RENZO FRANCABANDERA | Non arrendersi alla semplicità del brutto ma coltivare il bello nelle sue forme più disparate e ibride. Da sempre la pratica della cultura è quella di aiutare il suo tempo a ragionare sulle complessità. Venerdì 11 gennaio a Roma presso lo spazio Angelo Mai sì è tenuta una conferenza-incontro sul concetto di comunità nel mondo dell’arte, e del teatro in particolare, con uno sguardo alle pratiche del teatro sociale e del teatro sociale d’arte. Si è trattato di un incontro organizzato da Asinitas Onlus che ha visto attorno al tavolo (che in realtà non c’era) i fautori di pratiche finora messe in campo da una serie di realtà storiche italiane, operative in questo ambito culturale, insieme a figure apicali della pubblica amministrazione che negli anni hanno contribuito a indirizzare in maniera aperta e corale le possibilità dell’arte in Italia, cui si sono unite voci della stampa specialistica e studiosi di teatro.
Sicuramente il contesto politico sta ponendo questa specifica comunità di fronte a una sfida molto grande che, tuttavia, si è sempre data, nei corsi e ricorsi della storia. Quindi nessuna rassegnazione negli interventi, ma, anzi, una ancor più forte determinazione a capire chi si è, a chi ci si rivolge, e soprattutto con quali domande; tematiche queste introdotte dall’intervento iniziale di Cecilia Bartoli di Asinitas, che sostenuta da Fondazione San Zeno di Verona ha permesso l’iniziativa.
La centralità del tema della perdita del luogo ancestrale casa natale. L’essere fuori e oltre il proprio territorio di nascita. E l’incontro scontro con la cultura altra, cosa che non vive solo il migrante ma chiunque affronti uno spostamento, anche da Sud a Nord in Italia stessa.
Oltre alle storiche e, verrebbe quasi da dire, leggendarie esperienze del Teatro delle Albe (Laura Redaelli) e di Teatro dell’Argine(Giulia Musumeci) e Cantieri Meticci (Alessia Del Bianco) di Bologna, altre realtà, in parte anche figlie di queste o eredi e qualche titolo di un testimone sempre vivo, si sono confrontate, riflettendo anche su momenti cruciali e complessi, come quella sorta di spartiacque che è per tutti l’esito scenico, il risultato finale.
Da questo punto di vista, nella pratica didattica si sono sempre confrontati, da un lato, coloro che davano preminenza all’esperienza teatro in quanto tale, alla sua necessità (tipicamente operatori sociali e psicoterapeuti attivi nelle comunità), per i quali il valore dell’esito scenico finale rimane una questione più sfumata; dall’altro lato, invece, più spesso i teatranti che operano in questo ambito, che guardano al rigore compositivo e alla maturazione e allo sviluppo di abilità soggettive, per riuscire a realizzare delle creazioni capaci di raggiungere uno spessore artistico che incorpori un valore simbolico ancor più forte. Interessanti gli stimoli di antropologia culturale forniti da Guido di Palma, organizzatore anche negli anni passati del primo Master in Teatro Sociale, che ha favorito nel suo intervento rimandi di pensiero all’esperienza cruciale di meticciato culturale “forzato” dello studioso Malinowski con il quale prese il via la moderna antropologia etnografica, o agli studi e al confronto fra le scritture alfabetiche e ideografiche di François Jullien.
Una provocazione ha voluto lanciarla il giornalista e critico teatrale Antonio Audino proprio sulla necessità che gli esiti scenici di teatro sociale rifuggano la didascalia e vadano oltre il rimando ai partecipanti in quanto migranti, per farli tornare a essere individui applicati all’arte, anche per sfuggire al pietismo con cui solitamente le operazioni vengono guardate dalla gran parte del pubblico, e quindi per riportare comunque a una centralità dell’arte e del teatro come esperienza.
