LEONARDO DELFANTI | Sarajevo, due eserciti si confrontano. Un uomo cammina parallelamente ai due schieramenti: cammina per la terra di nessuno. Un colpo trafigge il suo cranio, una dolce morte lo accoglie.
Abbiamo incontrato Gennaro Lauro il quale questo scenario l’ha vissuto in un sogno, sette anni fa. Da quell’esperienza onirica nasce Sarajevo – la strage dell’uomo tranquillo, presentato in prima nazionale al Festival Danza in Rete OFF:una forma possibile di questo viaggio, reale o immaginario che tutti prima o poi dovremmo intraprendere.

La parola Sarajevo, ci porta tutti all’immagine della guerra. Cosa di questo immaginario cerchi di rielaborare sulla scena, tramite la materialità del tuo corpo?

Ciò che dell’espressione “sentimento di guerra” mi interessava riportare nel lavoro è come questo possa essere legato alla solitudine, al dopoguerra. Storicamente, in questi momenti, tutto è azzerato, distrutto. Il dopoguerra richiede di mettersi assieme per poter ricostruire qualcosa. Ancor prima di un principio morale o filosofico ciò che ci spinge è una questione pratica perché ci sono azioni che non possiamo compiere in solitudine.
Si tratta di un elemento di solidarietà che non nasce da un monito morale o dal desiderio di realizzare una certa idea di essere umano, quanto piuttosto da un bisogno.
In maniera “romantica” vedo questa necessità dell’Altro come qualcosa che andrebbe portato nella vita di tutti i giorni.
La costruzione del pezzo è legata a un lavoro di accumulazione coreografica. Il sogno è in un luogo a te non-vivo. È un percorso non lineare: tutto converge secondo un processo irrazionale e istintivo.

Lo spazio in cui ci siamo incontrati a Vicenza, il Salone Nobile di palazzo Chiericati, con la sua collezione rinascimentale funziona di per sé come una scenografia densa di rimandi culturali. Avevi pensato a qualcosa di simile per la rappresentazione?

Idealmente avevo pensato a uno spazio che fosse una stanza bianca: quando ho individuato la linea del solo, con il costume che desse risalto a certe forme, ho capito che quella era l’estetica che mi interessava.
Ovviamente i contesti sono diversi a seconda dei luoghi. Anche quando ho presentato la performance a Ravenna mi sono trovato in un contesto simile a quello di Vicenza. Alessandro Bevilacqua, di Danza in Rete Off, ha scelto di inserirmi in questa sala del museo, piena di quadri. Guardando le foto che mi sono state mandate mi rendo conto che è stata una decisione interessante portare il solo all’interno di quella cornice.

Parliamo della tua plasticità fisica. Mi hai detto di aver realizzato in un secondo momento che alcuni riferimenti nella performance provengono dal mondo del mimo, le ritroviamo per esempio nel tuo ingobbirti o nella discesa iniziale. Qual è la genesi di queste figure?

Il più è nato nell’improvvisazione in sala. Non sapevo ancora cosa stessi cercando, così mi sono dato il compito di trovare delle posture per avere dei limiti fisici. Ho trovata alcune immagini: c’era una figura senza testa, una più chiusa… all’inizio le guardavo solo dal punto fisico.
C’è stata una fase in cui ho cercato di riprodurre le figure; dopo di che mi sono reso conto che il movimento dell’improvvisazione era stato influenzato fortemente dalle stesse.
In sostanza, ho seguito un lavoro di accumulazione e non di ricerca attiva: prendi dei riferimenti, fai dei tentativi, vuoi o non vuoi il tuo corpo accoglie queste esperienze; mi sono interessato a delle posture specifiche che erano emerse e le ho utilizzate per crearne mille altre.

12. GENNARO LAURO - SARAJEVO_Danza In Rete

La scelta musicale che hai fatto sembra essere frutto di ricerche approfondite e di manipolazione della traccia audio. Anch’essa è oggetto di un lavoro di accumulazione?

Sono stato molto fortunato con le musiche.
Mi interessava che la prima traccia fosse un po’ ruvida. Ho trovato Manabozh di Boomp Bipalla quale ho aggiunto delle registrazioni che avevo fatto ad Ellis Island (NY) e il discorso alla nazione di Truman in cui annuncia l’esplosione della prima bomba su Hiroshima.
La seconda è Il battito del vichingo/É solitudine di Ingar Zach, una musica non frenetica ma petulante, ripetitiva; non ti permette di agganciarsi ma allo stesso tempo è incalzante per cui richiede di muoversi. Crea un’atmosfera in cui è necessario fare qualcosa, in cui non ci si può fermare.
L’ultima è Things that are beautiful and transient, di The Caretaker; me l’ha mandata un amico. Quello che mi ha fatto subito innamorare di questo pezzo è lo sfrigolare del disco che mi rimanda all’immagine della brace che crepita: è una musica invernale.

L’immagine della brace è legata al “sentimento di guerra” e, se sì, in che maniera tu vivi in questo elemento la “necessità dell’Altro” ?

Si tratta di un elemento chiave un po’ sopito nel mio immaginario: la brace come fonte di luce, di calore di persone attorno ad essa. Si tratta dell’elemento per cui gli esseri umani devono condividere lo spazio al fine di poterne tutti usufruire in comunità. È molto forte. L’unica maniera per poter godere di quell’elemento è condividerlo: non c’è possibilità di possesso.
Io lo chiamerei un sentimento avvertibile, attraversabile da chi lo sta guardando.
Il pubblico normalmente si sente interpellato dal lavoro. Questo per me è molto importante e mi ha fatto capire che camminiamo su un terreno comune.
C’è qualcosa di più sotterraneo che passa tra di noi, questo per me è una grande scoperta.

SARAJEVO – LA STRAGE DELL’UOMO TRANQUILLO

di e con Gennaro Lauro
assistenza Elisabetta Lauro
disegno luci Gaetano Corriere
co-produzione Sosta Palmizi (Italia) Finalista del Premio Equilibrio 2018
selezionato per Vetrina della giovane danza d’autore – Anticorpi XL 2018
con il sostegno di Impasse/Cie Greffe (Genève), Dansomètre (Lausanne), Lo Studio (Bellinzona), La Ménagerie de Verre (Paris), L’Echangeur – CDCN (Château-Thierry), CND (Paris)

Palazzo Chiericati – Vicenza
12 marzo 2019

Danza in Rete Festival 2a edizione – Danza in Rete Off

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