RENZO FRANCABANDERA | Come fai, perdi. Ma mica è detto. Dipende.
Sicuramente non ha perso in questi anni Pablo Solari, regista teatrale italiano (eviteremmo l’orpello anagrafico del giovane/meno giovane, “perchè in fatto d’arte non rileva”, come ebbe a dirci Giorgio Albertazzi ultra novantenne in una intervista): porterà in scena il prossimo weekend il suo nuovo spettacolo Elia Kazan. Confessione americana a Venezia per Biennale Teatro.
Non ha perso, Solari, perchè finora ha giocato bene, con passione totale, le sue carte.
Diplomato in Regia teatrale presso la Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi di Milano, nel 2016 è drammaturgo di Oreste all’interno del progetto Santa Estasi. Atridi: otto ritratti di famiglia con la regia di Antonio Latella; e con Latella resta in qualche modo legato da un filo rosso.
È fra i finalisti del bando direction under 30 all’interno dalla Biennale Teatro 2018. E poi questo debutto a due anni di distanza. Nel mezzo diverse regie, come L’indifferenza, che abbiamo anche seguito per PAC.
Adesso sembra davvero in un momento di grazia, fra creazioni scenico-musicali, lirica, prosa. Alla vigilia del debutto siamo riusciti a rubargli un’intervista.
Andrà in scena uno spettacolo dedicato ad un personaggio controverso come fu Elia Kazan, uno dei più acclamati registi di Hollywood, che, come si ricorderà, dopo una prima fase di film di impegno sociale nell’immediato secondo dopoguerra, ad inizio degli anni Cinquanta barattò la gloria con il collaborazionismo al comitato McCarthy, consegnando i nomi di amici e colleghi alla Commissione per le attività antiamericane, e denunciandoli come comunisti.
Brillante la carriera che seguì di lì a pochissimo, con grande fama (già nel 1952 ebbe la Nomination agli Oscar come miglior regista per Un tram che si chiama Desiderio, premio che vinse nel 1955 con Fronte del porto); e poi soldi e sesso, ma per sempre perseguitato dal marchio nero dell’infamia di essere sceso a compromesso. Di aver fatto un patto col diavolo, alle spalle di persone innocenti.
E di vita, arte, compromessi e scelte abbiamo parlato con il regista di questo spettacolo che vede in scena un gruppo di interpreti assai interessante: Woody Neri, Valeria Perdonò, Luca Mammoli, Irene Maiorino, Carlo Amleto Giammusso. Lo spettacolo avrà poi una tournée che inizierà a dicembre: 11-13 al Piccolo Orologio Reggio Emilia e 16-18 al Teatro Fontana, Milano le prime date.
Pablo, la Biennale di preciso che effetto ti fa in questo momento della tua vita artistica?
È sicuramente un grande privilegio e onore prenderne parte. Un palcoscenico importante come quello della Biennale è una bellissima occasione per mettersi alla prova. Sicuramente sarà un momento di grande maturazione. Aggiungo che in questo momento, post lockdown, l’idea di poter incontrare degli amici / colleghi cercando di creare qualcosa, di persona, è ossigeno puro. Qualcosa che trascende l’esigenza artistica e diventa sopravvivenza.
Dopo la pandemia, credi che il teatro sia stato un po’ spiazzato dalla Storia? Che ci sia una piccola crisi di questo linguaggio come se la realtà lo avesse superato? E se non lo credi, cosa pensi che possa dire il teatro oggi?
Il Teatro è fragile, questa è la sua grande dote e anche la sua debolezza, è fatto per esistere per poche ore, la durata di una messa in scena, poi muore. Questa è una grande lezione. Un atto di fede verso la meravigliosa limitatezza dell’essere umano. Con un tale presupposto non credo che il Teatro possa mai subire una reale “crisi”.
L’ecosistema teatrale invece sì, quello è rimasto spiazzato, ma come tutta la società, è un male? Sicuramente sì, per le tante conseguenze economiche concrete e realissime che purtroppo la quotidianità ci sbatte in faccia ogni giorno. È un bene? Sicuramente sì, artisticamente siamo in un prezioso momento di riflessione e in quanto tale non possiamo evitarlo.
