovazione culturale. Ne ripensa il territorio allargato come distretto rurale-urbano a vocazione culturale. Una pratica progettuale dirompente per la rigenerazione urbana di un territorio di margine, che mette al centro l’approccio in situ del paesaggio e l’approccio in vivo delle arti partecipative, pratica che Terzo Paesaggio definisce progetto “performativo” per la rigenerazione urbana. L’innesto del Premio Imagonirmia ‘spostamento variabile’ in questo contesto ha contribuito a comporre una misurata e consapevole drammaturgia artistica, all’interno della quale i progetti scelti e realizzati sono pensati sia nella loro singolarità, sia in una visione d’insieme. In questo senso, dopo il progetto Site-Specific Listening di Alessandro Perini e Chiaravalle Visual Memory di Luca Berardi, abbiamo intercettato nel progetto Il Giornale Ideale di Franco Ariaudo un passaggio ulteriore, capace di trasportare l’esperienza di Chiaravalle in un contesto più ampio, sia per l’utilizzo del medium che il progetto prevede, sia per le peculiarità della ricerca artistica di Ariaudo.
L’abbazia di Chiaravalle è l’ambiente paesaggistico e laboratoriale individuato come luogo di confronto, bacino di ideazione, sviluppo e accoglienza del Premio. Come si inserirà qui Il Giornale Ideale?
I. B.: Chiaravalle non è solo la sua Abbazia, ma certo l’Abbazia è un elemento fortissimo e i processi artistico-culturali in atto reinterpretano, in chiave contemporanea, anche l’aura del monastero cistercense. La ricerca transdisciplinare di Ariaudo, che fa convergere nel proprio percorso antropologia, sociologia, ritualità, indaga e talvolta destabilizza quei cortocircuiti sociali che portano alla formazione di una specifica linea di pensiero, all’instaurarsi di una tradizione o semplicemente all’espressione di un cliché. A livello formale, Ariaudo ricorre a diversi media e dispositivi che, in virtù di piccole variazioni percettive, tendono a disturbare lo sguardo abituale dello spettatore. Con Il Giornale Ideale ingaggia un approccio laboratoriale con tutti gli abitanti di Chiaravalle e non solo, e fa della notizia e del supporto cartaceo lo spazio di costruzione e decostruzione della comunicazione, dell’informazione e del consenso.
Una menzione, invece, è andata a Claudio Beorchia.
I. B.: Claudio Beorchia si è candidato quest’anno per la seconda volta e in questi anni abbiamo apprezzato e poi seguito con attenzione il suo lavoro. Colpisce nella sua ricerca la capacità di individuare il centro delle cose con rara capacità di sintesi. Questa la motivazione con la quale gli è stata assegnato il riconoscimento economico abbinato alla menzione speciale: “Attento all’attraversamento e alla reinterpretazione dei linguaggi e dei media, la ricerca transdisciplinare di Beorchia gioca con i comportamenti, i costumi, i dispositivi e i cliché, ne rigioca le regole in termini ludici e radicalmente poetici (o mitopoietici). Una poetica radicale che affronta anche i temi sociali e gli ambienti con scanzonata intelligenza, progressive provocazioni e riposizionamenti di storie e geografie”.