MARIA FRANCESCA GERMANO | Nelle controre assolate dei giorni senza scuola facevamo un gioco divertentissimo, quello dei bigliettini a domanda e risposta. Si partiva da domande tipo: chi? Dove? Cosa fa? Con chi? Ognuno rispondeva alla prima, piegava il foglio e lo passava al vicino, poi si rispondeva alla seconda e così di seguito. Infine si leggevano i bigliettini; da parole comuni senza nessuna connessione logica tra loro nascevano storie esilaranti e strampalate che ci facevano sbellicare dalle risate. E se spuntavano acerbe parole proibite ci contorcevamo dai crampi per trattenere con sbuffi, spallucce e mani sulla bocca, il prorompente riso bambino.
Sento l’eco di quelle risate estive quando, al Laboratorio Urbano Rigenera, prima dello spettacolo La grammatica della fantasia, per la rassegna Tutti a Teatro, vedo capannelli di bambini intenti a compilare schede in cui si chiede loro di inventare una storia rispondendo alle domande:
Chi è?
Dove si trova?
Cosa fa?
Cosa dice?
Cosa ha detto la gente?
Com’è andata a finire?
Lo spettacolo, creato da Marco Grossi e Marianna de Pinto – anche registi – è tratto dal celebre libro di Gianni Rodari, Grammatica della Fantasia; partendo da semplici esercizi di composizione narrativa in grado di liberare la creatività e suggerendo facili regole per inventare le storie si mettono in movimento parole e immagini creando una fiaba popolata da personaggi pensati dai ragazzi. Un gioco immaginifico di raro valore.
Si può insegnare la «Fantastica» come la Matematica e l’Italiano? Prendendo spunto dai Frammenti di Novalis, Gianni Rodari annotò nel suo quaderno di fantastica le sue esperienze come insegnante facendone dopo anni un libretto dal titolo Grammatica della Fantasia, in cui elaborò trucchi, tecniche e strumenti di educazione linguistica alla invenzione e all’immaginazione. Un vero e proprio manuale per aiutare gli insegnanti a dare un ruolo educativo alla fantasia e aiutare i ragazzi a creare le storie e a liberare la parola; perché «le fiabe servono alla matematica come la matematica serve alle fiabe. Servono alla poesia, alla musica, all’utopia, all’impegno politico: insomma all’uomo intero e non solo al fantasticatore. Servono proprio perché in apparenza non servono a niente: come la poesia e la musica, come il teatro e lo sport (se non diventano un affare). Servono all’uomo completo. Se una società basata sul mito della produttività (e sulla realtà del profitto) ha bisogno di uomini a metà – fedeli esecutori, diligenti riproduttori, docili strumenti senza volontà – vuol dire che è fatta male e che bisogna cambiarla. Per cambiarla occorrono uomini creativi che sappiano usare la loro immaginazione».
Lo spettacolo La Grammatica della Fantasia recupera parte dei suggerimenti di Rodari – dal binomio fantastico all’insalata di favole, dal cubo dei caratteri alle carte di Propp – utilizzando la parola in tutte le sue declinazioni, provocandola e costringendola ad uscire dai binari dell’abitudine per scoprirne nuove capacità di significare. Parole che se ne stavano ciascuna per proprio conto sono riportate in vita, obbligate a reagire a catena e a entrare in rapporto tra loro, come un sasso gettato in uno stagno, facendole defluire libere al loro destino di storie.
Ci accoglie una scenografia semplice: scatoloni marroni, impilati uno sull’altro, di ogni dimensione. Tra gli “ohhh” dei più piccoli uno scatolone si muove, poi un altro; fanno capolino due strane creature: Marco Grossi e Monica de Giuseppe sono due poveri personaggi nati dalla fantasia di un autore distratto che, dopo averli inventati, li ha abbandonati al loro destino senza dar loro un nome né una storia. Lui indossa un camice bianco lei è variopinta e buffa. In un gioco continuo di rime e fraseggi, cesure sonore e accenti dinamici, i due, nel tentativo di creare la favola per cui erano stati da qualcuno immaginati, ci conducono in un minestrone fantastico e divertente.
Marco e Monica viaggiano abilmente tra parola e gestualità, catturano le voci in sala improvvisando interazioni, usano personaggi e verbi intelaiando trame bislacche e divertenti. Pescano a sorte, dalle scatole, le schede compilate dai ragazzi prima dello spettacolo, improvvisando, davanti a un pubblico incredulo, le favole che lo sbadato autore non aveva scritto per loro. Agganciano la pausa creativa dell’altro con mimica e ingegno. Come maghi, riempiono le scatole di oggetti, luoghi e personaggi con la sola parola fantastica, liberando nella sala una musica coinvolgente.
Alla fine i due pirandelliani personaggi saranno parte di una storia, la loro storia, creata in un esercizio collettivo di fantasia, la cui trama cambierà ad ogni messa in scena, resa possibile dalle grandi capacità di improvvisazione dei due attori.
In uno spettacolo che non è una favola «bell’e confezionata», gli attori diventano animatori e promotori di creatività e i ragazzi non sono solo consumatori di cultura e valori ma «creatori e produttori di valori e cultura», perché, come Rodari già anni e anni or sono sosteneva, se vogliamo insegnare a pensare dobbiamo prima insegnare a inventare.
LA GRAMMATICA DELLA FANTASIA
di Marco Grossi e Marianna de Pinto
regia Marco Grossi e Marianna de Pinto
con Marco Grossi e Monica de Giuseppe
RIGENERA Laboratorio Urbano
Palo del Colle (BA), 16 febbraio 2020