MARIA FRANCESCA GERMANO | I posti abbandonati hanno un fascino singolare. Esiste una bellezza speciale nella polvere che il tempo fissa sui luoghi, sugli oggetti che non servono più; c’è un erotismo sottile nella carnalità dei muri pregni di tutte le vite di chi ci ha preceduto, delle crepe, delle ferite malinconiche. I luoghi abbandonati, incompiuti, lasciati andare al proprio destino ci affascinano perché in qualche modo ci somigliano. Somigliano al nostro essere mortali, al nostro bisogno di frammenti di felicità. Attraversando l’assenza di questi posti, immaginando il loro passato, distilliamo dalla patina del tempo l’anima che li avvolge.
Nel frastuono del mondo, in una cultura falsamente rilucente e confortante che sempre più tende a esorcizzare la fragilità della vita e dove superfici sorde e sgargianti circondano asetticamente le nostre esistenze, questi posti ci ricordano che siamo fatti di tempo e che la nostra forza è nella nostra stessa caducità e fragile incompiutezza.

E sono due alberghi abbandonati di Chiatona, località turistica decaduta nella provincia di Taranto – Le Petite Fleur e Hotel Milano – i luoghi scelti per lo spettacolo itinerante ALBERGHI. Una tremenda ostinazione, prodotto dal Teatro le Forche e diretto da Nicola Borghesi ed Enrico Baraldi di KEPLER 452. Spettacolo esito della sesta edizione del progetto Clessidra Teatro –  il teatro a partire dai luoghi –  ideato e curato da Erika Grillo.

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Foto Nicoletta Florio

Attraverso un cancello malridotto, in un vicolo dall’odore salmastro di corse bambine dall’auto alle dune, entriamo in un cortile in cui è disposta una lunga fila di tavoli. Ci accomodiamo; siamo una cinquantina di spettatori. In fondo al viale si staglia il profilo enorme e sinistro di uno strano edificio dallo stile orientaleggiante, immerso nella vegetazione. Le Petite Fleur. L’ultimo piano mostra i mattoni rossi delle costruzioni incompiute. Sulla destra un palazzo cubico dalle tante finestre, l’Hotel Milano. Come un’illusione, il suono nostalgico di un sassofono (Giovanni Chirico), che sembra provenire da una delle stanze dell’albergo abbandonato, evoca un tempo passato.

Una sensualissima Erika Grillo, in un vestito rétro, si toglie le scarpe, sale sui tavoli e ci racconta una storia. Il progetto nasce ad aprile quando, nel cercare un posto dove ambientare il nuovo lavoro, si imbatte in questo luogo. «Odore d’ombra, odore di passato, odore di abbandono desolante». Decide di entrare e, come un fantasma o il frutto della sua fantasia, compare un vecchio in abito classico, venuto fuori da un’altra epoca: è il proprietario, che da tantissimi anni vive da solo lì dentro, un luogo con più di cento stanze.

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Foto Alessandro Colazzo

Ed ecco che dal viale, tra note che sembrano provenire da un profondo altrove, il distinto ottantaquattrenne signore, con la camminata altera di uno stile elegante che solo i vecchi sanno avere, viene lentamente verso di noi. Occhi piccoli allungati, labbro tremante. «Io sono Pasquale, Sansone e Giuliano. Sono le tre entità del mio nome, Pasquale Giuliano Sansone e sono il proprietario del Petite Fleur».

In una atmosfera surreale, resa dalla perfetta regia di Kepler 452, gli spettatori sono letteralmente “costretti” da una efficiente e nervosa performer (Chiara Petillo) a dividersi in due gruppi che non si riuniranno fino alla fine del percorso, separato,  nello spazio teatrale dei due alberghi.

Comincia così il nostro suggestivo viaggio metateatrale, in cui persone e personaggi, guardanti e guardati, si mischieranno nelle pieghe di una storia ferma a un passato che sembra essere rimasto intatto negli anni, in attesa di qualcuno a cui rivelarsi ancora. In una cifra estetica capace di trasformare l’impianto narrativo in un flusso ininterrotto di immagini evocate, parole e suoni, la regia ci sospinge, come una macchina da presa lynchiana, nella scatola teatrale, per mostrarci, tra realtà e sogno, vero e falso, ricordi e fantasie, un altro tempo vissuto. Per portare alla luce quello che si nasconde sotto la superficie delle cose, rivelandone la fragilità e creando un senso di profondità stordente.

