LAURA NOVELLI | Sguardo luminoso e profondo. Qualche sprazzo di saggia ingenuità nelle espressioni del volto. Capelli lunghi raccolti in un codino. Bermuda e maglietta nera. Zaino in spalla. Un fare giovanile ed empatico che abbatte le distanze alla prima stretta di mano. Ma soprattutto un non so che di nostalgico nel modo di fare, di parlare, di muoversi. Claudio Morici, scrittore (tra i suoi titoli ricordiamo Actarus, la vera storia di un pilota robot, La terra vista dalla Luna, L’uomo d’argento), performer, attore, copywriter romano con una formazione da psicologo e psicoterapeuta, arriva così nell’appartamento di Roma dove, in una calda serata di inizio luglio, presenterà a un pubblico di trenta persone il suo godibile reading Lui e Leila, lavoro del 2016 passato per il Teatro Quarticciolo, replicato in diversi spazi della capitale e svariate abitazioni della Penisola – così come gli capita spesso di fare con il più recente 46 tentativi di lettera a mio figlio, debuttato al Vascello di Roma e accolto ovunque da unanime consenso di pubblico e critica.

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Morici arriva tre ore prima dello spettacolo – selezionato all’interno della corposa piattaforma Teatroxcasa coordinata da Raimondo Brandi e della quale scrivemmo proprio per PAC nel 2014 – dopo aver attraversato la città in motorino. Sistema le poltroncine e le sedie nella luminosa terrazza che a breve sarà il suo palcoscenico. Una lucetta nera appesa di lato su una staccionata fiorita, un leggio, un microfono wireless un po’ capriccioso. Fa un’accurata prova voce, cerca una stanza appartata dove riporre il copione, cambiarsi e concentrarsi poco prima dell’esibizione e poi si mescola agli invitati, si mimetizza tra gli amici della padrona di casa, chiacchiera, beve un bicchiere di vino, mangia qualcosa. Probabilmente lo imbarazza sentirsi presentare come “l’attore” – e di questo imbarazzo parla lui stesso in un arguto articolo pubblicato nella rivista   Internazionale nel 2018 – ma sta al gioco, sembra divertito. Eppure quell’aria nostalgica che lo avvolge continua ad arrivarci come una sensazione sempre più netta, languida e al contempo decisa.

Non appena inizia il suo assolo – tema centrale: l’amore – questa sensazione si conferma, si rafforza, diventa il leitmotiv stesso che attraversa il testo, scritto insieme a Daniele Parisi, e ne amplifica l’intelligenza, la sagacia, l’ironia. Ebbene sì:  probabilmente Morici non è un attore nel senso convenzionale e tradizionale del termine. Non ha fatto studi specifici, non ha diplomi di recitazione nel cassetto e tuttavia, attore, lo è nel modo più diretto e autentico che si possa immaginare. Lo è perché sa evocare quell’Atleta del cuore di Antonin Artaud che in fondo trova la sua migliore ragion d’essere nel saper parlare di cose immense e universali con una semplicità complessa e stuzzicante, mai banale, mai scontata, mai superficiale.

La nostalgia si traduce, dunque, nel fil rouge dell’intera narrazione. Nostalgia di cosa? Nostalgia di chi? Nostalgia di quando? Per dirla in modo sintetico potremmo rispondere: nostalgia di umanità. Di noi stessi. Di verità emotiva e sentimentale. Non roba da poco, insomma.

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In questo agile monologo, sorretto da una scrittura mossa, sghemba e teatralissima, Morici racconta una storia d’amore. Una storia che, dai tempi delle scuole elementari, attraversa decenni e i tanti mutamenti della nostra società. Una storia che inizia con una raffica di bigliettini scritti a mano e lanciati da un banco all’altro (ecco un primo grumo di nostalgia) e poi prosegue caparbiamente nel linguaggio spezzato degli sms, delle chat di WhatsApp, della deriva liquida in cui oggi rischiamo di defilarci da ogni comunicazione prossima, ‘vicina’, profonda. Tanto più quando si tratta di questioni amorose e relazioni importanti.

Diego si innamora di Leila a nove anni. Le scrive “ti amo”. È timido, impacciato ma caparbio. La chiama a casa. Chiede aiuto al suo compagno di classe Pietro. La insegue, con la spaesata bellezza dell’infanzia, a furia di parole e frasi e gesti d’amore. Ci crede in quegli occhi chiari che lo hanno stregato e di cui seguirà le tracce per anni. Fino all’adolescenza, alla giovinezza, all’età delle scelte più mature. Poi arriva il matrimonio, un figlio, la musica a spezzare la routine del quotidiano. Ma arrivano anche i tempi del tvb, del tvttttb, delle faccine, dei cuoricini colorati, dei blog (amorevero.com, si chiama quello di Leila), dei tentativi monchi di parlarsi e – tanto più – di trovarsi abbracciati, uniti. Pelle contro pelle. Occhi dentro gli occhi. E chissà perché ci tornano in mente certi versi di Franco Arminio: «La prima volta non fu quando ci spogliammo / ma qualche giorno prima, / mentre parlavi sotto un albero. / Sentivo zone lontane del mio corpo / che tornavano a casa».

La fretta del dire a metà mastica i tempi lenti delle parole che nascono dentro le emozioni. Si ride, certo. Si sorride. Ma quel grumo di nostalgia bussa sonoro nei cuori del pubblico. E con una virata surreale Morici inventa una favola splendida (nel tempo/spazio della finzione ne è Leila l’autrice): un orsetto e un’orsetta innamorati, per sentirsi davvero vicini,  si tolgono il pelo, la pelle, i muscoli, le ossa. Tutto è possibile nel respiro arioso della fantasia: anche che Diego invecchi con l’amata e poi muoia per tornare dall’aldilà con un’ennesima richiesta di abbraccio.

In questo serrato Lui e Leila, il filo della narrazione è dunque sempre teso perché possiede i ritmi, le pause, la pacatezza, il brio, la garbata capacità di incastrare tanti personaggi, tante voci. Sembra di ritrovarvi qualcosa di Ascanio Celestini o di Andrea Cosentino (anche se Morici in diverse occasioni cita come suoi riferimenti principali Remo Remotti, Eleonora Danco e Valerio Aprea). In fondo però Morici è semplicemente Morici. Ha uno stile tutto suo. Pochi gesti ripetuti. Qualche gioco con la voce. Uno sguardo che inchioda. Nessuna enfasi, però. Nessuna nota patetica. Tanta verità.

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Alla fine del monologo, la terrazza si anima di applausi. Morici sorride, in tanti gli si avvicinano per complimentarsi. E lui, ‘l’attore’, parla gentilmente con tutti. Di nuovo è uno tra gli ospiti. Un altro bicchiere di vino, qualche chiacchiera sul futuro. Lo attende infatti un tour estivo molto intenso in diverse località italiane dove, tra gli altri lavori, porterà anche il fortunato recital Freschibuffi (in cartellone lo scorso gennaio all’Auditorium Parco della Musica) che lo vede in scena con il musicista e amico Ivan Talarico.

Poi arriva l’ora di salutare la padrona di casa e i suoi amici. Un bel ciao caloroso. E ancora quel non so che di nostalgico nel modo di fare, di parlare, di muoversi mentre apre la porta e se ne va.

 

LUI E LEILA
un reading con Claudio Morici
scritto da Claudio Morici e Daniele Parisi

Roma, appartamento privato
5 luglio 2018