ANTONIO CRETELLA | Nel trattato Il Principe, Machiavelli descrive con cura analitica i diversi modi in cui si viene in possesso del potere e le conseguenze che tali modalità hanno sulla gestione di questo e sulla sua durata nel tempo. Secondo il fiorentino un potere è tanto più volatile quanto più esso è stato favorito dalla fortuna poiché, chi ne viene in possesso per puro gioco favorevole del caso, quasi mai si rende conto dei meccanismi sottostanti il funzionamento di un apparato politico-istituzionale. È il caso ad esempio dei regni che passano di padre in figlio: raramente essi sopravvivono se il figlio non è stato reso partecipe dal padre al grande, enorme sforzo di conquista e di consolidamento del potere che egli ha dovuto esercitare per tutta la vita. Il novello principe, credendo alla favoletta del diritto inalienabile sulle terre del suo regno, si ritrova ben presto o scacciato dal popolo o più verosimilmente conquistato da un sovrano più potente, mancando il giovane di quella bestiale astuzia che si sviluppa nel gioco sporco della politica.
È certamente oggi troppo presto per giudicare in toto l’esperienza salviniana del potere, lungi dall’essere un libro chiuso, ma all’arresto del capitolo corrente sembra che l’autoproclamato Capitano sia molto simile al principe favorito dalla fortuna: la sua parabola inizia con un 17% di consensi che nessuno, nemmeno lui, si aspettava e uno stuolo di comunicatori che ha allargato il suo consenso, ma si è infranta contro la sostanziale incapacità di governare, la tracotanza di una fama cresciuta a dismisura come un accesso febbrile, e come tale anche repentinamente calante. Fino a qualche giorno fa volevamo vedere nelle sue mosse, all’apparenza astruse, trame occultissime volte a strategie di lungo periodo; oggi, pur con le dovute cautele, si fa sempre più forte l’impressione di una grande sopravvalutazione.
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