ANTONIO CRETELLA | Covid-19 ha sull’Italia nel suo complesso esattamente lo stesso effetto che ha sul singolo malato: aggrava le patologie croniche e sistemiche già presenti. Nel caso del sistema paese, ha reso evidente una nutrita serie di problemi ai quali, vuoi per indolenza, vuoi per rassegnato fatalismo, vuoi per conscio e doloso tornaconto personale, non si è data mai adeguata soluzione o ai quali ci si era così assuefatti da considerarli pilastri del sistema piuttosto che sue storture. In primissimo luogo, la gestione del sistema sanitario pubblico, sottoposto in questi giorni a un carico di lavoro estenuante da cui è emerso in modo evidente il problema del mancato turn over dei medici causato da quota 100; come sta emergendo ora il problema dei posti letto in previsione di ulteriori casi di contagio. La crisi mette in luce la scelleratezza con cui negli ultimi anni è stato gestito il comparto a partire dalla formazione e dal reclutamento dei medici fino al drenaggio continuo di risorse verso il privato, che in questa situazione di emergenza non ha contribuito minimamente. La situazione della sanità rispecchia, per altro, quella degli altri comparti, come la scuola, che ad essa si intrecciano: basti pensare quanti danni può provocare un medico uscito da un diplomificio privato più attento alla sostanziosità delle rette che alla formazione del professionista.
Lo stesso discorso si può applicare, e qui veniamo al secondo punto, al sistema delle autonomie regionali nella gestione di comparti di interesse nazionale: un caos generato dalla mancanza di coordinamento, misure rese vane dalla diversa applicazione di ordinanze a pochi chilometri di distanza. Sembra che i governatori siano convinti di essere a capo di estesi imperi, non di unità territoriali alquanto modeste che risentono immediatamente di quanto succede nelle regioni confinanti.
E qui veniamo al terzo punto: un abnorme dissesto culturale. La crisi ha evidenziato carenze enormi nella cultura della profilassi, nella percezione del rischio, nella complessità degli spostamenti di cose e persone, finanche nell’allocazione e nella percezione delle proporzioni geografiche tra territori: scuole chiuse con centri commerciali affollatissimi alla ricerca spasmodica di beni di primaria necessità, come se accalcarsi in un supermercato sia meno potenzialmente infettivo che farlo in un’aula; la Cina, quarto paese per estensione al mondo, immaginata come un paesotto occupato interamente da Wuhan; assoluta ignoranza dei fitti rapporti economici tra Cina e colletti bianchi italiani e del continuo via vai di imprenditori tra i due paesi. I cinesi sono solo quelli dei bazar, così come i “negri” sono solo quelli dei barconi. Il quadro complessivo di quanto detto, che non è affatto esaustivo, è già sufficiente a far comprendere l’immediata esigenza di cambiare rotta su tutti i fronti
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