ELENA SCOLARI | Drammaturghi, poeti e scrittori, intellettuali, artisti, quelli bravi, scrivono e creano opere che vedono lontano, perché indagano ciò che muove l’uomo. Spesso si tratta di un’idea. Le idee sono meno astratte di quel che sembrano e di idee e di princìpi si parla in Un nemico del popolo di Henrik Ibsen, messo in scena da Massimo Popolizio, regista della produzione del Teatro di Roma.
Ibsen ambientava la vicenda in Norvegia nel 1882, non è chiarissimo perché Popolizio scelga di spostarla in avanti di circa 40 anni e di traslocarla nell’America degli anni ’20 ma non è nemmeno così sostanziale.
Una piccola cittadina deriva la propria sussistenza economica da una stazione termale molto frequentata e che produce il cosiddetto “indotto”; il sanitario della suddetta però, il dottor Stockmann (Popolizio), esegue alcuni controlli e scopre che l’acqua è pesantemente inquinata dagli scarichi della conceria a monte dello stabilimento. Stockmann è paladino della trasparenza, e della poca trasparenza dell’acqua vuol far sapere pubblicamente. Suo fratello Peter (Maria Paiato) è però il sindaco della città ed è di tutt’altro avviso.
Il nocciolo dell’opera è qui: la battaglia tra onestà e convenienza, tra purezza e compromesso, tra due fratelli in posizioni contrapposte ma contigue. Un bel nocciolo.
La ragione non serve senza potere e se la minoranza ha la ragione è la maggioranza ad avere la forza.
Il testo di Ibsen, qui nella attenta e bella traduzione di Luigi Squarzina, è pieno di ironia – esaltata dall’interpretazione di tutti – di acuta osservazione dei comportamenti e dei meccanismi psicologici elementari da sfruttare per ottenere consenso. Per questo, soprattutto, si è detto dell’attualità dello spettacolo, legandolo facilmente alla situazione politica odierna, italiana e non; ma, a dirla tutta, la politica – da sempre e in qualunque momento storico – si basa sull’ottenere consenso, si tratta dunque di qualcosa di costantemente attuale, non tanto per via dei soggetti con cui abbiamo a che fare ora.
La lotta dialettica tra i due punti di vista è sostenuta da Popolizio e Paiato, ognuno con il proprio seguito di supporter, due vere e proprie fazioni.
L’interpretazione è smagliante per entrambi gli attori, per motivi opposti, direi: il primo rappresenta una ferrea volontà di schiettezza ma lo fa stando sempre un passetto indietro, non sembra crederci davvero. Più precisamente l’attore incarna il personaggio come se l’uomo Popolizio non potesse credere che esista veramente qualcuno che si comporti così, con testardaggine autodistruttiva in nome di un ideale. Le mossette, le risatine, i movimenti veloci e un poco danzati sono un modo per autodileggiarsi, come a dare una consistenza quasi comica a un atteggiamento di fronte al quale si rimane increduli. C’è quindi un originale utilizzo della maniera con uno scopo ribaltato rispetto al solito: non lo sfoggio di bravura e catalogo di stili per esaltare il personaggio bensì per depotenziarlo.
Maria Paiato: il successo della scelta di farle recitare un ruolo maschile è nel fatto che non ce ne si chiede il motivo, vedendola in scena. Tanto è misurata, credibile, naturale, in sintonia antitetica con il fratello Thomas che non viene di domandarsi “come mai una donna?”. Poi forse una ragione teatrale c’è ma ogni ipotesi mi parrebbe poco immediata. Attirandomi gli strali di molte (ma senz’altro anche di molti) dico che, come non mi scompongo davanti a Patrizia Valduga che dice di essere un poeta, così non troverei fuori luogo definire Maria Paiato (o Marlene Dietrich, per esempio) un attore.
Con le due star si muovono sul palco altri dodici attori, i principali sono moglie e figlia del dottore e i giornalisti della testata locale La voce del popolo. Il giornale ha un ruolo cruciale nella storia perché, essendo l’unico organo di stampa, può spostare l’opinione pubblica della città: Thomas Stockmann vorrebbe far chiudere le terme per permettere i lavori di bonifica ma il sindaco è contrario perché tre anni senza ingressi allo stabilimento metterebbero in ginocchio le sorti finanziarie del centro. Con chi staranno editore e direttore del giornale?
Paolo Musio e Michele Nani prima tentennano con codardia e poi si affermano con decisione nell’ostacolare il medico. Del resto, come dice il sindaco «la gente non vuole idee nuove, vuole le idee che ha già». Il pubblico e i lettori vogliono essere rassicurati, non disturbati con la verità.
Le scene sono di Marco Rossi, che firmò anche quelle di Lehman Trilogy e il suo stile è molto riconoscibile: grande pulizia, pochi arredi, colori bianco, nero e grigio, quintone/pareti a inscatolare lo spazio per creare divisioni nette ma leggere e leggibili tra gli ambienti.
Non dimentico la presenza di Martin Ilunga Chisimba, che compare in salopette e sporco “di lavoro” sempre accompagnato da musica blues: è un fool che predice «la fiammata della fine» e «la sciagura dell’uomo colto», ricorda gli schiavi neri dei campi di cotone, ma più ancora ricorda il popolo, quello che non viene considerato né rispettato, quello che con la lungimiranza della sbronza sta preparando la rivoluzione. Quello che si vede nello schermo a banda sopra la scena: immagini di moltitudini del passato in bianco e nero.
L’acme dello spettacolo è l’assemblea cittadina organizzata perché il sindaco e il dottore possano esporre le proprie tesi e guadagnarsi la platea, c’è un po’ di squilibrio a sfavore del sanitario e infatti “a furor di popolo” la sua posizione soccomberà, lui e la sua casa saranno presi d’assalto e naturalmente Stockmann verrà licenziato. Si troverà in cattive acque, quelle che voleva denunciare.
Non serve spiegare di più. L’uscita di scena di Popolizio è coerente con quanto detto prima sul tono dato al personaggio: se ne va, di spalle, al centro, con cappello e bastone, pausa; cammina verso il fondopalco, a metà tra un omino di Magritte e Charlot. Le luci della città non saranno per lui.
UN NEMICO DEL POPOLO
di Henrik Ibsen
traduzione Luigi Squarzina
regia Massimo Popolizio
scene Marco Rossi
costumi Gianluca Sbicca
luci Luigi Biondi
suono Maurizio Capitini
video Lorenzo Bruno e Igor Renzetti
produzione Teatro di Roma – Teatro Nazionale
Interpreti
Massimo Popolizio, Dottor Thomas Stockmann
Maria Paiato, Sindaco Peter Stockmann
Tommaso Cardarelli, Billing
Francesca Ciocchetti, Kathrine Stockmann
Martin Ilunga Chisimba, un ubriaco
Maria Laila Fernandez, Petra Stockmann
Paolo Musio, Hovstad
Michele Nani, Aslacksen
Francesco Bolo Rossini, Morten Kiil
Flavio Francucci/ Luca Mascolo, Gregor
Cosimo Frascella, Lamb
Francesco Santagada, un portiere, un fotografo
Duilio Paciello, Evans
Gabriele Zecchiaroli, Forster
Teatro Strehler, Milano | 4 gennaio 2020
in scena fino al 16 febbraio 2020