MATTEO BRIGHENTI | L’esito è l’uscita di un processo, prima ancora che la sua riuscita. Una porta aperta dall’interno nel divenire della creazione artistica: la soglia non è tra dentro e fuori, ma tra qui e insieme. A Modena, a Trasparenze Festival 2018 (10-13 maggio), vedere è più che mai condividere incontri sulla pubblica piazza del confronto. Luogo fisico, oltre che metaforico, spazio concreto, oltre che ideale: un “festival sociale d’arte” in cui il teatro accade in mezzo al tran tran del quotidiano, i passanti che passano e quelli che restano, il traffico, i bimbi che strillano. Una cosa normale, di tutti, sempre. Come la comunità. “Un teatro che non vuole essere spettacolo – precisa nella nota curatoriale il direttore artistico Stefano Tè – ma che vuole diventare punto di riferimento per la comunità e per questo lancia sfide continue all’immobilismo del presente”.
L’immobile per definizione è la casa. HO(ME)_project, frutto dell’attività curata da Giselda Ranieri, Anna Serlenga e Rabii Brahim con gli abitanti del quartiere, risiede nel parchetto di Via San Giovanni Bosco. L’ingresso, la camera da letto, il soggiorno, sono sparsi sull’erba, tra gli alberi, le altalene. Come Trasparenze non si riduce al chiuso dell’edificio teatrale così l’indagine di Aldes e Collectif Corps Citoyen non si ferma all’abitazione. L’arredamento può venire spostato dappertutto, la sua natura coincide con stare ovunque venga messo. Sono le relazioni che fanno casa. E la famiglia è anche tra sconosciuti, che possono dirsi troppo o nulla.
Lo sanno bene gli anziani della vicina Casa protetta San Giovanni Bosco, con cui il Teatro delle Ariette ha impostato e impastato Pastêla! La memoria del cibo. Sono divisi su quattro tavoli, come punti cardinali dell’identità emiliana e, più in generale, italiana: su uno si stende la pastella, su altri due si piegano i tortellini, sull’ultimo si grattugia il parmigiano. Nel fare la pasta si fanno gli aneddoti di donne e uomini che si presentano a Stefano Pasquini e Paola Berselli con cognome e nome, perché l’appartenenza alla famiglia d’origine viene prima dell’individuo e lo definisce pure quando non c’è più. Le mani si muovono sapienti, naturali: quelle piccolissime tessere di farina e acqua compongono il mosaico di antichi mestieri e passate educazioni sentimentali. Sono storie vere vissute fino a oggi, raccontate attraverso la condizione di oggi. “Finché c’è il ripieno – dichiarano – si possono fare i tortellini”.
Il collettivo è la forza del singolo in Poem of you, whoever you are – azione per Wonder(L)and della Compagnia Simona Bertozzi con i richiedenti asilo del gruppo Marewa. L’azione scenica in Piazza Giacomo Matteotti è una musica che libera i corpi, morbidi sulla nuda pietra come se fosse sabbia. Sono precisi e rigorosi nel loro perdersi, ritrovarsi e non lasciarsi. Cura, attenzione, cosciente leggerezza, testimoniano una volta di più quanto la costellazione di esiti che ha composto (le) Trasparenze sia improntata al superamento delle diverse diversità, piuttosto che alla loro esibizione o esaltazione (per teoria ed etica del teatro sociale in questa sesta edizione del Festival, la lectura Dantis di Chiara Guidi con i detenuti del Carcere Sant’Anna, i Cantieri e il convegno internazionale Che arte sarà?, rimandiamo all’articolo su PAC di Renzo Francabandera).
In tale solco non ci pare sia rimasto del tutto Blinkdi Daniele Albanese / Compagnia Stalker con il Gruppo l’Albatro – Teatro e Salute Mentale. Un metronomo amplificato e i comandi live di Albanese svuotano, alla lunga, una struttura performativa che intende investigare il movimento: non la fanno sembrare, per così dire, presente a se stessa. Le azioni di Blink sono esposte così come sono, in tutta la loro fragilità. Forse, troppo scoperta.
