LAURA BEVIONE | Si è aperta con uno spettacolo premiato e assai apprezzato – e che, nondimeno, ancora non era stato ospitato sui palcoscenici piemontesi – la seconda settimana di Concentrica in Centro. Animali da bar, secondo capitolo di una trilogia iniziata con Thanks for Vaselina e conclusa con Cous Cous Klan, testimonia dell’indubbio talento di Carrozzeria Orfeo nel creare spettacoli di agevole fruizione ma non per questo superficiali ovvero qualunquisti, bensì sottesi dalla sicura volontà di offrire spaccati di una realtà di cui si colgono con lucidità contraddizioni e miserie.
Uno spettacolo assai apprezzato dal pubblico in sala. Molte le risate ma il loro retrogusto amaro implicitamente invita ad assumere un punto di vista differente su contesti che quotidianamente attraversiamo ovvero viviamo: il bar in cui si incrociano le precarie esistenze dei cinque protagonisti non è che uno spaccato – neanche troppo grottescamente figurato – della contemporaneità, costantemente corteggiata dalle facili illusioni e inevitabilmente destinata al fallimento.
Una contemporaneità incapace di seppellire le proprie meschinità, le stesse cui allude Alice Conti nel suo Stratr*ia, surreale eppure concretissimo ritratto di un mondo che ancora odia le donne.
Un paese, Troiaio, guidato da un oscuro generale con occhiali neri e corredo di medaglie – al valore? – è turbato dalla scomparsa di S., giovane donna incaricata di occuparsi della serra in cui vengono allevate colorate e preziose farfalle. Una ragazza che conosciamo attraverso le parole di vari personaggi maschili – tutti interpretati dalla camaleontica attrice – accomunati da una granitica e quasi primitiva misoginia. Oltre al succitato, inquietante militare, il viscido scienziato, il guardiano onanista e il macellaio fedifrago. E pure una donna – un pupazzo di dimensioni reali adagiato su una sedia – madre del guardiano e prima accusatrice della presunta ambiguità della scomparsa: sappiamo bene come la solidarietà femminile, soprattutto fra generazioni tanto distanti, sia una pura leggenda o una pia illusione…
La vicenda di S., smarritasi nel bosco che circonda il paese, è esemplare di una concezione maschilista della donna, una visione atavica e assai dura da sconfiggere: ecco allora che le immagini in bianco e nero di ballerine poco vestite del primo dopoguerra così come le pubblicità vintage di calze femminili rivelino un voyeurismo brutale e lascivo tuttora vivo e vegeto.
Lo spettacolo traccia così una linea fra passato e presente, denunciando il mancato tradursi delle osannate pari opportunità in un concreto riconoscimento dell’identità complessa della donna, al di là della sua fisicità. Ecco, allora, che S. esiste in primo luogo quale oggetto sessuale, “farfalla” che, probabilmente, ha richiesto di essere qualcosa di più.
Alice Conti e le sue inventive e intelligenti collaboratrici – non a caso un lavoro creato da donne – dispiegano un racconto distopico e inquietante e, ricorrendo alla metafora delle farfalle, appunto, figurano con sferzante efficacia la brutalità di una società incapace di riconoscere e dunque difendere la metà dei suoi membri. Uno spettacolo che turba e colpisce come un pugno il ventre duro di stereotipi e consuetudini machiste ritenute innocue, costringendo a interrogarsi su quanto quella perniciosa mentalità generatrice di stupri e femminicidi sia quotidianamente nutrita dalla nostra accidiosa indifferenza.
Della contemporanea incapacità a distinguere con salda certezza ciò che è giusto e ciò che è sbagliato tratta pure Nessuna pietà per l’arbitro, messo in scena dal Centro Teatrale MaMiMò di Reggio Emilia. Il testo scritto da Emanuele Aldrovandi affronta molte – forse troppe – tematiche: il rapporto padri-figli e il confronto ideologico-politico con le generazioni precedenti; le fragili dinamiche familiari e le difficoltà economiche; lo smarrimento dei giovani, privati di concrete prospettive future, e lo sport quale ipotetico spazio di giustizia…
Lo sfondo scelto è la pallacanestro – i personaggi indossano abiti che sono divise da gioco e palleggiano a tratti vari palloni, raccolti in una cassa – e la metafora quella di una partita andata male senza averne apparentemente colpa. I protagonisti, una famiglia “allargata” – marito, moglie incinta, e figlio di primo letto di lei – e un arbitro che è anche responsabile dei colloqui di una ditta presso la quale il ragazzo aspirerebbe a farsi assumere. La trama: un presunto omicidio accidentale che svela pulsioni e ansie dei protagonisti, mettendone a nudo insicurezze e vivo istinto di sopravvivenza.
Lo spettacolo procede fluido, fra flashback e a parte, dialoghi rapidi e suono ritmato dei palloni, ma la sensazione è che si siano voluti trattare troppi temi senza però svilupparli in modo soddisfacente, lasciando sospese questioni tutt’altro che superficiali.
ANIMALI DA BAR
drammaturgia Gabriele Di Luca
regia Alessandro Tedeschi, Gabriele Di Luca, Massimiliano Setti
scene Maria Spazzi
costumi Erika Carretta
luci Giovanni Berti
musiche originali Massimiliano Setti
interpreti Beatrice Schiros, Gabriele Di Luca, Massimiliano Setti, Pier Luigi Pasino, Paolo Li Volsi, Alessandro Haber (voce fuori campo)
produzione Carrozzeria Orfeo, in coproduzione con Marche Teatro, Teatro dell’Elfo, Teatro Eliseo
Teatro Vittoria – Torino
15 novembre 2018
STRATR*IA Storia di un paese
ideazione, regia e interpretazione Alice Conti
testo Chiara Zingariello
audio, luci, scena, videomapping Alice Colla
costumi Eleonora Duse
produzione Ortika, con la collaborazione di Pop Torino, Evoé!Teatro Rovereto, UOT Parma, LAB121 Milano, Sala Ichòs Napoli, Teatro della Contraddizione Milano, Teatro della Caduta, Torino
NESSUNA PIETÀ PER L’ARBITRO
di Emanuele Aldrovandi
regia Marco Maccieri, Angela Ruozzi
scene Antonio Panzuto
costumi Rosa Mariotti
luci Silvia Clai
interpreti Filippo Bedeschi, Luca Mammoli, Federica Ombrato, Alessandro Vezzani
produzione Centro Teatrale MaMiMò
Arca Studios – Torino
16 novembre 2018