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Foto Alessandro Colazzo

Pasquale Sansone recita la sua vita come se avesse fatto sempre e solo quello. Interagendo con gli attori, ci fa entrare nei suoi ricordi, nel suo Novecento di feste, concerti, danze, incontri, amori; ma anche di sofferenze, dolore, disgrazie e fanatica superstizione. Il canone utilizzato è quello del dialogo: dialoghi degli attori con Pasquale, degli attori con il pubblico, di Pasquale con le cose che animano l’albergo. Dialoghi negli spazi resi angusti dalla presenza di ogni genere di oggetto.

Sostiamo tra cataste di quadri, collezionati e da lui stesso dipinti, vetrate naïf raffiguranti il maligno e veneri nude, polverosi soprammobili kitsch, sculture barocche e classiche, immagini di Gesù, Santi e Madonne: un universo di cose spesso rischiarate dalla luce filtrata dai fori di tapparelle, retroilluminate da proiettori ben in evidenza. Forse a ricordarci che siamo nella finzione teatrale.

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Foto Alessandro Colazzo

In un fuori sincrono sonoro, evocato dalla voce di una performer (Giulia Mento), in play back su una registrazione vocale di Pasquale, che ci provoca uno spaesamento straniante, ci immergiamo in storie tragiche di morti e superstizioni: il figlio morto in un incidente, un cliente annegato nella piscina dell’albergo. Come sottofondo il rumore sordo e ipnotico del verso della civetta che cresce fino a diventare un ossessivo beep di macchinari ospedalieri.

Gli attori (Daniela Delle Grottaglie, Andrea Dellai, Valentina Foglianisi, Ermelinda Nasuto), abitanti del Petite Fleure, con una recitazione colloquiale, schivando abilmente gli inevitabili imprevisti, creano con naturalezza uno spazio teatrale e onirico sovrapponendolo senza troppe scollature allo spazio reale.

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Foto Alessandro Colazzo

Nella seconda parte dello spettacolo, la regia ci conduce nelle trame del tempo vissuto dai frequentatori dell’Hotel Milano. Entriamo a gruppetti di cinque nelle stanze di amanti abbandonate (Erika Grillo), fobici commessi viaggiatori e galleristi falliti (Giuseppe Marzio). Incontriamo Mike Bongiorno (Giorgio Consoli) nella sua camera, pronto alla serata di gala per la presentazione di miss Italia.
In un sincronismo di poco sfasato, alla fine del percorso, i due gruppi di spettatori si riuniscono; un agente immobiliare (Michele Bramo) ci propone in vendita tutto il complesso a un prezzo d’occasione. Presto un centro commerciale ridonerà al posto il lustro che merita.

E intanto in piscina, tra rane gracidanti che ogni sera sembrano dialogare con il vecchio ostinato proprietario, uomini e donne in abiti da sera vintage brindano e danzano sulle note di una musica raffinata e struggente, in un’ambiguità temporale fatta di risonanze irrazionali che ci accompagneranno per i prossimi giorni.

 

ALBERGHI. UNA TREMENDA OSTINAZIONE

progetto Clessidra Teatro – VI edizione 2019
regia di KEPLER-452, Nicola Borghesi e Enrico Baraldi
una produzione Teatro Le Forche
in collaborazione con Reset Chiatona
un progetto ideato e curato da Erika Grillo
coordinamento e comunicazione visiva Alessandro Colazzo
con gli attori Michele Bramo, Giorgio Consoli, Andrea Dellai, Daniela Delle Grottaglie, Valentina Foglianisi, Erika Grillo, Giuseppe Marzio, Giulia Mento, Ermelinda Nasuto, Chiara Petillo
con la speciale accoglienza di Pasquale Sansone
disegno luci e scene Angelo Piccinni e Walter Pulpito
sonorizzazioni e allestimenti Vincenzo Dipierro e Francesco Maggio
sassofono Giovanni Chirico
progetto triennale “P.A.S.S.I.” (Progetto, Arte, Spettacolo, Scoperta e Innovazione nella terra delle Gravine) a cura del Teatro delle Forche, sostenuto dall’Assessorato regionale all’Industria Turistica e Culturale. 

Chiatona (TA)
1 agosto 2019

 

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