ANTONIO CRETELLA | C’era un tempo all’entrata della città un’enorme entrata, larga più di dieci carri messi in fila, da cui gli uomini passavano liberamente, entrando e uscendo senza scontrarsi perché lo spazio era sufficiente per tutti. Il re, un giorno, stanco di mescolarsi tra i sudditi, fece costruire nottetempo un pilastro al centro dell’entrata, e da quel momento in poi la parte destra sarebbe stata riservata a lui. I sudditi, pur meravigliati, si dissero che in fondo era giusto, lui era il re, e a loro restava comunque lo spazio di cinque carri. La figlia del re, però, smaniosa e smorfiosetta, voleva anch’ella uno spazio tutto per sé, perciò ordinò che al centro dello spazio lasciato ai sudditi fosse eretto un nuovo pilastro e la corsia al centro fosse solo per lei. I sudditi dovevano ora accontentarsi dello spazio di due carri e mezzo, anzi, solo di due, perché in realtà i servi della principessa, pensando di farle cosa gradita e di esserne premiati, spostarono il pilastro mezzo carro più in là per dare più spazio alla sua corsia. Era giusto, si dissero i sudditi, in fondo è la principessa. Ora nell’entrata dei sudditi era difficile entrare o uscire: le persone si ammassavano in fila, si urtavano, si spingevano, ognuno accusava l’altra di voler prendere il suo posto e di usurpare la sua precendenza.
Il popolo cominciò a lamentarsi e le lamentele arrivarono all’orecchio del re, il quale decise di prendere provvedimenti: annunciò che il problema erano i troppi stranieri che entravano e uscivano liberamente dalla città e toglievano spazio ai cittadini, e per evitarlo, fece murare gran parte della corsia dei sudditi, in modo che solo una persona alla volta potesse entrare o uscire. I cittadini da allora, stipati in fila in lunghissime attese, maledicevano le stirpi straniere nemiche della patria che avevano tolto loro la libertà di entrare e uscire, mentre vedevano il re e la principessa entrare e uscire liberamente da soli nello spazio di otto carri.