capossela a lariRENZO FRANCABANDERA | Senz’altro un esordio felice quello di Collinarea 2013 a Lari. Il festival si è aperto Venerdì 19 luglio con la prima tappa del nuovo tour di Vinicio Capossela. Il cantautore italiano pare aver stabilito un feeling grandissimo con questo festival e già l’anno scorso il suo concerto era stato alto e poetico. La nuova tournèe, la cui prima tappa abbiamo documentato anche con la diretta sui social network, trova motivo fondante e ispiratore nell’esperienza del ballo sociale, legato al momento di festa, in particolare al matrimonio. Si recupera il senso della comunità, del conviviale, con il supporto dei maestri della banda di Calitri che offrono al pubblico praticamente due ore e mezza di concerto, terminate in un promiscuo totale fra palco e pubblico, con quest’ultimo che sale sul palco a ballare, e Capossela in delirio all’una di notte, sotto tre festoni di lampadine tipo festa di paese, in un cascinale magico della campagna toscana.

Voto 9+ vien quasi voglia di sposarsi. Quasi. Perché poi si sa, la musica finisce.

Ci trasferiamo a Lari per i due giorni successivi, in un clima euforico e vivace, fra artisti, operatori e pubblico. Il Festival di fatto apre con Il guaritore, testo con cui Michele Santeramo si è aggiudicato il premio Riccione, portato in scena con una produzione Teatro Minimo e Fondazione Pontedera Teatro, (coprod. da Riccione Teatro, Festival Internazionale Castel dei Mondi di Andria), per la regia di Leo Muscato.

Da un guaritore che, coadiuvato dal fratello, risolve casi umani mescolando storie di vita vera tra loro distanti, si ritrovano una donna incinta che vuole abortire per evitare che un’altra creatura possa vivere le sconfitte della vita che lei stessa prova, e una donna (con il marito ex pugile) che non può aver figli dal suo compagno e vuole invece sanare le sue insoddisfazioni e i suoi incompiuti mettendo al mondo una creatura.
Se c’è un evento che marca il fine settimana del Festival ci pare di poter dire sia senza dubbio il cambio di passo che nelle due repliche la compagnia riesce ad effettuare, all’interno di un codice che vuole assecondare la svolta visionaria insita in questo testo di Santeramo. La regia compie scelte non facili e sicuramente di discontinuità rispetto alla tradizione di lavoro del gruppo, che nella replica di Sabato, al primo confronto con gli spettatori, pare soffrirne, finendo per approcciare la recita sopra le righe, e accentuando le forze centrifughe che il testo offre.
Altro ritmo, altra capacità di ascolto reciproco, con Sinisi che legge in modo appropriato il ruolo chiave del suo personaggio (l’anziano guaritore), nella replica domenicale. Pur lasciando spazio a necessarie asciugature (il fratello del guaritore, ad esempio, può risultare ugualmente surreale anche con meno didascalia sia nell’abito che nella recitazione) e a qualche puntello drammaturgico (in onestà alle due figure femminili e al loro evolvere psicologico forse manca qualche battuta e qualche grammo di visionarietà, ma è il nostro punto di vista), si segna una strada percorribile e sicuramente più efficace.
Il lavoro è a cuore aperto, come si intuisce, e sicuramente l’uscita era necessaria per misurare alcune questioni sceniche. E’ una transizione sia per il drammaturgo che per la compagnia e i suoi componenti, una sfida che ci auguriamo li porti a vincere il confronto prima di tutto con se stessi. Teatro Minimo può e deve diventare un patrimonio per la nostra scena. E Il guaritore è un banco di prova indispensabile, il cui esito maggiore, come sempre accade in questi casi, si ottiene nel gruppo, ascoltando le reciproche necessità, e abbassando ciascuno il volume del proprio strumento, per lasciar emergere l’orchestra. Da rivedere, con fiducia nel cambiamento.

Voto 8 al coraggio di ascoltar(si).

