ILARIA COSTABILE | Divulgare la passione per il teatro non è mai cosa semplice, soprattutto quando si cerca di instillare in una piccola comunità l’abitudine, la curiosità, verso una forma artistica complessa, ma che riesca ad evocare emozioni e riflessioni di ordine artistico sulle tematiche del vivere. Ed è proprio quello che invece accade nelle vie, sul sagrato della Cattedrale della cittadina di Troia, nella provincia foggiana, dove si è svolta dal 31 Luglio al 5 Agosto la XIII edizione del *Festival *Troia *Teatro, organizzato dall’U.G.T. (Unione Giovanile Troiana) e Teatri 35 Associazione Culturale, con il patrocinio della Regione Puglia e del Comune di Troia.
Nel Festival si intrecciano arti visive e laboratori, arte di strada e musica, ed è presente per l’ottavo anno consecutivo la sezione dedicata ad un concorso teatrale, realizzata con il contributo dell’azienda ECEPLAST, garante del premio il cui vincitore è stabilito da una giuria di critici teatrali. La finalità di questo progetto è quella di mettere in risalto i lavori di artisti e compagnie emergenti, soprattutto indipendenti, che cercano di affermarsi nel teatro di innovazione, nella danza contemporanea e nella performance. Viene dato spazio, quindi, a forme di spettacolo dal vivo che si possono definire “di ricerca”, che abbracciano nuove forme di espressività e includono il pubblico dal punto di vista non solo emotivo, ma talvolta anche performativo.
Tema dell’ edizione appena conclusa è l’Esperienza: quella che deriva dal proprio vissuto o da uno studio approfondito, esperienza come risultante dal ‘mettere in atto’, ma soprattutto l’esperire analizzato nell’abbattimento della quarta parete, nel contatto che si instaura tra performer/attore e pubblico attraverso una relazione diretta.
Sette gli spettacoli in concorso, selezionati dalla direzione artistica di Francesco Ottavio De Santis e Antonella Parrella, che spaziano dal teatro di parola, alla danza, dalla performance, alla rivisitazione di testi cardine della drammaturgia moderna. Agli ideatori di questi lavori è stato concesso, oltre al momento spettacolare vero e proprio, anche un momento di confronto con il pubblico, per analizzare il processo creativo, e approfondire le curiosità innescate in un parterre non sempre abituato allo spettacolo dal vivo. Questa congerie esperienziale, quindi, si concentra nelle ore mattutine del Talking about, un’opportunità, non sempre concessa agli artisti e agli spettatori, di un contatto più colloquiale, che possa rendere il teatro una comunità vera e propria.
L’eterogeneità della proposta spettacolare ha destato una serie di riflessioni e quesiti tra i membri della giuria, da cui è emerso il verdetto finale che ha assegnato la vittoria allo spettacolo di Danilo Giuva “MAMMA”.
“MAMMA” è un’opera che parte da un testo del grande drammaturgo Annibale Ruccello, scritto e da lui interpretato in dialetto napoletano nel 1986. Il testo è costituito da quattro monologhi che inscenano varie declinazioni della figura materna: dall’archetipo fiabesco, –riconoscibile nell’incipit che vede intrecciarsi le favole de Lo cunto de li cunti di Basile- alle interferenze che il mondo contemporaneo ha man mano inserito nella nostra quotidianità, nelle dinamiche comportamentali o nel rapporto tra madre e figli. L’aspetto antropologico del testo è lampante, qui rievocato da Danilo Giuva in una lettura feroce e formalmente impeccabile.
L’uso del vernacolo foggiano, lingua dura, spigolosa e dalla sonorità aspra, non va ad inficiare la comprensione dei monologhi, il cui unico interprete è Giuva, e che si succedono ad un ritmo incalzante e coinvolgente. La traduzione del testo nel suo dialetto risponde ad un’esigenza individuale dell’artista, nel voler esprimere la potenza del drammaturgo partenopeo in modo ancor più viscerale. Lo spazio scenico è vuoto, fatta eccezione per un fondale su cui campeggia un cuore non stilizzato, incorniciato nel bianco. L’unico oggetto sulla scena è una sedia, che viene via via trascinata in ogni angolo del palco, quasi a voler sottolineare le diversità che contrappongono le quattro protagoniste del testo, la cui ferocia attraversa un climax che parte dal fantastico, passando per il delirium mentis, sfociando in quel delirio, quell’ insofferenza di cui sono complici, secondo l’analisi di Ruccello, televisione ed altri media.
