46256EA7-CB61-4CCD-BA77-8AABD4CC55D5ANTONIO CRETELLA | Saranno le brutte esperienze passate, da cui per altro poco abbiamo imparato, ma la nascita di un nuovo movimento spontaneo di protesta popolare suscita sempre una certa perplessità e un senso di disilluso déja-vu. Le Sardine, il movimento nato come reazione all’ormai soffocante propaganda sovranista, non fanno certo eccezione e la preoccupazione che la sua attuale proteiforme fisionomia embrionale assuma connotati negativi o semplicemente si sciolga in un nulla di fatto è più che giustificata. Ciò non destituisce di legittimità l’espressione del dissenso e dei bisogni di cui il nuovo movimento si fa latore. Nel loro primo abbozzo programmatico, il movimento tratteggia in dieci punti essenziali il profilo d’azione, l’orizzonte entro cui muovere la sua azione sociale e politica, sebbene nelle primissime dichiarazioni il movimento si presentasse come apartitico e apolitico, un primo passo che mi fece storcere il naso: bisognerebbe avere il coraggio di bandire l’uso dell’aggettivo apolitico e capire che anche la scelta della marca di caffè è un gesto eminentemente politico. Apolitico e antipolitica sono state le parole in cui forse si è incarnato meglio il pericoloso scollamento tra classe dirigente e il monstrum chiamato popolo; farne un uso programmatico per vestirsi di un’aura di inclusività, altra parola chiave del manifesto, è controproducente: come si può definire apolitica l’emergenza ambientale, come si può accostare la parola apolitico alla preoccupazione per la tenuta della democrazia? I dieci punti del manifesto delle Sardine soffrono di una certa vaghezza: da un lato l’esigenza di affermare principi generali, dall’altra quella di formularli in una maniera comprensibile ai più in una società che soffre di analfabetismo funzionale, di bias cognitivi e riduzione del vocabolario. Come la Rivoluzione Napoletana del 1799, fallita per l’incapacità dei rivoluzionari e del popolo di comprendersi l’un l’altro, le Sardine, come altri prima di loro, si trovano davanti l’impresa titanica non solo di diffondere idee, ma anche i mezzi per comprenderle. È in questo che si riassume il divario profondo tra politica e populismo, la lotta impari tra il dialogo maieutico e lo slogan da stadio.

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