In un rush senza respiro, il programma del Sabato propone, nella meravigliosa cornice del cortile superiore del Castello di Lari, Open Program – Una dedica in azione (Studio) del Workcenter of Jerzy Grotowski and Thomas Richards. Vestiti di bianco, con il rituale cerchio di tappeti su cui ospitare gli spettatori, un gruppo di giovani praticanti del Workcenter, guidati da Mario Biagini in forma smagliante, propone una rilettura vocale e fisica di canti tradizionali del sud degli Stati Uniti. Sono canti che, secondo chi dirige il Workcenter, possiedono qualità tali da provocare processi interpersonali intensi, e dare il via ad una circolazione di contatti tra gli attori e gli astanti. “Ci poniamo una domanda: è possibile che la qualità di questi processi possa circolare e in qualche modo raggiungere chi assiste? E se questo è possibile, cosa può allora accadere?”. Forse poteva essere interessante anche confrontarsi col pubblico dopo il momento performativo, per avere, in una restituzione di esperienze di senso, qualche stimolo e qualche risposta ai quesiti. Grotowski ad un certo punto aveva deciso di smetterla col pubblico. Se ora al pubblico si torna (era successo anche a Vie qualche anno fa) forse può essere utile si spieghino le direttrici di movimento e di ricerca, una ricerca che ha altri ritmi, altre spinte di auto-indagine rispetto alle frenesie del contemporaneo: ragionare su come fruire questi momenti artistici può risultare assai efficace, perchè sono passati quarant’anni da quando questo cammino è iniziato, e molti degli spettatori che erano a Lari non erano neanche nati.

Voto 7 Bello da ascoltare, ma anche che ascolti

conferenza tragicheffimeraArrivano poi le giovani proposte: Carullo – Minasi con Conferenza tragicheffimera. Qui scendiamo nel personale: non posso infatti esprimere un parere perchè la mia creatura ha sfoderato un pianto disperato a pochi minuti dall’inizio dello spettacolo. La verità della vita entra nella finzione della scena. Che poi mi pare sia anche la questione che volevano indagare loro. Che però sono rimasti dentro la sala affrescata del castello di Lari, con la Minasi e le sue ali da angelo sfortunato. La sensazione che ho avuto nel poco tempo di cui ho fruito è comunque che sia una proposta, un divertissement acido, che non deve essere ospitato su un palcoscenico e con un pubblico di fronte. E l’idea pare condivisa dalla compagnia, che infatti vende l’intervento artistico a musei e teatri ma per spazi e occasioni non convenzionali. Dove mi riprometto di rivedere il tutto.

Proprio per il pianto della creatura di cui sopra, arriviamo in ritardo al Teatro dove Scenica Frammenti di Loris Seghizzi, il padrone di casa, propone Il Sogno del Marinaio: c’è gente che assiste da fuori, centoventi persone e più, stipatissime in uno spazietto che ne può ospitare la metà. Siamo contenti per l’artista e la sua famiglia di attori, che continua ad operare con successo non solo artistico ma anche imprenditoriale su questo territorio.

Fine del commento, perchè siamo in conflitto di interesse, avendoci loro chiesto di commentare il festival.

Lascia un senso crudele di meccanica malata la fruizione di InCertiCorpi, la proposta di Teatro dei Venti con Francesca Figini in scena, diretta da Stefano Tè.
Una ragazza parte in tuta ginnica con una corsa a perdifiato, misurando tutto del suo passo. Musica a palla nelle cuffiette. Quattro quarti. Bunz bunz Bunz bunz.
Poi, forse per condizionamento sociale, forse per desiderio di cercare l’altra se stessa cui il mondo la costringe, va via via mutando il suo aspetto, prima con una parrucca bionda e un abito da sera, poi con un vestito di plastica, per arrivare alle trafitture finali (per fortuna con fermini da capelli che non lasciano traccia) e al martirio dei propri connotati facciali.
Si sente la lontana eco di Rumore Rosa dei Motus, con le confessioni a microfono di donne sole, di Angelica Liddell, con i suoi tagli masochistici (quelli però veri, sanguinolenti, estremi, come la prima Abramovic, mentre qui rimaniamo in superficie); immaginiamo suggestioni di laboratori à-la-Lagani, con le camminate incerte di Dorothy del Mago di Oz e le cadute dall’alto di scarpette rosse con tacco (tal quale nel finale dello spettacolo). Ma alla fine è proprio l’equilibrio che manca alla proposta, e in onestà di disagi esistenziali affidati a silenzi e a epigrammi a microfono abbiamo un repertorio molto, troppo vasto e percorso, ormai. Pensiamoci per tempo. Non facciamoci del male. Anche se solo con i fermini.

Voto 5 con aggiunta di acqua gasata fresca e limone, prima della ripartenza per Milano

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