Il teatro come strumento di integrazione e di coesione sociale a Trasparenze non è stato rappresentato solo da dimostrazioni di lavoro ricavate da percorsi di ricerca, ma anche da spettacoli veri e propri. Procede per contrasto Teatro Nucleo con l’ancora work in progress Domino, andando al cuore dell’ideologia totalitaria: lo svuotamento dell’uomo, la sua diminuzione a documento, da timbrare, protocollare e, soprattutto, sostituire continuamente. La realtà in questo teatro di strada è un sogno falso, sognato da altri, che tre grigie guardie inseminano di morte con il sorriso ghignante sulle labbra.
Sulla via si staglia un parallelepipedo metallico, un cubo anonimo, simbolo di un potere smisurato nella sua assurdità, difficile da identificare e quindi sovvertire. Scandisce la “selezione della razza” attraverso quattro concorrenti/prigioniere. La musica è ossessiva come il puntiglio burocratico di questo universo concentrazionario che produce reazioni meccaniche e grandi camminatein tondo che non vanno da nessuna parte. La forma spersonalizzata, alla fine, compromette anche la sostanza di Domino, di cui rileva poco più che un labile atto d’accusa alla connivenza dell’abitudine: abituarsi al male è il male.
La violenza si fa disamina estetica in TVATTdi Etérnit / Teatraltro. È l’acronimo di Teorie Violente Aprioristiche Temporali e Territoriali, ma in una parte del Sud Italia sta per “ti picchio”, oppure, con un’azzardata traduzione, “ti batto”. Lo spettacolo, ideato da Luigi Morra, che lo interpreta con Pasquale Passaretti ed Eduardo Ricciardelli, è liberamente ispirato a East e West di Steven Berkoff. L’East End londinese anni ’70 e ’80 viene trasferito nel napoletano odierno, tra nasi rotti alla festa del santo, cani uccisi a mazzate buttati nell’immondizia, e un Pulcinella da Commedia dell’Arte della rissa.
A queste latitudini gli uomini, poco importa se amici o no, quando si ritrovano si menano. TVATT smonta, seziona, illustra le colluttazioni pugno dopo pugno, tanto che i gesti diventano quasi una ginnastica o addirittura una danza senza musica. Il vuoto bruto dell’aggressività è tutto in tale allenamento di fendenti nell’aria: la prepotenza si scopre un arbitrio fatto di niente. Il cammino di accumulazione di espressioni rituali, posture improbabili, episodi di vita, dopo un po’ “abbassa la guardia” di questa sorta di esperimento antropologico. Ma l’avvio, contraddistinto da un uso creativo, viscerale e ipnotico del loop, è tra i più sorprendenti visti di recente.
Luigi Morra, pancia di fuori e zoccoli, dà corpo alla mollezza, arroganza e spudoratezza di un certo Meridione. Girella, poi si ferma, e punta il pubblico con occhi da pit bull. Cerca una cavia che mimi e ripeta parola per parola lo scontro descritto dalla sua voce registrata al momento. Il risultato è esilarante, perché mostra di quanti condizionamenti e sovrastrutture siamo fatti: lontano dal nostro ambiente d’appartenenza siamo ridicoli e sgraziati.
Non c’è alcuna ironia in El viatge de la vergonya di Nafrat Collectif. “Nafra” in catalano significa ferita e in diversi Paesi del Medio Oriente è usata al pari di “Nafrat” per indicare disprezzo, odio. I rifugiati che hanno a che fare con la mafia si definiscono “Nafrat”. Il viaggio della vergogna è quello di un camion pieno di rifugiati tra l’Ungheria e l’Austria nell’agosto 2015. Ora veniamo caricati in 25 nell’area industriale di Via Antonio Morandi per sentire addosso le loro stesse ferite. E terminare pure noi la corsa al telegiornale, tra una notizia di economia e una di sport. Precipitiamo dalla testa ai piedi nel tema conduttore di Trasparenze Festival 2018: l’evasione.
