EMILIO NIGRO| Fine luglio, Matera. Il biancore dei sassi è meraviglia allo sguardo. Anche un dolce senso di agonia al pensiero di doverli lasciare. Al pensiero del necessario andare via, tornare nella stiva dell’impegno, nell’utero del dovere. Oltre la città – di turisti, imbellettati, prosivendoli semiseri, operai e flaneur – la rupe, a segnalarti il vuoto, a identificare netti i confini, ricordarti il limite. L’affaccio sulle grotte rupestri è un incantamento. L’immagine immutabile della storia, che si segnala. E giù, dove la terra mostra le viscere, il fiume, l’acqua che scorre e porta tutto via.
Matera è una delle città più antiche del mondo. E questo senso di originario non si vaporizza nel luccicare di una città ormai data in pasto al turismo di massa. Si avverte un fare vecchio, fatto di parole efficaci e fratellanze, di diffidenze e voglia di alterità, di tolleranza e cooperazione. Un sentimento diffuso di umanità percepibile. Di vita ad altra velocità, di tempo altro che si contamina con una modernità d’uopo, con un contemporaneo effimero e di consumo.
Per dieci giorni all’anno, in un rovente finire di luglio, da tre anni, a Matera accade qualcosa di eccezionale, che genti diverse, razze diverse, culture e colori diversi, si uniscono. Non solo entrano in contatto con il pretesto di un evento artistico/culturale, ma per il teatro agiscono la necessità di costruire spazi di dialogo, di comunicazione autentica tra persone “altre”. La nomenclatura “festival di teatro città e persone” dice dello spirito propositivo, degli intenti, della dialettica tra personaggi e spazio scenico, della dialettica tra quanto accade in scena e pubblico. Dal 19 al 28 luglio, il festival Nessuno resti fuori – festival di teatro, città e persone, incluso nel programma di Matera 2019 capitale Europea della cultura, anima la città. Indagando sul limite, sulle diversità, l’esercizio del potere, l’accessibilità, le inclusioni, la partecipazione, l’abbattimento e il superamento dei confini. Con l’obiettivo di avvicinare al linguaggio teatrale tutti, fin dalla ideazione e realizzazione del processo creativo.
E senza falsa retorica, si respira familiarità. Quella familiarità che riporta il teatro ad un atto democratico, di partecipazione collettiva. Non solo un momento comunitario, ma, oltre, una dimensione di persone. Di considerazione della persona, qualunque sia la sua posizione o identità. Quell’atmosfera di umanità – condizione naturale e prossima al fare teatrale – diffusamente inesistente ormai, fatta esclusione per alcune piccole isole d’utopia, alla mercé contemporanea di interessi multipli e voraci (mercanteggio e meretricio di corpi e arti; affermazione egotica; esercizio di potere a cui invece il teatro dovrebbe essere antagonista; territorialismo; protettorati). “Nessuno resti fuori” è un messaggio forte. Potente. Nessuno resti fuori dai teatri e dalle terre. Nessuno resti escluso.
