RENZO FRANCABANDERA | Fra il 1959 e il 1962 i libri This is Moscow Speaking di Nikolai Arzhak e The Trial Begins di Abram Tertz avevano catturato l’attenzione del KGB. In essi veniva descritta la società sovietica nelle sue derive più crude e surreali di quegli anni. Gli autori di quei libri vivevano in Unione Sovietica, andavano scovati.
Perché ce ne interessiamo? Perché abbiamo visto ieri all’Elfo di Milano “Io sono il proiettile” di e con Edoardo Ribatto, “Liberamente ispirato all’opera e alla vita di Yuri Markus Daniel, scrittore russo, dissidente, processato e condannato per reati d’opinione, “Io sono il proiettile” è una storia sull’identità, scritta in forma di radiodramma”, come recita il materiale ufficiale a supporto della visione.
Sono uno che in media spippola molto in rete. Ci spippolo poco prima degli spettacoli, per non farmi suggestionare dalle sovrastrutture, dalle critiche general generiche, di quelle copia e incolla ricavate dai comunicati stampa. Mentre dopo lo spettacolo e prima di scrivere, mi faccio il mio viaggio in quello che lo spettacolo mi ha suscitato, cercando altre informazioni, accanedomi e sfruttando la multimedialità per sostanziare i miei convincimenti.
Questa è quindi la storia di tre grazie e di due perché a proposito de “Io sono il proiettile”, che ha debuttato a Genova nella primavera scorsa (prod. Masca in Langa e Teatro della Tosse). L’attore appartiene alla famiglia allargata degli “Elfi” ed è stato interprete di diversi recenti spettacoli prodotti dal teatro milanese. Si avventura felicemente in una ricerca individuale a proposito della vicenda di Daniel, scrittore dissidente russo, arrestato nel Settembre del 1965 insieme all’altro scrittore e critico russo Andrei Sinyavsky, con l’accusa di aver pubblicato materiale anti sovietico all’estero sotto gli pseudonimi, rispettivamente di Nikolai Arzhak e Abram Tertz.
Il primo grazie a Ribatto è quindi quello di aver indagato un episodio centrale della vicenda politica e culturale della dissidenza sovietica, costruendone una drammaturgia interessante, offerta al pubblico sotto forma di simil-radiodramma. Diciamo simil perché in realtà la presenza in corpore di Ribatto, permette all’attore di utilizzare la mimica per approfondire le sensazioni che con la voce comunque trasmette. Qui il secondo grazie, perché usa una forma evocativa e destrutturante insieme, e ne ricava uno spettacolo. Ribatto, con tre microfoni, ognuno dei quali collegato ad effetti sonori diversi, dà vita a diversi personaggi, aiutato da un diaframma notevole e da una presenza scenica matura e sincera. Lo ringraziamo di questo (ed è il secondo grazie), perché ci aiuta a riflettere sulla forma del radiodramma (anche se c’è una scenografia, composta da una bandiera sovietica “trattata in salsa pop” su cui vengono proiettati una serie di scatti fotografici di Elisabetta Torre in stile fotoromanzo, di cui Ribatto ci regala dal vivo la voce. E una radio valvolare anni 60).
Lo spettacolo è bello anche se si allunga in una forma la cui fissità dopo un po’ mostra i segni. Perché il radiodramma ha il privilegio di consentire a chi l’ascolta di viaggiare con la mente anche spostandosi col corpo, mentre lì, in teatro, fermi sulla poltrona, forse ci si sente costretti. Ribatto intuisce la cosa e tenta di rompere l’immobilismo della sua pur pregevolissima presenza attorale, compiendo qualche minimale azione, ma forse servirebbe qualche concessione in più per evitare che nell’ultima mezz’ora il tutto appaia statico e un po’ affaticante. Una buona idea, forse trascinata per pulizia e coerenza fino in fondo, non pensando però che questa pulizia viene pagata con una minore efficacia, che è un obiettivo primario di una creazione artistica completa.
Veniamo ora ai perché.
Il primo perché nasce dallo spippolamento successivo. Perché invece che copiare e incollare tal quale il nome di “Yuri Markus Daniel” nel mio articolo, sono andato a digitarlo in Google, aspettandomi di trovare riferimenti all’autore e alla sua vicenda, ulteriori rispetto a quelli contenuti nella presentazione dello spettacolo e negli articoli che su quel comunicato sono basati. E che sorpresa invece nel non trovare assolutamente NULLA.
