1382106607591brenneroNICOLA ARRIGONI | Balletto civile di Michela Lucenti osa, ricerca, ovvero non si stanca di mettere in tensione il linguaggio coreutico e la semantica teatrale, in modo che queste possano fungere da mezzi espressivi ma anche da strumenti esegetici rispetto al nostro stare al mondo. Dopotutto l’aggettivo ‘civile’ fa riferimento non solo all’impegno ma a uno sguardo che è intensamente legato alla ‘civitas’, alla comunità di viventi – e di morenti, nel caso di Brennero Crash – di cui gli artisti di Balletto Civile sono parte tanto quanto la comunità degli spettatori che accetta le visioni danzate della compagnia. Le origini stesse di Balletto Civile nella compagnia L’impasto – creata a metà anni Novanta da Alessandro Berti e Michela Lucenti – adicono di una volontà di innestare l’azione artistica, il sentire dell’estetica coreutico/teatrale nel cuore della comunità. Accadeva con L’impasto negli spettacoli/laboratori civili come Il quartiere o Antigone ovvero L’Agenda di Seattle, accade oggi per Balletto Civile quando fa esplodere la possibilità della messinscena coinvolgendo gli ospiti delle case di riposo; accade nell’idea di residenza attiva di Balletto Civile all’interno del TeatroDue, laddove la compagnia può lavorare a stretto contatto con le produzioni dello stabile parmense, apportando la propria sensibilità e accrescendo le occasioni di confronto.

Questo contesto si crede necessario per leggere Brennero Crash in una prospettiva non meramente performativa, ma di un percorso coerente, sempre in cerca di un altro possibile, un altro indefinito, che è abbozzo, tentativo di pensiero, immagine e corpo, gesto nello spazio, emozione congelata. Brennero Crash – coproduzione internazionale nata su commissione della Neuköllner Oper – si avvale della drammaturgia di Alessandro Berti, un testo evocativo, un testo che in più punti sembra risentire del fascino dei Giaganti della Montagna di Pirandello nella parte degli abitanti della villa di Cotrone, quegli Scalognati che sono anime in cerca, rifugiati della non vita. E dopotutto cosa sono i personaggi di Brennero Crash se non dei corpi maciullati, delle anime non morte che vagano nel silenzio irreale e illuminati dalle luci delle fotoelettriche e delle sirene di ambulanze e pompieri dopo un incidente lungo l’autostrada del Brennero. In Brennero Crash si respira l’atmosfera di sospensione fra la vita e la morte e non perché la morte non abbia compiuto il suo lavoro, ma forse perché chi è morto non sa ancora di esserlo e cerca brandelli di vita in una stazione di servizio in cui ci sono un benzinaio che affonda i suoi solitari pensieri nell’alcool, la sorella con visioni mistiche che aspetta la Madonna all’incrocio dell’incidente che ha segnato la sua vita e un vecchio transessuale… In quella stazione approdano gli incidentati, una coppia gay e un trio di ragazzi musicisti con un autostoppista a bordo…

Dettagli narrativi questi che se rimangono abbozzi di vita, nell’allestimento curato da Michela Lucenti trovano una loro drammatica bellezza e intensità nella presenza attiva, sofferta e ispirata di un corposo gruppo di danz-attori che non si risparmia, mosso e guidato dall’altera femminilità di Michela Lucenti che a tratti conosce la straziante sacralità della Sgricia nella visione dell’Angelo Centuno. In Brennero Crash l’idea del tempo sospeso di quelle vittime è ciò che lo spettatore si porta via, con immagini dai colori ben denotati, con una ironia e una comicità amara che è gettata lì, che è offerta in pasto grezza allo sguardo dello spettatore. C’è una perdita di direzione, che è una difficoltà a chiudere il cerchio – come spesso accade nei lavori di Michela Lucenti – ma alla fine Brennero Crash rimane impresso e il sentore di un girare a vuoto può somigliare – forse – al girare disorientato di quei corpi maciullati che non sanno cosa sia accaduto e come sia potuto accadere quell’incidente sul Brennero che li ha portati nella villa degli Scalognati: un benzinaio, la sorella mistica e un transessuale…

carbone_brennero-crash2In Brennero Crash si ritrova il percorso ultimo di Balletto Civile, documentato anche nel volume Le parole del corpo curato da Claudia Provvedini in cui passando dal bellissimo Col sole in fronte, liberamente ispirato all’omicidio di Pietro Maso e all’insensatezza di un Nord Est un tempo opulente e benestante – al bellissimo ed energico Sacro della Primavera ferma su carta un lavoro costante di una compagnia che ha fatto delle parole del corpo, in cui danza e teatro si coniugano e si scontrano, si sostengono l’un l’altra per costruire situazioni spesso al limite, in cui testi come L’amore di Ofelia di Berkoff o il Woyzeck di Buchner divengono pretesti affacciati su un abisso in cui essere e presenza sono un tutt’uno in corpi che danzano, cadono, si fanno scrittura dello spazio e dello spirito. Così nel Sacro della primavera succede che i ragazzi di Balletto Civile danzino loro stessi, danzino le solitudini di uomini e donne che sono come frasche mosse dal vento, che sono in balia di tutto e di tutti, che nel giocoso sfidarsi nascondono l’impossibilità di essere adulti, che nella comicità del loro porsi anestetizzano l’angoscia. In questi esiti di felice coralità – raccontati nel volume di Claudia Provvedini – il Balletto Civile vive la propria vocazione al rischio e rende comunque interessante ogni suo azzardo teatrale o coreografico.

Il video realizzato dalla Fondazione Teatro Due di Parma:
http://youtu.be/LrSQxXXGZww

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