RENZO FRANCABANDERA e FRANCESCA GIULIANI |
1 – COSA È AMINTA
RF: Direi di iniziare dalla base indiscutibile, come sempre facciamo con i classici, per favorirne la conoscenza. A questo link si trova il pdf dell’Aminta. È un poema in cinque atti di Torquato Tasso scritto intorno al 1573 e pubblicato sette anni dopo. Destinato alla rappresentazione, come d’uso all’epoca, per il diletto della corte, pare sia stato portato in scena a fine luglio 1573, a Ferrara dalla Compagnia dei Gelosi, fra le massime espressioni della commedia dell’Arte all’epoca. L’anno dopo fu replicato anche a Urbino, su richiesta della duchessa Lucrezia d’Este amica del Tasso. Il poeta del ‘500 italiano, nato a Sorrento si era infatti trasferito proprio fra Ferrara e Urbino per le vicissitudini complesse che la penisola conobbe in quegli anni fino alla pace di Cateau-Cambrésis, che mise fine alla guerra tra Francia e Impero.
Da allora buona parte dell’Italia fu, per un secolo e mezzo sotto l’influenza spagnola, cosa che legherà la penisola al progressivo declino iberico nel 1600, quando l’oro e l’argento smisero di arrivare dalle colonie.
Ma torniamo ad Aminta.
La vicenda di carattere bucolico racconta la storia d’amore travagliata fra Aminta, un pastore, e Silvia, una ninfa mortale. Un amore non ricambiato che Dafne, amica di Silvia, cerca di facilitare invogliando il pastore a recarsi alla fonte dove di solito Silvia si bagna.
Ma proprio mentre è alla fonte, Silvia viene aggredita da un satiro che prova a violentarla. Provvidenziale è l’arrivo del pastore che salva la ninfa, la quale però fugge senza degnare l’uomo neanche di un ringraziamento. Successivamente Aminta, sempre sulle tracce della sua ninfa, trova un velo del suo vestito sporco di sangue e pensa che sia stata sbranata dai lupi. Un topos letterario abbastanza in linea con la vicenda di Piramo e Tisbe raccontata da Ovidio nelle Metamorfosi, ripresa a fine 400 da Ariosto e poi da Shakespeare nel 1595 sia come piccolo cammeo del Sogno affidato alla compagnia degli artigiani, che in forma estesa in Romeo e Giulietta. Anche in questo caso l’innamorato, distrutto per la presunta morte dell’amata, decide di suicidarsi gettandosi da una rupe. Qui però, a differenza che nella vicenda dei due amanti di Ovidio e nella lectio drammatica shakespeariana, la vicenda finisce bene: Silvia, presa dal rimorso e resasi conto di amare Aminta, si avvicina al corpo del pastore che crede morto. Ma Aminta invece si è salvato, grazie a un cespuglio che ha attutito la caduta.
E tutti vissero felici e contenti.
2 – PERCHÈ LATELLA HA SCELTO DI METTERE IN SCENA AMINTA
RF: In un puntuale articolo di Michela Mastroianni redatto per PAC in occasione della presentazione pubblica del progetto dopo la residenza ad Esanatoglia, si spiega molto nel dettaglio il riferimento a un’esigenza di pulizia assoluta maturata dal regista, e da lui stesso dichiarata in una chiacchierata tenutasi proprio al Teatro Comunale di Esanatoglia con Gilberto Santini di AMAT. A questi due importanti contributi rimandiamo, per approfondire questi temi.