Lo spettacolo si apre con un suono continuo, insistente, quasi ricorda un acufene che si imprime nella mente dello spettatore e che sembra voler introdurre alla narrazione, a cui si sommano degli accenti di musica elettronica che si annullano nell’exploit finale di “Ci sarà” canzone di Albano Carrisi e Romina Power omaggio dell’artista a sua madre.
Sebbene sia un uomo a ricoprire il ruolo femminile, o forse proprio per questo, la tensione emotiva che Danilo Giuva è in grado di trasmettere tanto nei momenti di isteria, quanto nel raffrontarsi con l’imprevisto, assume tratti man mano più realistici, concreti, che conferiscono a questo lavoro una maturità espressiva, e una struttura drammaturgica circolare, in cui il ruolo della madre viene scandagliato nelle sue oscurità, nel suo carattere di feticcio, come dimostra il grembo in silicone bianco che l’artista adagia su di sé, maneggiandolo ed esasperandone la figura e il significato. La tenerezza che canonicamente contraddistingue la figura materna si trasforma in una cattiveria pungente, talvolta crudele, che in maniera straniante induce al riso, per poi toccare attimi di altissima tensione drammatica. Si delinea l’immagine di una madre snaturata, disinteressata, che parla a telefono con un’amica, che urla, che fuma nonostante sia incinta, che è soggiogata dal giudizio altrui, che minaccia, che rivendica il suo ruolo di onnipotenza, la cui anima muore quando sua figlia che è parte di quel cuore, così ben riprodotto sulla parete, decide di suicidarsi. Uno spettacolo, Mamma, che coniuga urgenze individuali con istanze sociali, rianimando, attraverso il suo sentire la coscienza collettiva.
Sono state assegnate dai giudici anche due menzioni speciali. La prima all’Associazione Culturale 20chiavi in concorso con lo spettacolo “Paura e Delirio”: un lavoro in cui il rapporto con lo spettatore diventa centrale dal punto di vista emotivo. Uno scenario scarno è quello che appare: un tavolo centrale, due sedie, un mobile quadrato con dei piatti in evidenza; essenziale è anche la scelta dei costumi da parte dei due interpreti che indossano una tuta sportiva di colore rosso. Una drammaturgia, quella di Ferdinando Vaselli, restituita al pubblico in coppia con Alessia Belardi, che si svolge in uno spazio chiuso, quasi asfissiante. Una casa in cui i rapporti tra fratello e sorella, protagonisti della vicenda, si esasperano sfociando nella disperazione, facendo emergere le paure più nascoste. La vicenda si svolge in un quartiere della cosiddetta Roma Sud, degradato, al limite dell’integrazione sociale, dove sono gli immigrati ad avere il controllo, dove il delinquere diventa normale e la rabbia l’unica risposta per combattere. Lo sfratto dalla loro casa diventa il pretesto per cercare di racimolare dei soldi in modo immediato, ma non conforme alla legge. Il germe sociale, insito nello spettacolo, si insinua tra le battute, gli intermezzi musicali, il romanesco stretto, in un linguaggio volutamente ‘sporco’ che allontana e unifica il sentire del pubblico, portato a simpatizzare con il desiderio materno di lei, seppur di un figlio non suo, un figlio rapito, un bambino intriso dell’odore di un riscatto. Il dolore e il delirio si fondono in un susseguirsi di scene la cui intensità è calibrata anche da un uso sapiente delle luci. I momenti salienti della messa in scena, infatti, sono scanditi da una diversa illuminazione: dalla ninna nanna soffusa, alle luci quasi abbaglianti in primo piano, nei momenti di più alta tensione. Una commedia aspra, violenta e malinconica rappresentata dal duo Vaselli-Belardi, che mette in scena il frutto di interviste realizzate sul tema dell’allestimento, uno studio approfondito poi diventato spettacolo.