E su questa frontiera di comprensione e quindi di integrazione si muove a Roma la preziosa attività di Luca Lotano che, sulla scia delle tematiche connesse all’audience development, ha avviato il progetto Spettatori Migranti con cui porta a teatro ragazzi migranti e poi stimola il confronto concettuale sulle visioni, in modo da dare loro la possibilità di fruire della cultura del paese che li ospita in forma organica e ragionata, consentendo anche un progressivo abbattimento non solo della barriera linguistica ma anche di quella più generale dei linguaggi.
NARIKHONTO – Voci oltre i confini è uno spettacolo che, con il filo conduttore di Alice nel paese delle Meraviglie e di altre fiabe delle tradizioni di tutto il mondo sul senso dell’identità, e con il ricorso a canti, danze, intrecciate a pregevoli inserzioni di videoarte e riusciti cammei di teatro d’ombra, permette a un gruppo meticcio di migranti di prima e seconda generazione e attrici italiane di dare vita ad una rappresentazione onirica e in diversi momenti particolarmente intensa.
Le donne con le loro esperienze, voci e tradizioni che di volta in volta si allontanano ed avvicinano fra specificità identitarie e comunanze che superano i confini. Resta qualche didascalia drammaturgica sicuramente eliminabile – se guardiamo l’operazione col crisma del prodotto d’arte che in qualche modo comunque ambisce a essere – ma pure una coralità pregevole, da sfruttare meglio ricorrendo con più determinazione all’arte della sintesi. Un lavoro, comunque, molto umano. Profondo. Creativo.
Hanno partecipato come relatori al convegno
Guido di Palma: Docente, La Sapienza – Roma
Dina Giuseppetti: Matemu’ Cies – Roma
Antonio Audino: Critico teatrale – Roma
Emanuele Valente: Punta corsara – Napoli
Laura Redaelli: Teatro delle Albe – Ravenna
Giulia Musumeci: Teatro dell’argine – Bologna
Alessia Del Bianco: Cantieri meticci – Bologna
Nicola Laieta: Maestri di strada Ass. 3 rote – Napoli
Luca Lotano: Spettatori Migranti – Roma
Paolo Masini: Ideatore concorso Migrarti del MIBACT
Moderatrice: Cecilia Bartoli – Asinitas – Roma
NARIKHONTO – Voci oltre i confini
Drammaturgia e Regia Emanuela Ponzano
Musiche a cura di Davide Mastrogiovanni
Teatro
d’ombra Virginie Ransart
Assistente alla regia Viviana Di Bert
Costruzione scene Claudio
Petrucci
Costumi e oggetti di scena Maria Stella Moschini
Movimento scenico Daniela De
Angelis e Sushmita Sultana
Musica dal vivo Daniela De Angelis e Antonia
Harper
Coordinamenti interni Asinitas, Beths Ampuero, Daria Mariotti, Alessandra
Smerilli
Scrittura scenica e organizzazione Cecilia Bartoli
Disegno luci Andrea Gallo
Fonica
Franco Pietropaoli
Comunicazione Elena Canestrari
PRODUZIONE ASINITAS ONLUS – TEATRO VASCELLO MIGRARTI 2018
Con il supporto della compagnia KAOS per scenografia ed artisti
Teatro India 23-24 Giugno / Teatro Vascello 4-5 luglio 2018
Interpreti Mona Mohamed Abo Khatwa, Sanjida Akther, Sushmita Sultana, Adenike Ajibola, Cynthia Enotoe, Israt Jahan, Tania Akther, Rezeki Junielsy, Maria Luisa Usai, ElenaFioretti, Rossella Pazienza, Laura Ciavardini, Federeica Mezza, Daria Mariotti, Marinella Ottier, Livia Luberto, Ilaria Minio Paluello, Almaz Raffaele, Fatima Edith Maiga, Antonia Harper, Daniela De Angelis, Rosanna Gullà, Behts Ampuero Valera.