Il mistero a questo punto si infittisce e mi accanisco. Anche perché in italiano sulla cosa pare non venir fuori nulla dall’algoritmo di Google, e quindi ancor più la sfida si fa interessante. Insomma pare che la damnatio memoriae di “Yuri Markus Daniel”, come il nome del dissidente viene riportato nel comunicato ufficiale dello spettacolo, continui.
Ma scrivendo su Google con nemmeno troppa fantasia “Daniel russian dissident writer”, ecco che subito Wikipedia mi informa di trovarmi di fronte alla vicenda umana di Yuli Markovich Daniel (in cirillico Ю́лий Ма́ркович Даниэ́ль, (listen); November 15, 1925 — December 30, 1988) was a Soviet dissident writer, poet, translator, and political prisioner.” Che scrisse sotto gli pseudonimi di Nikolay Arzhak e Yu.
E’ solo Wikipedia a proporre la lectio “Yuli” per il nome? No, anche il Time in un articolo dedicato alla vicenda dello scrittore nel 1969 e gli articoli apparsi sulla stampa americana dopo la morte, come quello del New York Times, non danno spazio ad equivoci. Stiamo parlando di Yuli Daniel.
Ma Yuli e Yuri sono lo stesso nome?
La risposta ce la fornisce il portale www.nome.me: Yuli e Yuri sono due nomi diversi, corrispondenti, in italiano a Giuliano e Giorgio.
E’ chiaro che se si decide di parlare di un fatto storico, di illuminarlo con la propria ricerca individuale, si ha la responsabilità di tradurne gli esiti in forma filologicamente corretta, anche per rispetto alla vicenda umana di cui ci si occupa. Come Ribatto ha conosciuto questa storia? Quali documenti ha potuto consultare e quindi perché (il primo perché) ce l’ha proposta in una forma anagraficamente “corrotta”, termine usato in filologia per definire quando un nome viene riportato in maniera non conforme alla lectio più comune?
A questo punto, e a beneficio di quelli che stanno leggendo gli esiti di questa indagine su uno scrittore di cui altrimenti nulla potrebbero rintracciare con le informazioni che lo spettacolo ci fornisce, chiudiamo con il link alla pagina dell’Encyclopaedia Britannica dedicata al nostro scrittore e con la segnalazione che in italiano di Nikolaj Arzhak (cui già in copertina ci si riferisce come a J.M. Daniel) nel 1966 l’editore Bietti pubblicò “L’espiazione e altri racconti”. Forse è questo il libro finito nelle mani di Ribatto. Qualcuno vende in questi giorni il volumetto su ebay. Per il resto pare fuori stampa (quindi qualcuno l’avrà prestato a Ribatto per corroborare la sua drammaturgia) e magari l’errore sul nome è già nel libro. Non lo possiedo quindi non posso verificarlo. E qui una vocina demoniaca dentro mi fa urlare il secondo perché (indossando i panni di Ribatto, che vuol fare uno spettacolo su un personaggio in cui ci si immedesima a tal punto da interpretarlo perfino nel corredo fotografico): “Ma cazzo, fai uno spettacolo su uno, dissidente, perseguitato, che si è sbattuto il culo per anni rischiando la vita per far arrivare i suoi libri oltre confine, mandato in Siberia, e non perdi manco due minuti a scriverne il nome su Google e a vedere se lo stai scrivendo giusto, col rischio di non mettere poi chi è interessato veramente, nella condizione di conoscere davvero il personaggio di cui vuoi parlare?”
Qui il terzo grazie a Ribatto. Se non avessi visto il suo spettacolo mai avrei fatto questa ricerca e avrei vissuto la prima giornata da Sherlock Holmes della mia esperienza di critico teatrale.
PS: Cerco anche qualcuno, a questo punto, che mi presti, gentilmente, “L’espiazione e altri racconti”.
Se ti interessa sono in possesso di un libro del 1968 di Aleksandr Ghinsburg dal titolo: Libro bianco sul caso Daniel Sinjavskij
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