FG: La traccia dello spettacolo è nell’architettura della lingua, le lingue, cui resta sottesa l’attenzione alla parola come veicolo di ricostruzione di una memoria collettiva. Questo ha scelto di fare Antonio Latella con la sua Compagnia stabilemobile, sostenuti da Amat (Associazione marchigiana attività teatrali) quando decide di riattivare le parole di Tasso per operare una ricostruzione della memoria in un progetto sostenuto da MiBAC e Regione Marche “Lo spettacolo dal vivo per la rinascita dal sisma”. Al debutto a Macerata nei primi giorni di novembre 2018 gli attori di questa Aminta, presentando il lavoro, hanno tenuto a sottolineare l’operazione politica condotta insieme al regista e alla drammaturga Linda Dalisi per riportare in vita e in scena il testo di Torquato Tasso. Un testo scritto nella “lingua delle origini” così lontana dalla «neolingua di ingiurie e derisioni creata per scatenare la rabbia e viaggiare sui social» formulata dal nuovo vocabolario italiano. Scelta politica quindi quella di stabilemobile anche perché, riscrivendo quel testo, ha, da un lato, raccontato tra le righe la rivoluzione letteraria fatta dal Tasso stesso in anni di fermenti culturali, dall’altro ha lanciato una freccia diretta sull’oggi, sul cambio di sguardo della cultura “alta” rispetto a quella considerata “bassa”.
3 – IL TEMA DELLA LINGUA OGGI
FG: Mi piace cercare di spiegare il mio pensiero facendo riferimento qui alle parole di un intellettuale keniota, Ngugi Wa Thiong’ò, che scrive
Quando è cultura, la lingua è la banca della memoria collettiva dell’esperienza di un popolo nella storia. In questo senso, distinguere fra lingua e cultura è quasi impossibile, perché è la lingua che permette la crescita, la preservazione, l’articolazione e la trasmissione della cultura da una generazione all’altra.
RF: Il contributo che Latella, con la Compagnia stabilemobile, cerca di dare al teatro oggi, in questa sostanzialmente fedele riscrittura per la scena del dramma pastorale, ha il crisma di un oggetto che cade nella palude teatrale con la potenza di un meteorite.
Che senso ha oggi ascoltare per due ore e mezza la recita integrale di un poema in una lingua arcaica e scivolosa, a cui è difficile aggrapparsi, cercandone la comprensione? Il periodare complesso, il ritmo della parola, il lessico desueto ci sfidano a una scalata in cui i punti di appoggio continuano a venirci meno non appena ne afferriamo uno. È una continua resa, che sancisce la supremazia della parola sul suo portato simbolico. È un atto quasi violento a suo modo. Un richiamo a cosa non siamo più in grado di fare: l’attenzione al senso profondo delle cose, la comprensione del testo poetico.
È la viva testimonianza del processo di imbarbarimento e di abbandono della conoscenza di quella che è la nostra storia, la nostra cultura sociale.
4 – LE SCELTE REGISTICHE DI LATELLA
FG: Il nero e il giallo-ocra tendente all’oro danno la cromatura visiva a tutto l’impianto scenico, dai vestiti alla scenografia fin dentro i manifesti pubblicitari. La scena è spoglia, un cerchio di quel giallo-ocra delimita lo spazio dentro il quale stanno, per lo più immobili, i quattro attori, Michelangelo Dalisi, Emanuele Turetta, Matilde Vigna, Giuliana Bianca Vigogna. Il dire, la parola è al centro del lavoro. Gli attori immobili si fanno trapassare completamente da una lingua così antica da sembrare straniera, a tratti incomprensibile, straniante come straniante è in alcuni sensi l’Amore, che è, poi, il tema centrale dell’opera. E lo fanno con una precisione assoluta arricchita da potenti metafore che dall’inizio alla fine richiamano l’attenzione sulla scelta registica.
RF: Gli attori, ciascuno con microfono, sono in una sorta di ring circolare, un incontro di pugilato con la parola. Attorno a loro, un binario percorso a lentezza estenuante da un faro mobile, su una impalcatura che porta la luce ad altezza dei volti. Questa l’idea di Giuseppe Stellato per la scena, corroborata e di fatto integrata dal gioco della luce di Simone De Angelis che, oltre alla lenta radialità quasi astrale, poco altro aggiunge nella prima parte, per poi coadiuvare nella seconda un paio di situazioni di maggior distacco dal testo del Tasso.