Dobbiamo spegnere il cellulare e non fare domande. L’accordo per passare la frontiera prevede soltanto l’uso dei soldi che ci hanno dato all’inizio. La tensione crescente passa da ordini impartiti con risoluta fermezza. Mahid, l’uomo con il passamontagna che ci preleva, si rivela un rifugiato al servizio dei trafficanti di esseri umani. Ha un’idea precisa: vuole che questo sia il suo ultimo viaggio. Con un amico ha fatto un piano per salvarsi, però le cose non vanno come previsto.
Certo, non siamo mai realmente in pericolo, ma lo spazio chiuso, la deprivazione sensoriale, la perdita dell’orientamento, rendono l’atmosfera fortemente realistica. Un’esperienza immersiva propria di un Festival che presenta, ma soprattutto problematizza la visione.
Si trovano ugualmente su un camion gli Antipodidella Compagnia Dromosofista. Il teatro camion dei Teatri Mobili, per l’esattezza. Perché a muoversi non sono le sue ruote, è la fantasia degli spettatori. L’attenzione al particolare, all’infinitesimamente piccolo, è il fascino di tre viandanti girovaghi che invitano a un viaggio surreale su un cavallo in miniatura, tra creature stralunate e minuscole sagome d’ombra in corsa. Il teatro di figura, le ombre cinesi, la manipolazione di oggetti, il teatro fisico, sono invenzioni della semplicità, che non vuol dire improvvisazione, ma maestria della leggerezza conquistata con la fatica dell’applicazione allo studio.
La gradinata ristretta, il palco minimo, un paio di sgabelli, qualche strumento musicale, costruiscono un vero e proprio mondo di apparizioni. La scena si muove senza sosta, tutto si trasforma, le cose hanno un loro ritmo, che può diventare finanche cinema, basta una luce dietro una tenda. Antipodi è un atomo di bellezza ed elevazione, che sfida, tanto quanto Trasparenze, qualsiasi equilibrio. Verso l’alto e l’altro.
Domino
regia Natasha Czertok
con Filippo Benedetti, Annamaria D’Adamo, Daniele Giuliani, Marco Luciano, Martina Pagliucoli, Veronica Ragusa, Chiara Venturini
musiche The Busy Bee
scenografie Teatro Nucleo, RedoLab artigiani del riutilizzo, Luca Bernasconi
costumi Chiara Zini
parte tecnica Alessio Bettoli, Franco Campioni
produzione Teatro Nucleo 2017/2018 col sostegno di Regione Emilia Romagna e Mibact
si ringrazia studio di registrazione Animalhouse – Service Suono e Immagine
Largo Murialdo
Venerdì 11 maggio 2018
TVATT
uno spettacolo ideato da Luigi Morra, liberamente ispirato aEast eWest di Steven Berkoff
con Luigi Morra, Pasquale Passaretti, Eduardo Ricciardelli
musiche originali Camera
luci e video Domenico Catano
elementi scenici Stefano Zecchini
drammaturgia e regia Luigi Morra
una produzione Etérnit e Teatraltro in collaborazione con Lunarte
con il supporto di TeatroForte, MArteLabel
Teatro dei Segni
Venerdì 11 maggio 2018
El viatge de la vergonya
idea originale, regia Nafrat Collectif
assistente alla regia Ricard Soler i Mallol
con Manuel Ortí, Jordi Collado, Jordi Magnieto
design eclectick.com
fotografia Yannis Behrakis
musiche originali Samuel Parejo
suono Samuel Parejo
video Ferran Collado
costumi Sara Recatalà
Area industriale Via Antonio Morandi
Sabato 12 maggio 2018
Teatro =tutto TRASPARE :realta,fantasia,brutture, …bellezza e liberazione ;chissà sarà la soluzione?