Aggiungo che questa Biennale tutta italiana proposta dalla direzione artistica di Antonio Latella mi entusiasma, leggendo il cartellone vedo tanti nomi di amici e colleghi che stimo profondamente, e in un momento delicato come quello che stiamo vivendo in cui la la conflittualità e la divisione sembrano prevalere nelle relazioni interpersonali, l’idea di una scena teatrale così coesa e differente allo stesso tempo può lanciare un bellissimo segnale al pubblico prima e alle istituzioni poi.
E questo lavoro nuovo tuo, nello specifico, in che rapporto si pone con la società, che è composta dagli spettatori, dagli sguardi, che avrai dall’altra parte?
Parla di uomini, donne e ideali. Attraverso politica, teatro, cinema, famiglia e sesso. È una storia che parla di quel compromesso che una volta nella vita tutti siamo costretti ad affrontare: quella scelta per cui non c’è salvezza. Come fai, perdi.
Tu sei un predestinato, un raccomandato, un fortunato, un operaio della scena? Campi di teatro?
Un pò tutte le cose che hai elencato, la mia storia racconta che sono figlio di teatranti, quindi inevitabilmente predestinato / raccomandato. Che ho vissuto e conosco i mestieri del teatro approfonditamente, con una passione quasi nerd, e questo mi rende un operaio della scena. Nella fortuna ci credo poco, ma tengo sempre un quadrifoglio regalato da mia madre nel portafogli.
Campo prima di tutto di affetti. L’anno passato mi ha insegnato che se dovessi basare le mie giornate sulle progettualità economiche non camperei più.
Come pensi si formi ed evolva una poetica registica? Che vorresti dire al regista che sei stato e cosa al regista che sarai?
Attraverso l’esperienza e soprattutto il privilegio dell’errore, non dando mai per scontato il futuro. Nessuno può sapere “chi è” e “chi sarà”, oggi sono questo, domani sarò quell’altro. Non puoi deciderlo, devi semplicemente fare succedere le cose. È importante credo vivere in questo stato di incoscienza, in cui l’unica necessità è non prendersi troppo sul serio.
Al regista che sono stato gli direi: “Non prenderti troppo sul serio.”
Speri di fare questo mestiere ancora a lungo o ogni tanto ti annoi? Sei più animale o intellettuale?
Collegandomi alle cose già dette, il teatro non è una cosa che voglio dare per scontata. La vocazione in questo mestiere è fondamentale: “perché sei qui in questo momento della tua storia a fare questa regia / a scrivere questo testo?” Sono domande che mi faccio costantemente.
La cosa che pensi quando al buio iniziano le prove e quegli esserini chiamati attori iniziano a muoversi sul palco e tu sei solo, lì in platea…?
Non sono mai solo. Senza i miei collaboratori non avrei il coraggio di affrontare la cabina di regia. Non sarò mai abbastanza riconoscente ad Alessandro, Maddalena, Matteo, Lorenzo e Fabio, amici più che tecnici. E poi gli attori Woody, Valeria, Irene, Luca e Carlo che in questo spettacolo si sono fidati di me con un’incoscienza davvero rara.
Elia Kazan. Confessione americana
Liberamente ispirato alla vita di: Elia Kazan
Regia: Pablo Solari
Drammaturgia: Matteo Luoni
Con: Woody Neri, Valeria Perdonò, Luca Mammoli, Irene Maiorino, Carlo Amleto Giammusso
Scene e costumi: Maddalena Oriani
Design luci: Fabio Bozzetta
Design sonoro: Alessandro Levrero
Produzione: Centro Teatrale MaMiMò
Con il sostegno di: Centro di Residenza della Toscana (Armunia Castiglioncello – CapoTrave / Kilowatt Sansepolcro)
19 Settembre 2020 Ore 21:30
Teatro Piccolo Arsenale
Ingresso con biglietto
Prima assoluta: 2020, 100’