Ed infine, ultima menzione, ai Sonenalè- Agostino Riola, Riccardo Fusiello- presentatisi con “Lo spazio delle relazioni”. Dieci sono i partecipanti alla performance, scelti dai due autori tra un ventaglio di candidati. Gli attori non professionisti vengono istruiti prima dello spettacolo su come muoversi sulla scena, ma senza sapere l’ordine cronologico in cui gli verranno comunicate queste indicazioni: non sanno quindi cosa accadrà di preciso, ma sanno di dover reagire utilizzando unicamente il proprio corpo. L’obiettivo dello spettacolo è proprio quello di analizzare lo spazio che c’è tra i corpi sulla scena, utilizzando delle definizioni che derivano dagli studi dell’antropologo americano Edward Hall, raccolte nel suo libro La dimensione nascosta. Lo spazio che all’occhio umano sembra vuoto in realtà è attraversato da una serie di legami ed acquisisce una densità che non sempre siamo in grado di individuare. Una scelta performativa, quella dei Sonenalè, piuttosto coraggiosa ma che dà vita ad una performance emozionale, genuina ed interessante per la relazione che si crea tra attori non professionisti e il regista, ma soprattutto per l’effetto che scatena sul pubblico. Nulla cattura lo sguardo se non gli attori, non vi sono giochi di luci, non vi è una scenografia se non una scrivania e una sedia sulla quale siede il regista. “Lo spazio delle relazioni” rappresenta una modalità diversa di spettacolo nella quale si mette in atto una vera e propria indagine sociale, esaltando il singolo e offrendogli l’opportunità di mostrarsi.
Un Festival focalizzatosi sull’esperienza, durante il quale si è svolto l’incontro del progetto C.Re.S.Co in cui si è indagato LO STATO DELL’ ARTE e che ha visto protagonisti esponenti della scena teatrale che negli ultimi decenni hanno apportato rivoluzioni significative nel concetto di rappresentazione: a partire dai Motus, Kinkaleri, Deflorian/Tagliarini, Michele Sinisi. Il regista pugliese ha inoltre offerto alla comunità di Troia il suo Riccardo III: un esempio di potenza scenica, di impatto fisico e sensoriale di grande rilievo.
Il *Festival *Troia *Teatro si presenta, quindi, come una realtà che mira a radicarsi sempre di più in un territorio non facile ma assetato di nuovo, in cui è evidente l’urgenza di supportare il teatro nel suo valore sociale, dove l’idea di comunità è alla base di un progetto culturale che include chiunque si mostri interessato ad approfondire la sua conoscenza non solo in materia teatrale, chiunque sia disposto a fare nuove esperienze. Un festival che nasce in risposta ad una concezione passiva della cultura, che si propone di stimolare l’innovazione, che sceglie di stanziarsi in un luogo lontano dalla fruizione di massa, ma che invece si rivela un punto di raccolta di idee, progetti, cambiamenti concentrati sì in poco tempo, ma comunque dimostrazione della volontà di aprire nuove strade all’arte in ogni sua manifestazione.
MAMMA
regia e spazio Danilo Giuva
consulenza artistica Valerio Peroni, Alice Occhiali
luci Cristina Allegrini
musiche e suoni Giuseppe Casamassima
fondale Silvia Rossini
organizzazione Antonella Dipierro
assistente alla regia Riccardo Lacerenza
produzione Compagnia Licia Lanera
PAURA E DELIRIO
di e con Alessia Belardi Ferdinando Vaselli
musiche Sebastiano Forte
disegno luci Gianni Strapoli
aiuto regia Marianna Arbia
LO SPAZIO DELLE RELAZIONI
progetto e coreografia: Riccardo Fusiello
con Riccardo Fusiello e dieci persone selezionate per ogni replica
collaborazione artistica Agostino Riola
produzione SONENALÉ
con il contributo di Regione Puglia
residenze coreografiche Aarhus Performing Arts Centre (Danimarca)
sostegno di Etre Lombardia
esperimenti coreografici Palazzo Tupputi Laboratorio Urbano (Bisceglie), Teatro Civico 14 (Caserta)