RENZO FRANCABANDERA | L’acqua è uno dei massimi propagatori di suoni, per quanto a noi inarrivabili ed indecifrabili: il mare, che rappresenta il 70% del pianeta, è un universo sonoro incredibile.
E così Voices&Borders, rassegna di arti performative ispirata proprio alle voci di confine ha deciso di aprire l’edizione 2018 con uno dei maggiori artisti attivi nella registrazione di suoni della natura, Chris Watson. Oceanus: cinquanta minuti di suoni subacquei, una composizione sonora astratta, quasi elettronica, eppure tutta naturale. Watson è una delle figure più singolari e poliedriche della scena sperimentale mondiale, fondatore del gruppo musicale Cabaret Voltaire e autore di diversi album, come Water Report, registrato nel 2003 e inserito dal Guardian fra i 100 dischi più interessanti da ascoltare. Per la Touch, Watson modifica le sue registrazioni sul campo in una narrazione filmica. Per esempio. il gemito ultraterreno del ghiaccio in un ghiacciaio islandese è un classico esempio, per dirla con le parole di Watson, del mettere un microfono dove non puoi mettere le orecchie.
Nato a Sheffield dove ha frequentato la Rowlinson School e lo Stannington College (ora parte dello Sheffield College). Nel 1971 Watson è stato membro fondatore dell’influente gruppo musicale sperimentale di Sheffield, Cabaret Voltaire.
La sua carriera di registrazioni sonore ambientali è iniziata nel 1981 quando è entrato a far parte di Tyne Tees Television. Da allora ha sviluppato un particolare e appassionato interesse per la registrazione dei suoni della fauna selvatica di animali, habitat e atmosfere da tutto il mondo.
Come registratore freelance per film, tv e radio, Chris Watson è specializzato nella storia naturale e nella sonorizzazione di documentari, insieme all’assemblaggio delle piste sonore e alla progettazione del suono in post produzione.
Per dare il senso di quello che si è potuto ascoltare rimandiamo a questa traccia che abbiamo trovato su youtube, e che riporta alcuni dei suoni che è stato possibile ascoltare negli spazi acusticamente ben pensati di Fondazione Feltrinelli a Milano, dove peraltro Watson ha condotto un laboratorio gratuito accompagnando una serie di cittadini alla registrazione di suoni di animali invertebrati nei laghetti di corso Sempione.
Che tipo di esperienza raccoglie l’intelligenza umana da una proposta così lunga e immersiva, favorita in un ambiente di luci soffuse come quello studiato e riportato nella fotografia di inizio pagina. Il cervello viene sottoposto ad uno stimolo sonoro che è ovviamente diverso da quello in cui normalmente la nostra esperienza si muove e che quindi percepiamo come alieno. Dapprima la curiosità per la diversità e poi finanche uno strano rapporto ancestrale e placentare con l’elemento dell’acqua e del suono nell’immersione trasportano poi in uno stato di semicoscienza la cui profondità è affidata alla capacità di ciascuno di abbandonarsi a questo stimolo. Forse la posizione più corretta per fruire questo tipo di esperienze non è nemmeno la sedia ma una posizione confortevole, magari per terra, su cuscini, come tra l’altro era persino possibile e come qualcuno ha fatto.
Momenti in cui, forse anche per paura di abbandono dei sensi, il nostro cervello cerca nuovo contatto con la realtà, allontanandosi per poi essere di nuovo risucchiato, alla ricerca di suoni di quando eravamo animali preistorici subacquei, che il nostro cervello rettiliano sicuramente decodifica. D’altronde quanta parte profonda di noi conosce quei suoni. Quanta parte animale ci vive dentro. Ed entra in contatto con questi suoni su canali emotivi che non riusciamo più a comprendere ma che sono profondissimi. L’esperienza di Watson si localizza a queste profondità. Interiori, ancestrali. Pre natali.