RENZO FRANCABANDERA | Quattro ore a teatro, che ci entri alle 8 e ci esci dopo mezzanotte, incontrando una decina e più di artisti appassionati del linguaggio che ti trascinano dentro un gorgo del quale la sensazione più evidente è innanzitutto la passione bruciante. Un tipo di teatro che viene proposto e praticato solo in questo spazio a Milano, e in realtà potremmo dire che è una cifra unica e irrintracciabile, anche cercando altrove.
E’ una storia nata quasi 25 anni fa, quando nel 1993 si è formata la Compagnia Teatrale ‘Teatro della Contraddizione’, dal sodalizio fra il regista Marco Maria Linzi e le attrici Sabrina Faroldi e Micaela Brignone, nucleo centrale di una passione underground come il teatro in zona Porta Romana che dirigono e che hanno portato ad ospitare, oltre a decine di artisti più o meno noti, 21 allestimenti propri dal ‘93 ad oggi. La “svolta” creativa, se così possiamo definirla, è del 2009 quando la compagnia produsse «Die Privilergierten», (Premio «Milano per il teatro» come miglior spettacolo). Si trattava di un allestimento immersivo, con il pubblico che veniva catapultato in una realtà alienata che solo dopo si scopriva essere il famigerato “Lager modello” di Theresienstadt, che i tedeschi avevano ideato come campo di concentramento di facciata da presentare alle organizzazioni internazionali.
Da allora con cadenza diremmo biennale, il Teatro della Contraddizione propone creazioni che hanno la cifra dello spettacolo-happening, dell’incontro teatral-performativo, qualcosa che esorbita dalla logica della fruizione teatrale in senso stretto. The White Negro è uno spettacolo che negli intenti di Linzi che ne ha scritto il corposo testo, nasce da tre testi storici del teatro moderno, figli l’uno dell’altro: L’Opera del Mendicante di John Gay, del Settecento inglese, divenuta notissima nella sua celebre riscrittura Novecentesca, L’Opera da tre soldi di Brecht, e l’ultima, il Die Bettleroper, l’ulteriore ricomposizione testuale di Rainer Werner Fassbinder del 1969, mai rappresentata in Italia, né tradotta.
Teatro della Contraddizione guarda molto, ideologicamente potrebbe dirsi, all’idea di un teatro capace di vivere profondamente, come il Teatro d’Azione di Müllerstraße, fondato dalla coppia composta da Ursula Strätz e Horst Söhnlein.
Fassbinder ne fu un entusiasta partecipante e successivo sviluppatore, dopo la chiusura del Teatro d’Azione nel giugno del ’68, proseguendone l’impegno con l’Antiteater di Monaco, in seno al quale nacque proprio quest’opera nel 69, a cui diversi sono i riferimenti in The White Negro: l’elemosina che a più riprese gli attori vengono a fare fra le file del pubblico, la trasformazione in cani, nel finale.
Le caratteristiche peculiari del teatro d’azione hanno molto in comune con il lavoro scenico anche di questo allestimento: una spiccata fisicità nel recitato, il livellamento del palcoscenico in un ambiente in cui palco e platea sono sostanzialmente indistinguibili, oltre ai mezzi scenici ridotti e i contenuti politici o socio-critici della proposta artistica.
La torbida vicenda ambientata in un sottoproletariato disperato e senza scrupoli, come già avevano fatto Brecht e Fassbinder, viene trasposta in una Bretzelville che ha le sembianze della moderna city in una serie di video proiezioni digitali realizzate da Stefano Slocovich, belle, immaginifiche e curate, come non se ne vedono a volte neanche in produzioni istituzionali dei teatri stabili.
Il protagonista, il criminale dell’opera, è interpretato da Sabrina Faroldi con una cifra recitativa spaesante, comune a tutti i personaggi interpretati in scena e di cui Linzi cerca profondamente la maschera sociale, che viene poi ripresa nei costumi e nel trucco. In sostanza The White Negro è una metafora delle questioni che opprimono e causano la schiavitù nel genere umano.
La parodia del White Negro è nel fatto che il “negro”, emblema nella cultura razzista, dell’essere umano votato per sua stessa natura alla schiavitù, trova emuli fra i finti liberi.
Tra costoro, la povertà, ma anche l’accettazione della deriva più feroce dell’accumulazione capitalistica, porta i lavoratori ad accettare condizioni di lavoro di fatto miserabili, con sfruttamento e sottopaga, rinunciando progressivamente ad ogni dignità. Oltre quindi ai White, ai padroni, per dirla con il vecchio vocabolario (con cui però non ci si sbaglia), ecco la categoria dei White Negro. Sono quelli che pensano di essere liberi. Ma sono schiavi. Parlano ciascuno il proprio slang. La lingua a volte incomprensibile e un po’ rap della periferia da cui provengono e da cui chiedono riscatto.
