LAURA BEVIONE | I teatri sono chiusi e alla vostra cronista non resta che lo schermo: per un limite personale refrattaria agli spettacoli in streaming o in televisione – il teatro è in presenza o non è – si affida a letture ad alta voce, brevi video pensati per la trasmissione a distanza o, come accaduto sabato sera, a documentari.
Cercando di ignorare per un’oretta l’annuncio della nuova “stretta” da parte del Presidente del Consiglio, sabato sera la vostra cronista ha seguito su Rai5 Principi e prigionieri – sottotitolo L’avventura di una compagnia di attori che divenne teatro – un documentario, accurato e allo stesso tempo dichiaratamente coinvolto, che ricostruisce l’avventura, quasi cinquantennale, di quella che fu la Compagnia del Collettivo e che poi divenne l’Ensemble Stabile del Teatro Due.
Siamo a Parma, alla fine degli anni Sessanta del Novecento e un gruppo di giovani attori sceglie di unirsi e lavorare insieme per portare il teatro fuori dal teatro, in quei luoghi nei quali la cultura, l’arte e la bellezza parevano interdette. Piazze, fabbriche, giardini diventano palcoscenici di spettacoli che uniscono politica e ironia, nella consapevolezza che il sorriso e la battuta arguta sono mezzi privilegiati per veicolare messaggi tutt’altro che superficiali e “leggeri” sul senso dell’esistenza così come su diseguaglianze e crepe della struttura sociale.
La Compagnia del Collettivo attraversa l’Italia, e non solo, animata dal proprio spirito combattivo e irriverente, persino spregiudicat; «siamo gangster» afferma Roberto Abbati, aggiungendo che forse è proprio grazie a questo atteggiamento poco diplomatico e asservito che «siamo qui da quasi cinquant’anni».
Un approccio alla vita e al teatro che vale alla Compagnia del Collettivo la stima di personaggi eminenti della scena italiana e internazionale. Basti citare Pina Bausch, che declina l’invito del teatro alla Scala e sceglie di portare Café Müller proprio a Parma.
Città dove, seguendo la propria vocazione, allo stesso tempo teatrale e politica, era venuto a vivere Marcello Vazzoler, che ricorda l’allestimento dell’Amleto, nel 1980: sei attori e quattro mesi di prova, durante i quali l’opera fu più volte assemblata, demolita e ricreata fino al debutto fra gli operai della Fiat Mirafiori a Torino. Allora, ricorda Vazzoler, ogni spettacolo era frutto del lavoro collettivo dei membri della compagnia, i cui nomi comparivano in locandina tutti insieme, senza specifica di ruolo e/o mansione.
Così come paghe e condizioni di lavoro erano uguali per tutti e tutti facevano tutto – recitare ma anche costruire e montare/smontare le scene, come avveniva anche in altri gruppi teatrali nati negli stessi anni, per esempio il Laboratorio Teatro Settimo – allo stesso modo la responsabilità artistica di ciascun spettacolo era egualitariamente distribuita.
Una condivisione che, spesso, si traduceva anche in rapporti personali molto stretti: «la cosa tragica è che siamo diventati tutti parenti», dice ridendo seriamente Gigi Dall’Aglio, riferendosi a una parentela sancita non soltanto da matrimoni e relazioni sentimentali ma, ancora più saldamente, dall’appartenenza a una micro comunità abituata a trascorrere insieme tutto il tempo, senza possibile distinzione fra quello riservato al lavoro e quello della vita, semplicemente perché lavoro e vita tendevano a coincidere.
Non disturba, dunque, ma anzi appare del tutto coerente, la voce narrante tutt’altro che asettica e “oggettiva”, appartenente a Lucrezia Le Moli Munck, autrice del documentario insieme allo sceneggiatore Amedeo Guarnieri, purtroppo prematuramente scomparso lo scorso 15 marzo.
Lucrezia rivela fin dall’esordio la sua identità, ci mostra se stessa bambina in mezzo agli attori della compagnia in prova, racconta la sua prima, fallimentare, esperienza come responsabile della documentazione video di quanto portato in scena nelle sale del Teatro Due e, ancora, procrastina fino alla fine l’intervista che più le costa fatica, ovvero quella con il padre, Walter Le Moli.
Proprio lui è stato protagonista di uno dei passaggi fondamentali nella storia – certo dolorosa e complessa, con litigi, riappacificazioni ovvero abbandoni definitivi – della Compagnia del Collettivo, ossia quello dalla regia collettiva e dall’orizzontalità della locandina all’individuazione di responsabilità artistiche specifiche. Marat/Sade, diretto appunto da Le Moli, è il primo spettacolo con un “regista” singolo, cui seguiranno i numerossimi spettacoli messi in scena fino a oggi da quello che, nel frattempo, è diventato l’Ensemble Stabile del Teatro Due, la multisala – originariamente un dopolavoro – che da tre decenni almeno ospita a Parma un cartellone sfaccettato, con ospitalità internazionali e nazionali di valia.
