MARIA CRISTINA SERRA | Nella dimensione reale dell’esistenza, la poetica artistica di Klee traccia la parabola delle molteplici possibilità dell’interiorità, lanciando un ponte oltre il confine di separazione fra cultura occidentale e orientale. La leggerezza lieve dei suoi tratti sottili, che in un labirinto senza fine si perdono nella problematicità di imprevedibili sentieri, noncuranti del punto di ritorno, ci introducono alla complessità del suo pensiero filosofico forte, in cui la purezza dell’immagine si sostituisce alle parole, e ci contamina, nel sublime desiderio di approdare a brandelli di certezza dell’anima. “Più il mondo è terrificante, e più l’arte si fa astratta, laddove un mondo fortunato susciterebbe un’arte immanente”, annotava l’artista nel 1915. E’ una pittura “pensante” quella di Klee, dallo stile conciso, definito, cesellato, intriso di solida immaterialità, come se i pensieri prendessero forma per trasferirsi su tela, miscelando insieme musica e poesia, aria e luce, così da formare una lastra dai colori cristallini sulla quale lasciarsi scivolare senza remore verso il Tutto e il Nulla. E’ una creazione, la sua, che si esprime con analogie e simbologie in una continuità fra spirito e materia: sintesi di opposti, perché “l’arte è l’immaginazione allegorica della creazione”, possibilità di cogliere i frammenti impercettibili dell’universo per comporli e ordinarli “nel senso di una libertà che rivendica il diritto di essere mobile come lo è la grande natura”
La mostra “Paul Klee e l’Italia” (fino al 27 Gennaio), costruita da Tulliola Sparagni e Maria Stella Mangozzi in senso cronologico e tematico, si sviluppa attraverso un percorso ragionato sull’influenza che i viaggi italiani esercitarono nella vita e nell’opera di questo artista, che riuscì a fondere insieme il mondo della natura e quello delle costellazioni stellari, collocandoli in uno spicchio di spazio e in una fessura di tempo, certo che lo scopo fondamentale di “un quadro è sempre quello di renderci felici”.
Se il viaggio tunisino, compiuto nel 1914, è determinante per il suo lavoro (“Il colore mi possiede. Non ho bisogno di tentare di afferrarlo”), i sei soggiorni in Italia di studio e di vacanza, dal Nord al Sud, hanno segnato in modo significativo la sua ricerca fin dalla prima visita, a 22 anni nel1901, sulle orme del “Grand tour” di Goethe e di Burckhart, in cui scoprì che “l’anima anela al Sud. E’ colpa del Nord o di che altro?”. Sarà poi l’incontro con l’architettura rinascimentale, con la classicità greco-romana, con lo splendore bizantino dei mosaici ravennati e la natura suggestiva e assolata siciliana, a costituire un diario intimo dal quale attingere, come una risorsa preziosa lungo tutti i momenti della vita. Come un trapezista, Klee compone le sue alchimie di punti e di linee dai movimenti imprevedibili, densi di ritmo, per erigere poi architetture perfette. Scava instancabile nei sotterranei del profondo alla ricerca dell’energia vitale con cui plasmare la bellezza nascosta e riportarla alla luce, perché l’Arte non è semplice ripetizione ”delle cose visibili”, ma anche pace e inquietudine, emozione e sospensione. Il primo incontro è con l’opera grafica giovanile (1903- 05), dal titolo “Invenzioni”, già caratterizzata da un linguaggio autonomo di grande ironia: quasi a sottolineare distacco e assenza di un tributo dovuto alla mitologia e alla tradizione classica, per rappresentarle con modernità.
Figure alate, impossibilitate a spiccare il volo, nudi femminili aggrovigliati sui rami nodosi degli alberi, maschere deformi e multiformi, visioni ancestrali e metafore di sensualità primordiale compongono una singolare drammaturgia dell’assurdo dalle modulazioni “gotico-classiche”. E’ la chiave di accesso per entrare nelle “fioriture” di colori, di linee, di punti e di riflessi dalle infinite variazioni che si irradiano con rapida esattezza e lievità dai suoi quadri. Prima ancora della folgorazione con le inebrianti armonie cromatiche raccolte in Africa, sono gli ocra e i bruni respirati in Toscana, gli azzurri, i verdi e i gialli delle città di mare, i contrasti dei chiari e scuri, i rossi dei tramonti italiani a formare una tessitura di suggestioni latenti nel tempo.
Sono poi le equilibrate architetture verticali delle nostre città, dalle rigorose proporzioni ad assumere ai suoi occhi valore di “paradigma” nella costruzione figurativa e a costituire in seguito, nell’esperienza didattica alla Bauhaus (1921-30), uno dei principi estetici ai quali ispirarsi. “La composizione urbana con finestre gialle “ è un compendio geometrico di tasselli colorati che si incastrano con modalità ritmiche in un insieme dinamico, mentre l’occhio inconsapevole scivola sulle stelle e sull’uovo, elementi cosmici inseriti come poli di attrazione per dare l’idea della simultaneità fra presente e passato, nonché il senso della coesione che sfugge alla rigidità, coniugando astrazione e figurazione. I tasselli accesi di azzurro, rosso e giallo in “Aiuola colorata”, sfumano come note discendenti verso contorni più spenti, dando la sensazione di un tappeto nomade d’antica sapienza. Il “Quartiere delle ville fiorentine” è una planimetria arabescata dai riflessi dorati: cupole, tetti, scale, cancelli, portici, sono legati in un ricamo sottile che ricorda impalpabili sete orientali.
Gli “Arlecchini” nelle diverse raffigurazioni alludono ai momenti salienti della vita del pittore. Il primo del 1920, dalle tonalità giallo-aranciate, in equilibrio su un ponte veneziano con una stella sul capo, esprime la gioia della libertà creatrice; quello dormiente del ’33, la preoccupazione per la cacciata dalla cattedra di Dusseldorf ad opera del regime nazista; l’ultimo del ‘40, il congedo poco prima di morire. Il “Pointillisme” di “Ad Parnassum” del ’32, l’anno prima della caduta e dell’esilio, raccoglie l’essenza della forma e del pensiero che dialogano in una molteplicità di orizzonti, prima di arrivare ad una sintesi: “la disciplinata riduzione del tutto in pochi tratti”. Da una porticina ad arco si entra nel Parnaso e si accede all’’Arte, per andare lontano, oltre le linee di confine di un tetto, che divide la terra dal cielo blu, illuminato dal disco arancio del sole. Si penetra così nel luogo caro ad Apollo e alle Muse, regno ideale dell’armonia possibile, desiderio umano e ispirazione del’artista.
Sono le luci della sera ad accendere il vermiglio delle montagne e il blu del cielo e del mare in “Costa di sera “. “Genova con le sue mille luci lontane che si dissolve al chiarore di una luna piena, stagliandosi come un sogno”. Ed è “Festa notturna” del ’21 a chiudere la retrospettiva e a suggerirci il desiderio che da questa opera di può ripartire per una nuova lettura a ritroso. La tela risuona di serenate notturne, ha i colori delle antiche fiabe russe, piccole pennellate che sono incisioni nel cuore, decori preziosi che saturano la superficie con illusioni sospese fra Oriente e Occidente, fuochi sotterranei ardenti, capaci di riaccendere speranze perdute. ”Tutte le stranezze diventeranno realtà. Realtà dell’arte che rendono la vita un po’ più vasta di quanto non appaia all’uomo comune”.
Di seguito un video sulla mostra realizzato da RaiNews24
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