Persino i movimenti degli attori, minimi per gran parte dell’allestimento e governati da Francesco Manetti – collaboratore fin quasi dagli esordi alla regia di Latella – hanno questo carattere satellitare. Tutto ruota attorno alla parola.
5 – I MOMENTI CARDINE DELL’AMINTA SECONDO NOI
FG: Sono tre i momenti cardine, secondo me.
Il primo. Silvia, la quasi eterea fanciulla che non vuole saper nulla dell’amore di Aminta e degli uomini, resta per tutta la prima parte dello spettacolo di spalle tranne che per alcuni brevi momenti nei quali si volta al pubblico mostrando quel volto di rabbia che ritroveremo ben inscritto nella seconda parte dove l’atmosfera quasi onirica dell’inizio si fa dark rock. È in questo momento che Silvia, stringendo fra le braccia una chitarra, grida i versi del Tasso facendo eco alla rabbia di una giovane PJ Harvey che nei suoi testi si dibatteva furiosamente tra desiderio e frustrazione, passione per il sesso e la sua negazione.
Poi c’è la scena centrale che fa da snodo alle due precise cifre registiche di Latella: qui Silvia da preda si fa predatrice, mettendo in scena quello che Tasso le fa vivere solo attraverso il racconto di altri. Quello che all’inizio sembra un sensuale spogliarello di Aminta, si trasforma ben presto in una sorta di rapporto che iconograficamente rimanda a al sadomaso, per rilasciarci l’immagine del corpo di Silvia, legata a un albero dal satiro violento, traslato sul corpo di Aminta che si fa nuovo San Sebastiano trafitto da microfoni puntati sull’addome.
La terza e ultima scena cardine è quella dell’intenso Michelangelo Dalisi che è Tirsi e Tasso stesso, e che gira per tutta la seconda parte dello spettacolo temperando una matita. È lui il poeta che scrive la scena mentre si fa, la contiene e ne tratteggia i confini precisi.
RF: Ho visto lo spettacolo (in questi giorni a Milano in Triennale e poi a Roma per la chiusura della tournée) al Teatro Cucinelli di Solomeo pochi giorni dopo il debutto. Ho ancora addosso la sensazione di essere straniero a casa. Una circostanza spiazzante, per un appassionato del letterario. Ma come? Possibile non riuscire a star dietro al testo, a mettere assieme il senso compiuto di due frasi in fila?
Mi sovvengono ora altri tentativi ambiziosi di rapporto fra scena e lingua, come alcuni esperimenti di Anagoor in latino con Virgilio brucia! ad esempio, il dramma di una sorta di Alzheimer poetico-letterario che ci fa franare sotto i piedi il passato, quello che siamo stati.
Nulla come la lingua segna l’inesorabile impoverimento del nostro tempo, il barbaro bisogno di povera sintesi, quella spremuta di finta conoscenza in quattro, cinque punti al massimo, pronta per una scrollata di mouse e poi via.
Eccole, le cinque cose da sapere sull’Aminta di Latella.
Servite.
AMINTA
di Torquato Tasso
regia Antonio Latella
con Michelangelo Dalisi, Emanuele Turetta, Matilde Vigna, Giuliana Bianca Vigogna
drammaturga Linda Dalisi
scene Giuseppe Stellato
costumi Graziella Pepe
musiche e suono Franco Visioli
luci Simone De Angelis
movimenti Francesco Manetti
assistente alla regia Francesca Giolivo
production Brunella Giolivo
management Michele Mele
produzione stabilemobile
in collaborazione con AMAT e Comuni di Macerata e Esanatoglia nell’ambito di “Marche inVita. Lo spettacolo dal vivo per la rinascita dal sisma” progetto di MiBAC e Regione Marche coordinato da Consorzio Marche Spettacolo