FILIPPA ILARDO | Città che diventa laboratorio diffuso, cantiere di percorsi non ancora battuti, dagli altri appena intravisti. È così che la nuova direttrice, Laura Sicignano, da un anno chiamata a dirigere il Teatro Stabile di Catania, tenta di ri-definire le linee, le estetiche, le idee, le pratiche del fare teatro in città.
La stagione estiva, con tre nuove produzioni, è appena partita, e quella invernale già lanciata e appare chiaro il tentativo della nuova direttrice di disegnare una nuova identità – e non solo teatrale – del capoluogo, attraverso connessioni e disconnessioni, con una nuova e personale progettualità che sa distruggere e demolire, ma anche tratteggiare, suggerire, pre-correre. Così, seduta dietro la scrivania di vetro del suo ufficio, non aspetta nemmeno le domande, ed entra nel merito del proprio lavoro. «In questo momento in città ci sono contemporaneamente tre compagnie che lavorano e sperimentano». A giudicare da come ne parla, ogni percorso è prima immaginato, poi seguito in ogni fase, dalla lettura del testo, alla scelta degli attori, con occhio attento e cura, con necessità di valutazione critica. Scelte estetiche, più che operazioni commerciali, visioni sul futuro, più che sguardi sul passato, questo ci sembra di cogliere; il rischio e la responsabilità delle scelte, la curiosità degli esisti estetici.
Parliamo di scelte artistiche e cominciamo dal perché affidare una produzione, Pescheria Giacalone, alla scrittura di Rosario Lisma, un siciliano che non si era mai confrontato con la propria origine.
Ho voluto personalmente che questo autore scrivesse questo testo, perché, a mio parere nella drammaturgia italiana riempie un vuoto, quello della scrittura di commedie intelligenti, di qualità, con un’autorialità forte. Riesce a esser molto comunicativo, ma senza essere facile, ruffiano, banale. La sua è una comicità che stimola piuttosto interrogativi. In questo caso, si mette alla prova con una tematica fortissima, cioè il rapporto con la propria terra d’origine, con la propria identità, con la propria famiglia, con quella rete di relazioni che ti nutre e ti soffoca. Era questo che mi interessava.
Il duo messinese Carullo-Minasi sarà alle prese con Marionette, che passione! del siciliano Pier Maria Rosso di San Secondo. Nel cast un’attrice catanese, Manuela Ventura, e una palermitana, Alessandra Fazzino.
Sono stata io a chiamare il duo Carullo-Minasi, di cui mi affascina la poetica, e a proporgli questo testo. Immaginavo che potessero cimentarsi, stavolta, con un classico, non troppo frequentato. Trovavo quest’opera adatto a loro, infatti hanno accettato con entusiasmo. Gli attori sono stati scelti su provino. Attualmente stanno iniziando la prima fase di lavoro: attraverso un dispositivo scenico, semplicissimo, ma davvero geniale, ideato dall’artista Cinzia Muscolino, stanno partendo dalla sperimentazione dello spazio, uno spazio mobile, astratto, componibile.
Anche la terza produzione ha una componente legata in maniera piuttosto netta alla nuova drammaturgia contemporanea: ETerNA. A vucca l’amma.
Si tratta di un progetto triennale sulla ri-definizione dell’identità della città che ho voluto affidare a Nicola Alberto Orofino, regista piuttosto prolifico, di cui condivido il progetto di gruppo, di collettivo, alla ricerca di un linguaggio. Quest’anno siamo partiti dalla ricorrenza del terremoto del 1669, per uno spettacolo che non avesse nulla di documentaristico, quanto piuttosto una cifra metaforica. La scrittura del testo è stata affidata alla drammaturga Luana Rondinelli. Ho appena letto il testo: è un lavoro molto corale, di quindici personaggi in attesa della lava. Interessante è anche la lingua: un dialetto creativo da riadattare sulla parlata del singolo attore.
E veniamo alle produzioni del Teatro Stabile per la stagione invernale che si aprirà con una tua regia.
Abbiamo appena completato un laboratorio su Antigone, da me diretto, inteso come un momento di libertà creativa che ha coinvolto diversi attori sulle tematiche forti dello spettacolo. Parto infatti dalla necessità di creare un gruppo con un linguaggio comune. Io vengo dal teatro dei gruppi e delle compagnie. La stabilità è diversa, eppure vorrei coniugare il meglio dell’una e dell’altra. In uno Stabile sei più protetto perché la struttura è più solida, rischia però di mancare uno spirito collettivo. Quello che si è creato in questo caso è stato un gruppo di individualità con personalità fortissime, tutti attori protagonisti, veramente generosi, molto creativi. Io non amo l’attore marionetta-esecutore.
