FEDERICA GUZZON | L’impegno di Distretto Creativo non si è esaurito nel Festival a Civita Castellana, ma invade nuovi spazi, coinvolge altre energie.
Ferdinando Vaselli e Alessia Berardi portano a Roma il loro bagaglio di esperienza, il frutto dei percorsi laboratoriali condotti durante il festival.
Distretto lavora da anni con le realtà marginali e riesce bene, attraverso il teatro, ad aprire un dialogo con esse. E lo fa con altri teatranti che si impegnano nel sociale e con i quali si sta sviluppando una rete, importante per sostenersi a vicenda. All’Incontro su teatro e adolescenza hanno partecipato attori, sceneggiatori e registi da tutta Italia e quello che è emerso è che il teatro fa davvero bene alla comunità e agli artisti.
Fare teatro, del resto, significa relazionarsi con la comunità; non si può prescindere dallo spettatore. Il teatro è un passo a due, è un’allegoria del mondo dove la mente e il cuore danzano in bilico tra la realtà conosciuta e quella sognata.
Distretto Creativo lo sa bene e si innerva nella società per riportarla in questo spazio magico per comprenderla e condurla verso nuovi orizzonti. La sua azione sconfina, eleggendo a palcoscenico i luoghi comuni del nostro vivere. Al Distretto Festival è stato portato il teatro nei centri anziani e nel centro commerciale di Civita Castellana. Giocano a invertire il significato del luogo con il suo significante, stimolando a cambiare punto di vista.
Abbiamo parlato con Ferdinando Vaselli di questo loro operato.
Di tutte le esperienze che vivete grazie alle attività di Distretto cosa vi torna indietro, cosa rimane nei vostri spettacoli?
Il nostro teatro si nutre delle relazioni, si nutre della vita delle persone, delle loro storie. Il nostro è teatro sociale perché ci mettiamo in ascolto del mondo che ci circonda ma anche perché lo filtriamo con il nostro sguardo.
Ascoltare, questo è il centro, conservare la memoria attraverso le interviste e dimenticarsene per restituire il nostro sguardo.
Sul palco arrivano così le storie di vite che (forse) non sono le nostre. Se questo accade la comunità ci si riconosce e ne scaturisce un’emozione a volte primitiva, rituale, così come era il significato originario del fare teatro.
State lavorando a Brutto!, che debutterà a metà aprile. Questo spettacolo ha delle relazioni con il lavoro nei laboratori e le tematiche di incontro e confronto affrontate a Distretto Festival?
Questo lavoro pone l centro le autorappresentazioni: Come mi vedo? Come mi vedono gli altri? Come vorrei che gli altri mi vedessero?
Partiamo dalla favola del Brutto anatroccolo, lo sfigato che diventa figo, per esplorare il tema della bellezza.
Attraverso le immagini, la propria e quella che vogliamo dare, indaghiamo i nostri desideri, analizziamo la nostra condanna di sentirci diversi e a volte non accettati dagli altri, come se fossimo fuori misura.
Tutto ciò diventerà uno spettacolo per bambini.
Debutterà ad aprile in una forma di studio ed è partito da un lavoro che abbiamo realizzato con 500 adolescenti e un gruppo di utenti di un centro diurno oltre a circa 150 bambini delle elementari.
A Distretto Festival abbiamo visto i saggi dei ragazzi delle superiori e del centro diurno, ma voi lavorate anche nei quartieri periferici. Come è iniziata questa esperienza e come siete riusciti a inserirvi in queste dinamiche sociali?
Il lavoro nei quartieri di Roma è nato nel 2010 al Teatro Quarticciolo e poi si è spostato a San Lorenzo, a Trastevere ed è arrivato infine a Torpignattara.
Il nostro lavoro ha assunto in questi anni diverse forme. Dal laboratorio con attori e non attori, agli spettacoli. Abbiamo attraversato il quartiere, passando dentro a negozi, palazzi e abitazioni, coinvolgendo cittadini, studenti, immigrati e pensionati. Lo abbiamo fatto in modo diretto e indiretto, con interviste, interventi e la recitazione.
La comunità dei quartieri come quelli di Roma è complessa ed è ovviamente difficile da intercettare. Per farlo cerchiamo di tematizzare per coinvolgerne alcune parti, come commercianti, studenti e professionisti.
Ogni quartiere è differente e, a sua volta, si divide in altri quartieri, luoghi, aree. Insomma un lavoro immane.
Diverso ancora è il lavoro dell’Officina culturale, una comunità più piccola, in cui c’è maggiore facilità di accesso ma anche maggiore diffidenza.
Lì lavoriamo in modo più sistematico con gli anziani, gli adolescenti, gli immigrati e i pazienti dei centri diurni. Creiamo reti relazionali mettendoli insieme, cercando di portare i ragazzi in città, nei luoghi del contemporaneo, di allestire spettacoli nei centri anziani e nei teatri e coinvolgiamo le famiglie in rassegne e laboratori. Un lavoro a 360 gradi che facciamo con grande entusiasmo e con esigue economie e che in questi anni è diventato l’ossatura di Distretto Creativo.
Il laboratorio è una palestra dove tutti offrono se stessi, in un’interscambio di energie, saperi e punti di vista. Con questo intento Distretto Creativo non solo insegna l’arte teatrale, ma annusa e assapora il gusto del pubblico, si insinua nella società che si evolve. I laboratori, il Festival e gli spettacoli possono essere visti come un progetto unico?
I nostri progetti assumono una multiformità che ci porta, a volte, ad affrontare uno stesso tema da diversi punti di vista. Laboratori, spettacoli, direzione artistica: hanno sempre una stessa radice, un tema da cui partiamo e che ci permette di approfondire e di evitare la retorica.
Ecco perché i nostri spettacoli sembrano in apparenza estremamente realistici nel linguaggio, con una particolare attenzione alle dinamiche profonde dei rapporti.
Ci sono personaggi estremi, periferici, a volte repellenti, che scavano nelle nostre meschinità e che ricercano la nostra ferita umana.
Abbiamo notato che spesso il teatro contemporaneo italiano non li racconta, anche per questo credo che il nostro teatro non abbai una ben definita collocazione. I nostri luoghi infatti sono di differente natura: dal teatro di Roma ai tantissimi spazi raccolti e ben curati presenti soprattutto nelle province italiane da nord a sud, fino ad arrivare ad alcuni Festival con cui condividiamo questa volontà di parlare alla comunità.
FG – Quindi un percorso, quello di Distretto creativo di trasformazione, che non può essere prestabilito, ma necessariamente richiede uno scambio continuo.
Distretto Creativo lavora con una materia in costante evoluzione, un magma che trascina con sé ogni cosa con cui entra in contatto.
Non solo gli spettatori, ma anche gli altri artisti sono coinvolti in una rete che si muove. e che da Civita cerca di raggiungere la Capitale. Un grande progetto che ha bisogno di tempo e supporto.
Intanto Ferdinando e Alessia continuano ad andare in scena con Paura e Delirio (15 febbraio a Frosinone e 22-23 marzo a Spin Time Labs) e aspettiamo metà aprile per vedere il primo studio su Brutto!