LAURA BEVIONE | L’anatomia indagata dalla coreografa e danzatrice Simona Bertozzi non è semplicemente quella del suo corpo bensì quella, composita ed espansa, dello spazio scenico temporaneamente occupato e modellato dalle particolari interazioni germinate dalla concreta compresenza della performer e del compositore Francesco Giomi e, da un certo punto, dell’adolescente Matilde Stefanini.
Anatomia, dunque, è più e altro rispetto a uno spettacolo di danza: un esperimento di dialogo possibile, un piccolo trattato di filosofia che si scrive direttamente sul palcoscenico, verificando immediatamente la veridicità pratica della riflessione teorica elaborata.
Bertozzi e Giomi, insieme sulla scena, non sono semplicemente l’una l’esecutrice delle musiche eseguite dal vivo dall’altro, né tantomeno l’uno l’ “accompagnatore” in sottofondo dell’esibizione dell’altra, bensì due corpi – entrambi concreti ed espressivi/comunicativi – impegnati in una sorta di conversazione non estemporanea sulla propria essenza e sulla sua tenuta allorché posta in rapporto con l’altro/a.
Bertozzi abita il palcoscenico con il proprio corpo muscoloso e aggraziato, forte eppure esile, capace di parlare con ogni sua singola fibra, in costante e viva tensione, strumento non passivo ma cerebralmente reattivo alle note generate da Giomi che, a sua volta, sa concentrare l’attenzione tanto sulle proprie apparecchiature quanto sui movimenti della danzatrice. I due tracciano cammini certo paralleli eppure reciprocamente plasmati l’uno dagli stimoli a tratti quasi involontariamente gemmati dall’azione performativa dell’altro.
Due percorsi paralleli che, nondimeno, in alcuni frangenti paiono richiedere un avvicinamento maggiore, finanche un temporaneo contatto: ecco, allora, che il musicista raddoppia i movimenti della danzatrice. Ecco che i due avanzano spalla a spalla, corpi in eterogenea ma perfetta simbiosi.
E, nel momento in cui danzatrice e musicista sembrano avere raggiunto un equilibro coincidente con una modalità armoniosa di occupare insieme il palcoscenico, ecco che a complicare quello stato subentra una giovanissima ballerina, la quattordicenne Matilde Stefanini.
Sul palco con il musicista, la danzatrice adolescente inevitabilmente costringe il primo a rimodulare il proprio discorso, a ricercare un passo differente per instaurare anche con lei un rapporto positivamente comunicativo. E, a segnalare come le dinamiche relazionali non siano mai graniticamente assodate bensì richiedano costanti ricalibrature, messe in discussione di equilibri raggiunti e inserti di nuovi vocaboli, ecco il ritorno sul palcoscenico di Bertozzi che dà vita a un passo a due con Stefanini destinato a tramutarsi quasi immediatamente in un composito ma armonioso passo a tre.
La parte finale dello spettacolo segna un nuovo cambio di tono, testimonianza dell’approfondirsi della riflessione della coreografa-danzatrice e contraddistinto da un complicarsi ulteriore del discorso, nel quale assume particolare rilevanza il disegno luci e la sua pregnante interazione con il corpo della performer.
Quella creata e disegnata in scena da Simona Bertozzi è dunque una coreografia densa e problematica, sperimentazione pratica di una ricerca filosofica e artistica e, nondimeno, la fitta concentrazione teorica di Anatomia non si traduce mai in algida concettosità bensì si manifesta come pensiero vivo e pulsante, carnalmente presente e pregnante.
La danza contemporanea, spesso tacciata di oscurità, mostra così di sapere declinare con loquace evidenza anche discorsi non soltanto linearmente narrativi bensì problematicamente riflessivi.
ANATOMIA
coreografia Simona Bertozzi
musiche e live electronics Francesco Giomi
visione teorico-compositiva Enrico Pitozzi
progetto luci e set spazio Antonio Rinaldi
danzatori Simona Bertozzi, Matilde Stefanini
voce Mirella Mastronardi
produzione Nexus, in collaborazione con Tempo Reale, con il contributo di Mibact, Regione Emilia Romagna
Festival Torinodanza,
Teatro Gobetti, Torino
13 settembre 2019
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