Sono quelli che, partendo dalle smalltowns in cui sono nati, cercano luce nelle metropoli (si riascoltino Cage e Reed in Songs for Drella).
Inutilmente: nel momento della fine non vi servirà l’inglese, diceva il cantautore.
Il loro è un tristissimo e povero vocabolario pop-parvenu farcito da nominalistici cambi nell’appellare le cose (che restano però le stesse), in una continua mescolanza di slang, grammelot e anglofonie upper class in bocca a un’umanità sfigata, fatta di emigrati emarginati, incapaci di trovare in nessun momento un sussulto unificante e di rivendicazione.
Il cuore deflagrante di questo allestimento è intimamente politico e potente, arrabbiato, veemente nella sua capacità di disvelamento attraverso la satira sociale, affidata a non poche interpretazioni di qualità ma, in fondo, ad una collettività scenica che sa squarciare il velo dell’ipocrisia, trovando nella breve video storia della schiavitù del secondo atto alcune vette di ironia geniali. Anche la tombola del primo atto, con il primo premio che omaggia i miserabili di un lavoro, per il quale devono offrirsi al più basso prezzo orario possibile, tira fuori amari sorrisi.
Con un trucco facciale scomposto da neri delle piantagioni, una parlata in italiano malfermo e slang anglofono da city dei poveracci, un vestiario vintage quanto basta per straniare ma agganciare comunque il pubblico, gli attori sono chiamati ad un impegno non banale, considerando che nelle quasi 3 ore e 40 di recita sono sempre compresenti, indolente umanità al naufragio.
Colonna sonora gospel, da campi di cotone, eseguita a cappella con il coro guidato in modo intenso dalla bella voce di Micaela Brignone.
Nella coralità assoluta ed encomiabile del gruppo, segnaliamo in queste prime repliche le belle prove, oltre che delle colonne portanti del TdC, anche di Silvia Camellini, Roberta De Santis, Stefano Tornese, Eugenio Vaccaro e Giorgia Zaffanelli. Ma è una segnalazione che facciamo non sottacendo la generosità enorme anche degli altri bravi interpreti Fabio Brusadin, Elia Cipelletti, Davide Del Tufo, Arianna Granello, Giacomo Grazzini e Silvia Romito.
Questa è un’operazione dalla quale occorre lasciarsi divorare, abbandonando le resistenze, facendosi stremare, capendola e non capendola, volendo scappare e invece resistendo alla verbosa deriva “linziana”, partecipando al rito.
Il premio è un disvelamento quasi biblico della natura vera del genere umano, la presa di coscienza della condizione, dello stato miserabile del consesso sociale, delle finzioni, del bon ton, che la scrittura, a tratti invero potente di Linzi, smaschera una dopo l’altra senza pietà con cinica e sardonica risata.
“Inutile continuare a prenderla nel culo di nascosto”, dice il protagonista ad un certo punto nel suo programma politico con cui si candida alle elezioni. Lo si accetti, lo si faccia alla luce del sole, prendendo per ineluttabile la dimensione di sottomissione che si vive nel presente, non dissimile dalle altre epoche della storia umana. Abbiamo conosciuto un Negro “White” presidente degli USA, incorniciato in un protocollo padronale e molto politically correct, ironizza la drammaturgia, ma assai più numerosi conosciamo ora i White Negroes, persone che senza ribellione e anzi, quasi cercandolo, accettano il destino della servitù.
Che nervi questo The White Negro! E’ una scorrettissima provocazione di colossale portata anarchica. Che lascia da pensare.
Dirne “mi è piaciuto” o “non mi è piaciuto” è inutile. Va presa com’è. Magari anche uscendo 10 minuti a prendere fiato, chissà. Ma è un rito, un’iniziazione al ragionamento con un allestimento da tre soldi, un’illuminazione misterica au contraire e drammaticamente umana, lunga e potente.
Difficile da contraddire.
THE WHITE NEGRO
opera commerciale
di Marco Maria Linzi
con Micaela Brignone, Fabio Brusadin, Silvia Camellini, Elia Cipelletti, Roberta De Santis, Davide Del Tufo, Sabrina Faroldi, Arianna Granello, Giacomo Grazzini, Silvia Romito, Stefano Tornese, Eugenio Vaccaro, Giorgia Zaffanelli
video Stefano Slocovich
Teatro della Contraddizione, via della Braida 6 – MM3 P.ta Romana
dall’1 al 4 e dall’8 all’11 marzo
L’ha ribloggato su l'eta' della innocenza.