Alì non ha gli occhi azzurri. Ma scuri. Scuri come il mare di notte. Quel mare che ha attraversato insieme ad altri cento, e che ha inghiottito parte della sua famiglia. Alì non ha gli occhi azzurri, ma scuri. Scuri come quelli di sua madre, cha ha lasciato sui confini di un deserto africano con l’unica eredità di una storia, una storia da raccontare. E Alì Sohna, da anni un attore dello I.A.C. – il centro di produzione e promozione teatrale, l’anima organizzatrice del festival: Andrea Santantonio, Nadia Casamassima, Annamaria D’Adamo, Joseph Geoffriau, Dario Cola – la racconta, in una notte di luna piena, su una terrazza che dà sulla rupe, il cortile del liceo artistico “Carlo Levi” nel quartiere Agna, location di questa edizione del festival (ogni anno il festival si ubica in un quartiere diverso, un quartiere periferico). Racconta la sua storia, nello spettacolo Yeso Tang, regia di Andrea Santantonio. Con il fare di un attore occidentale, l’esuberanza e un pizzico di esibizionismo anche, ma con quegli occhi scuri che nello scuro della notte sembrano fari proiettati sugli spettatori. Veri, mai disadorni, mai attorniati da commozione. Ne rende partecipe, ne dà accesso, fa materia d’arte una parola dalle maglie larghe, drammaturgicamente parlando, dal plot non lineare, ma dalla potenza unica. Dalla eco universale, drammatizzata quel che basta da risuonare forte. Per la rupe e per i sassi. Per i corpi e le coscienze scossi di chi sta dall’altra parte. Sulle idiozie e le bassezze dei nuovi razzismi. La partenza, l’abbandono, la barca, il mare, la morte. Quaranta minuti che scivolano senza badare a tecnicismi o partiture, modulazioni o suoni, nuove drammaturgie e definizioni da intellettuali autoerotici. Parola e stomaco. Scena ed emozione. Relazione. Contatto. Lo stupore. Il teatro.
D’altra manifattura lo spettacolo Una disubbidienza straordinaria, con Nadia Casamassima, ancora con la regia di Andrea Santantonio. Da un testo di Elsa Morante (Il mondo salvato dai ragazzini), la storia di Carlotta, bambina ariana, di Berlino, ribelle all’ordinanza nazista di identificare e etichettare con la stella gialla i Giudei. Marchiarli per recintarli, ghettizzarli, perché diventino bersaglio di xenofobia e odio razziale. Come accade adesso per i migranti, bollati dai governanti come spaventapasseri su cui mirare, come fossero gramigna da estirpare. La parola, l’attore e l’esercizio squisitamente registico in meccanismi d’equilibrio fra figura (fisica), gesto e interpolazione illuminotecnica. Anche l’ausilio di videoproiezioni innestate alla scenografia, non avulse o retrospettive. Un diverso piano di realtà, quindi, sovrapposto all’irreale, all’inscenato. Un elemento illusorio a oltrepassare la finitezza dell’atto. Il gioco che composito restituisce nutrimento all’immaginifico.
Un inno all’allegria anarchica, nei contenuti e nel brio caratterizzante il teatro ragazzi. Mai paternalistico e pedagogico, una scelta piuttosto poetica, di un linguaggio e quindi una prosa a portata di un ascolto simultaneo. Nadia Casamassima nelle insolite vesti di una simpatica canaglia, fuori dalle cifre a cui siamo abituati a vederla in scena, articolata in una prova d’attore in cui il cenno viene meccanizzato dalle necessità di parte che la trasfigurano in una fuoriuscita dal sé di straordinaria efficacia. L’attore che perde le inibizioni e la memoria di se stesso – artisticamente parlando – per mutarsi nel personaggio, e darne intenzione e spessore, verticalità. E ridare memoria d’umano. Quel fanciullo insubordinato alle scemenze dittatoriali, alle imposizioni fatte passare per giuste, addirittura necessarie. Un personaggio che si rivolge direttamente agli spiriti assopiti di chi guarda, ridestando suggestioni messe a sonno e traumatizzando sottomissioni a stereotipi di sorta, a disumani imperativi considerati virtuosi.
Per scena, un muro fatto di cubi di cartone. Simbolo immediato. E la scomposizione dell’oggetto per riformulare nuovi soggetti e feticci di scena. E dei bambini portati in proscenio, a farci da specchio. E da modello.
YESO TANG
Con Ali Sohna
Regia Andrea Santantonio
Produzione IAC
UNA DISUBBIDIENZA STRAORDINARIA
Da Il mondo salvato dai ragazzini di Elsa Morante
Regia Andrea Santantonio
Con Nadia Casamassima
Luci Joseph Geoffriau
Produzione IAC
Festival “Nessuno resti fuori – festival di teatro, città e persone”
Matera. Quartiere Agna.
Luglio 2018