RENZO FRANCABANDERA | Siamo tutti in uno stato di prostrazione e incertezza.
Una bolla mentale che a volte ci impedisce le più comuni attività ordinarie.
E si iniziano a fare cose senza senso interrotte dal dubbio di averne in mente altre che non si ricorda quali fossero
Poi dall’esterno arriva un suono, una sirena, una campana, che ci riporta a un concreto vissuto.
E così arriva sera, magari guardando ogni tanto dalla finestra se il mondo muove qualche passo, e impauriti dal pensiero di domani.
Nessuno deve smettere di vivere essendo ancora in vita, altrimenti la morte ci coglierebbe già morti, ove fosse…
È anche un momento in cui progressivamente alcuni egoismi vengono sconfitti, in cui per fortuna un po’ di tuttologi della minchia smettono di pontificare e la scienza e la conoscenza riprendono il loro posto autorevole.
In cui nelle guerre si dichiara il cessate il fuoco.
In cui gli stipendi dei super ricchi per la prima volta appaiono immorali.
È un momento in cui favorire questo ripensamento sul consesso umano.
Questo mi dico.
Senza smettere di tagliare carote e finocchi a rotta di collo, ma facendosi ognuno per sua parte artefice.
Di cosa?
Del domani di tutti.
Per dare coraggio a chi è ancora più impaurito e solo di noi. Di chi sta vivendo gli ultimi momenti.
Per dare una pista di atterraggio a tutta quella poesia di cui ci siamo nutriti per anni e che deve pur servire a qualcosa.
L’arte non è utile di per sé, ma se è davvero farmaco, è il momento adesso che lo dimostri in qualche modo.
E noi siamo nel laboratorio per creare le medicine del mondo di domani.
A ognuno il suo laboratorio.
A ognuno il suo fare.
Oltre le carote.
Oltre i finocchi.
Se riusciamo…