Teatro Due è oggi un TRIC: oltre alla stagione tradizionale, organizza un cartellone estivo nella sua suggestiva Arena Shakespeare e gestisce una scuola di alta formazione teatrale – all’inizio del documentario assistiamo appunto ai colloqui/provini di ammissione – così come promuove e conduce laboratori nelle scuole di ogni grado della città.
Attività diversificate che impegnano quotidianamente gli attori dell’Ensemble: c’è chi, alle 7.45 del mattino, si avvia verso una scuola per un laboratorio mentre un altro ripete la parte correndo per i sentieri del parco ducale e un altro ancora chiama i genitori con Facetime durante una pausa-spuntino dal camerino…
L’Ensemble è forse l’unica compagnia stabile in Italia: l’eredità della Compagnia del Collettivo è ognora portata avanti e tonificata tanto dall’ingresso di nuove generazioni di attori, quanto dalle collaborazioni con altri artisti – nel documentario vediamo Elisabetta Pozzi, Peter Stein, Giorgio Barberio Corsetti, Mario Martone, Valerio Binasco…
Nuovi innesti e nuovi stimoli che non impediscono e, anzi, rafforzano la ripresa, ogni anno, di quello che è uno degli spettacoli più longevi della scena italiana – debuttò nel 1984 -, quell’Istruttoria che, chiunque come noi abbia avuto la fortuna di vedere, porta stampato nel proprio animo.
Il documentario ne ricorda il debutto e ne ripropone scorci, fuori e sulla scena, rendendo anche omaggio a quella che ne fu una storica e indimenticabile protagonista, la compianta Tania Rocchetta. Ecco che, di nuovo, il dichiarato coinvolgimento personale dell’autrice è valore aggiunto, commossa sottolineatura dell’alto contenuto allo stesso tempo intellettuale ed emotivo dello spettacolo.
Un lavoro che vive ancora grazie proprio a quella continuità cui accennavamo prima, a quel costante passaggio di esperienza e pensiero fra “vecchi” e nuovi artisti: ecco, allora, lo scambio, dopo una cena tutti insieme a casa di uno degli attori, fra il giovane Luca Nucera e la meno giovane Laura Cleri.
Laura racconta come, per un certo periodo, fu costretta a provare di sera e di notte poiché di giorno lavorava come “impiegata” per non contrariare il padre ma, a partire dal 1982, prese finalmente la decisione di essere “solo” attrice. E Luca la guarda ammirato, riflettendo ancora una volta su come sia in fondo invidiabile la sua condizione, condivisa con i compagni, di “principe e prigioniero”.
La dicotomia, tratta dall’Amleto e posta anche quale titolo al documentario, sintetizza metaforicamente lo status degli attori dell’ensemble, allo stesso tempo “prigionieri” di un ritmo di lavoro assai impegnativo – «siamo una macchina da guerra», dice appunto Luca Nucera – e, allo stesso tempo, principi, in quanto inseriti in un contesto nel quale godono di una reale ed effettiva preminenza e centralità – lo spiega bene Paola Donati, direttore della Fondazione Teatro Due.
Un contesto dove, testardamente e seppur inciampando inevitabilmente in dissidi e personalismi, si lavora tuttora nella convinzione che il teatro sia, forse, l’«unico spazio civile rimasto». E, in questi tempi bui di chiusura delle sale e, al contrario, totale e indiscriminata apertura di canali informativi e comunicativi digitali, la vostra cronista teatrale avverte un tetro brivido lungo la schiena…
PRINCIPI E PRIGIONIERI
di Amedeo Guarnieri e Lucrezia Le Moli Munck
sceneggiatura Amedeo Guarnieri
voce narrante, fotografia e regia Lucrezia Le Moli Munck
musica Europa Galante, Alessandro Nidi, Emanuele Nidi, The Karma Keeper
interpreti Roberto Abbati, Paolo Bocelli, Cristina Cattellani, Laura Cleri, Gigi Dall’Aglio, Paola De Crescenzo, Davide Gagliardini, Giorgio Gennari, Walter Le Moli, Luca Nucera, Tania Rocchetta, Massimiliano Sbarsi, Marcello Vazzoler, Emanuele Vezzoli
e Pina Bausch, Valerio Binasco, Fabio Biondi, Ninetto Davoli, Filippo Dini, Raffaele Esposito, Giancarlo Ilari, Fulvio Pepe, Massimo Popolizio, Elisabetta Pozzi, Peter Stein
produzione Reggio Parma Festival
produzione esecutiva Fondazione Teatro Due
Rai5, sabato 21 marzo 2020