GIORGIO FRANCHI | La scena più bella di Breaking Bad – Non fare spoiler! – No, non è uno spoiler: non foss’altro perché, a mio modo di vedere, è la prima di tutta la serie.
Stagione 1, episodio 1: Walter White è dal medico che gli ha appena diagnosticato il cancro. Ha lo sguardo assente, puntato qualche centimetro sotto il bavero del suo interlocutore, l’espressione completamente imperscrutabile. «Lei ha della senape, lì, sul camice… lì», gli risponde.
Niente musiche struggenti di sottofondo. Nessun primo piano drammatico. Nessun cliché. Con un taglio spietatamente naturalistico, la scena racconta ciò che c’è spostando l’attenzione su qualcos’altro: capiamo che il professore di Albuquerque ha una malattia terribile, ed è proprio vedere che ha bisogno di concentrarsi su un dettaglio insignificante che ci fa capire quanto è grave.
Volete un’immagine di quanto duro sia stato l’impatto della Seconda Guerra Mondiale sull’Italia? Ascoltate le canzoni degli anni ’50. Motivetti semplici, inni all’amore e alla spensieratezza, tinti di un romanticismo roseo e garbato, che alle nostre orecchie suona oggi quasi ingenuo. Indipendentemente dall’età anagrafica, ascoltando Domenico Modugno la prima cosa che viene da pensare è: “tempi più semplici”. Che più semplici non erano affatto: c’era solo la necessità di dimenticare, di voltare pagina. Possiamo ragionevolmente supporre che se la trap fosse sbocciata negli anni ’50 non avrebbe riscosso troppo successo.
Il divertissement, come forma artistica, è un genere che prolifera nelle epoche più buie. I mesi di lockdown ci hanno insegnato che la distrazione è una necessità dell’essere umano. Scoperta che impone un’inversione di tendenza rispetto al dogma della contemporaneità: la necessità che il prodotto artistico o commerciale abbia un collegamento con la società. Da anni la cultura di massa si fa promotrice di messaggi politici, contro l’inquinamento, il sessismo, il razzismo, seppur solitamente in dosi omeopatiche. Il senso di colpa di chi appartiene a una società senza enormi problemi si sfoga nel bisogno di sentire di “star facendo la propria parte” sempre e comunque.
A inizio della pandemia si prospettava il boom della letteratura a tema pandemia una volta finito l’incubo: gli scaffali delle librerie pieni di titoli come La mia avventura con il Coronavirus, con chi ha preso il Covid che si lancia in autobiografie con toni da agiografia dei martiri e chi non l’ha preso che lo millanta. Potremmo invece ritrovarci catapultati in una nuova era di elogio del superficiale. I nostri cervelli atrofizzatisi per mesi nella claustrofobia delle nostre case potrebbero iniziare a reclamare a gran voce la leggerezza.
La prova che questa corrente potrebbe esistere è data dall’exploit delle scarpe della LIDL. Quando, un paio di settimane fa, la catena tedesca ha lanciato sul mercato un modello di sneakers con i colori del suo logo (opinione personale ma condivisa da molti: belle quanto l’estrazione di un molare senza anestesia), il web è esploso. Discussioni, battute, fotomontaggi della scarpa più in voga del momento che sostituisce quella di cristallo di Cenerentola, o quella che l’europarlamentare Ciocca usò per imbrattare le carte di Moscovici. Gli ottomila post sulla curva che sale o che scende, le sparate dei negazionisti e le dirette di Conte offuscati da una comunissima scarpa tricolore. Un successo che neanche chi l’ha disegnata si spiega, e che non ci si motiva se non con un bisogno di tornare a quella normalità oziosa in cui litigavamo per ogni caz… frivolezza: l’ultima volta che è capitato era febbraio, con il conflitto Morgan-Bugo a Sanremo.
La scarpa LIDL assurge così a simbolo delle istanze di una metaforica rivolta di piazza, in cui i manifestanti rivendicano il diritto alla distrazione. Se guardiamo l’etimologia, distrarre viene da distrahere, separare (separarsi dalla realtà), come divertissement viene da devertere, volgere altrove: una radice in comune con la deviazione, dal duplice significato toponomastico o morale. Non a caso, Blaise Pascal identificava nella distrazione l’ostacolo che impedisce all’uomo di dedicarsi all’introspezione che, introducendolo ai propri problemi, gli permetterebbe di risolverli ed essere felice. Se Walter White vuole curarsi, deve prima smettere di guardare la macchia di senape; e se davvero desideriamo che dopo la pandemia il mondo “non torni alla normalità perché la normalità è stata il problema”, il cambiamento non può essere offuscato da Domenico Modugno e un paio di scarpe.