NICOLA ARRIGONI | Esiste una risposta biologica alle bellezza e alla bruttezza nell’arte? Quali sono i meccanismi neurali che caratterizzano una mente creativa? Arte e scienza possono dialogare e contribuire alla conoscenza del modo con cui elaboriamo le rappresentazioni di realtà? Sono questi alcuni interrogativi cui tenta di rispondere L’Età dell’inconscio di Erik Kandel – pubblicato per i tipi di Raffaello Cortina Editore –, importante tomo che restituisce un mondo, il mondo della Vienna primo novecentesca dove nascono i presupposti delle neuroscienze, in un connubio unico fra scienza medica e suggestioni dell’arte e della creatività. L’Età dell’Inconscio. Arte, mente cervello dalla grande Vienna ai giorni nostri è una sorta di invito a ripercorrere le inquietudini del nostro essere al mondo e al tempo stesso disegna lo scenario storico in cui è destinata a compiersi «la sfida centrale della scienza del XXI secolo è capire la mente umana in termini biologici. La possibilità di vincere questa sfida si dischiuse alla fine del Novecento, quando la psicologia cognitiva, la scienza della mente, si fuse con la neuroscienza, la scienza del cervello. Il risultato fu una nuova scienza della mente che ci ha consentito di sollevare una serie di domande a proposito di noi stessi: come percepiamo, impariamo e ricordiamo? Qual è la natura dell’emozione, dell’empatia, del pensiero e della coscienza? Quali sono i limiti del libero arbitrio?», scrive l’autore.
A queste domande Erik Kandel risponde prendendo in esame la storia intellettuale di Vienna fra il 1890 e il 1918, quella felix Austria che pose le basi non sono dell’inquietudine dell’Uomo del Novecento, non solo fu terreno fertile delle avanguardie artistiche che avrebbero condizionato buona parte del secolo breve, ma fu anche culla della moderna scienza medica, culla della psichiatria, ma anche dell’attenzione alla mente come straordinario strumento di lettura, interpretazione della realtà. Nei salotti viennesi dell’epoca si discutevano idee che avrebbero segnato una svolta nella psicologia, nella neurobiologia, nella letteratura e nell’arte. «L’ambiente intellettuale e artistico della Vienna degli inizi del Novecento segnò un primo scambio tra le due prospettive e produsse un enorme nello sviluppo nel modo di pensare la mente umana». L’autore si concentra su tre artisti: Gustav Klimt, Oscar Kokoschka ed Egon Schiele. «Essi posero l’accento sul fatto che il compito dell’artista moderno non era comunicare bellezza, ma le nuove verità – si legge nella prefazione – inoltre, la Scuola di storia dell’arte, influenzata in parte dal lavoro sulla psiche di Sigmund Freud, cominciò a sviluppare una psicologia dell’arte su basi scientifiche inizialmente concentrata su chi guardava l’opera. Oggi, la nuova scienza della mente è maturata al punto di poter contribuire al dialogo, di nuovo incentrato sullo spettatore, tra arte e scienza, e rafforzarlo».
Erik Kandel prende in esame i modernisti viennesi e Klimt, Kokoschka e Schiele perché più di altri «cercarono di rappresentare nei loro dipinti e disegni le lotte interne, inconsce e istintive delle persone; tuttavia ciascun artista sviluppò un proprio modo di utilizzare le espressioni del volto e i gesti delle mani per comunicare ciò che aveva intuito. Nel farlo, ciascuno di loro diede all’arte moderna contributi concettuali e tecnici indipendenti». In 32 capitoli corredati di 222 immagini di quadri e sculture, grafici, tavole e rappresentazioni, L’Età dell’inconscio ripercorre le origini e gli sviluppi della scienza della mente, del cervello e della psicologia dinamica, per arrivare al cuore del problema, il significato e la rappresentazione. Indaga i meccanismi della percezione, dell’osservazione, dell’invenzione. Enuclea le leggi della decostruzione dell’immagine, dell’emozione, e della ricostruzione attraverso la creatività e l’espressione corporea. Viola con eleganza i sentimenti dello spettatore per entrare nel «teatro privato di un’altra mente». Kandel illustra il funzionamento biologico dell’osservazione e dei meccanismi di regolazione, e di come l’uomo abbia imparato a crearsi «un modello della mente degli altri», e abbia sviluppato empatia e da questa l’amore per la bellezza, e la creatività. Scritto con incredibile semplicità e con un linguaggio abbordabile ai più, L’Età dell’inconscio è un contributo interessante e imprescindibile non solo per chi si occupa di neuroscienza e di capire come il cervello elabora le rappresentazioni di realtà, elabora la nostra consapevolezza di essere nel e del mondo, ma rappresenta anche un contributo a quella complessità del sapere che non conosce barriere fra sapere scientifico e umanistico e pur nella consapevolezza di identità e finalità differenti «si possa iniziare a concentrare le prospettive della scienza della mente e degli studi umanistici su determiate questioni intellettuali comuni per portare avanti nei decenni il dialogo iniziato nella Vienna dei primi del Novecento quale tentativo di collegare arte, mente e cervello.