In quale relazione è il tuo lavoro rispetto all’identità siciliana?
Per me la Sicilia è la terra del mito, sorgente viva di storia e segni. Ecco perché ho scelto Antigone. Questo lavoro si dovrà muovere su una parabola molto particolare, da un lato la cerimonia, elemento rituale e misterioso, ma al tempo stesso ci dovrà essere concretezza del lavoro dell’attore. Io vengo dalla scuola genovese che è quella dell’attore concreto, dell’attore in relazione. La regia, per me, è un lavoro maieutico di rimbalzo: io ti lancio uno stimolo, tu lo devi restituire sorprendendomi, dentro un disegno che io ho molto chiaro. Non esiste un metodo, ma un linguaggio che va creato per il singolo spettacolo, per il singolo attore.
Vincenzo Pirrotta si sta confrontando con la scrittura pirandelliana, che tipo di lavoro sarà?
La sua è una post-scrittura dell’ Uomo dal fiore in bocca, dentro c’è tutto il testo pirandelliano, parola per parola, ma c’è anche il suo intervento, la sua drammaturgia. Ho visto ieri la prima filata e mi sembra un lavoro davvero molto poetico. È come se lui si spostasse in quel mondo misterioso del dolore, quando il malato terminale delira, smette di comunicare con l’esterno. Entriamo nella sfera del dolore che cambia i contorni del reale.
Molto significativa l’idea di affidare quello che ormai possiamo definire l’ennesimo Martoglio al duo Vetrano e Randisi.
Da quando sono arrivata molte voci e molte richieste mi indirizzavano su Martoglio, anche il pubblico semplice lo richiede. Quindi c’era da una parte l’esigenza di dire “basta con Martoglio”, dall’altra, invece, la richiesta esplicita di questo autore. Posso dire francamente che io non lo conoscevo?
Fuori dal contesto catanese Martoglio non ha la stessa fortuna che gode nella città etnea. E anche qui, l’autore sembra riconducibile al mondo dei dilettanti e delle compagnie amatoriali che, spesso, lo banalizzano, o di autori che lo reiterano all’infinito.
Tuttavia affidare questo progetto creativo al duo Vetrano e Randisi (che peraltro ci aveva già lavorato) significa provare a scardinare vecchi cliché che lo rendono appartenente aduna grande tradizione, ma che ormai rischia di essere superata. Il loro sarà invece un percorso poetico che, con una lettura innovativa, restituisca il mondo di un autore che sappia parlare alla contemporaneità.
A un anno di distanza dalla tua nomina, cosa ti piace della città? Quali energie, quali debolezze, quali istanze, quali pregi e quali difetti vi trovi?
Mi piace il sentire un’attività frenetica in tutti i settori. C’è un magma: il vulcano è percepibile nelle persone e in ogni cosa. È una città bella, anche nelle sue ferite nei suoi contrasti, nel suo dramma. C’è una componente drammatica forte, che conquista. Catania è una città estrema, nel bene e nel male, di bellezza e macerie, di opulenza e sventramenti, di voragini.
Cosa non ti piace?
L’atteggiamento di chi sta ad aspettare che sia qualcun altro risolvere i problemi. Bisogna invece trovare modelli organizzativi, nuovi, più razionali, facendo squadra, ridistribuendo compiti. Senza nostalgia per i tempi passati. L’Ente ha dei debiti che dovrà continuare a pagare. Bisogna riconquistare credibilità per questo Teatro, anche nel panorama nazionale. Il modello Catania aveva perso la fiducia degli altri enti a causa dell’insolvenza e della scarsa qualità dei progetti. Bisognerà lavorare molto.
Catania è una città ricca di attori e meno ricca di autori?
Ci sono davvero molti attori che aspettano di essere inseriti in produzioni. Sono tutti molto bravi e meritano attenzione.
Non dovrebbero essere incoraggiati, in qualche modo, a sperimentare in modo autonomo, superando la condizione di scritturandi? E per la scuola dello Stabile, ci sono progetti per la riapertura?
Per ora la stabilità economica non lo consentirebbe. Peraltro non sento la necessità di una nuova scuola, almeno di una nuova scuola per attori. Piuttosto si dovrebbe puntare a una vera specializzazione, a una formazione di alto livello.
Magari puntando sulla scrittura drammaturgica, piuttosto che sulla preparazione attoriale.
Potrebbe essere un’idea…