RENZO FRANCABANDERA | Come se ci fossero due che fanno sesso. Entra un gruppo d’amici nella stanza, li separa e dice: “ Per le urla finali e il piacere spostiamoci in un comodissimo open space, in un palazzo di periferia, con i colleghi a guardare”. Un po’ è successo questo alla finzione di Masterchef nell’ultima puntata. Persino a chi l’ha vista con gli spezzoni messi quest’anno in rete da Sky.
Andiamo ai fatti e riflettiamo sul tempo. Sky ragiona: certo sarebbe figo fare anche con Masterchef la stessa cosa che abbiamo fatto con X-factor. Visto che successo di ascolti per la finale in diretta in chiaro?
Si, ma la finale di Masterchef non può andare in diretta per un semplice motivo: anche solo un banale riso in bianco ci mette venti minuti a cuocere e senza suscitare brividi di sorta; figuriamoci una crema dolce agrumata, con fiorellini, croccante e tappeto di basilico “un vero tocco di classe”. Roba che ci vuole un’ora solo a pensarla. La verità è che il format di Masterchef e le puntate dal montaggio selvaggio hanno il grande pregio ma anche il colossale difetto di mistificare i tempi della cucina, che sono lunghi, di passione, di attesa della lievitazione.
Quindi la diretta non si poteva fare.
Va bene, allora facciamo solo la proclamazione.
Facciamo cucinare i due, magari ci buttiamo dentro pure l’incognita di essere aiutati da qualcuno degli eliminati, arriviamo con la busta con il nome del vincitore, a loro sudano le mani, tensione alle stelle. E poi “STOOOOP!!! -urla il regista- Fermi tutti. Ci spostiamo nell’open space”.
Fra la gente normale, in una sorta di paganissima festa di piazza.
Dove però di colpo questo format ha infranto la regola su cui è costruito, l’asettica dimensione di un luogo sacro, l’inquadratura della lingua al rallenty che accarezza il labbro di chi aspetta di diventare il vincitore, o dei denti dell’arcata superiore che mordono per tensione l’angolo destro del labbro inferiore mentre Cracco morde lo scalogno profumato al sale di Scozia. E dove si costruisce finanche una finzione credibile di questi concorrenti come persone e non come personaggi. Ma il finale in diretta svela che erano personaggi, il finto della tv, fra tempi morti e inquadrature incongruenti, con la regia che va in vacca, mentre una delle partecipanti per scaricare la tensione urla, non sapendo di essere sentita da qualche milione di persone, perché il microfono del vincitore che sta abbracciando è aperto, una roba tipo: “Ce l’abbiamo fatta, vaffanculo! VAFFANCULO!” E mentre nelle edizioni precedente il perdente ha taciuto, inghiottito dal finale della fiaba, questa volta, con il velo squarciato del vero che irrompe nella finzione tv, ecco il prode Almo, militare ferito, a dichiarare che si, è stata una farsa.
Qualcuno dovrebbe spiegargli che è così dalla prima puntata. Perché volendo cercare il significato più banale del termine farsa, troverebbe che è un genere la cui struttura e trama sono basate su situazioni e personaggi stravaganti, anche se in generale “viene mantenuto un certo realismo attraverso eventi, storie e atmosfere quotidiane, ma declinate in modo grottesco e nei loro aspetti irrazionali. I temi e i personaggi possono essere di fantasia, però devono risultare credibili e verosimili!.(cit. Wikipedia). Ma questa nel nostro tempo è solo e semplicemente la tv. E in particolare i format e i reality, che non sono altro che un telenovela 2.0, con il pubblico che da casa vota, manda sms e pensa di influire addirittura sulla trama. E magari sul finale di un Beautiful dove il tuo vicino di casa sta per baciare .
Si, è una farsa. Da decenni, diciamo. Chi non ne vuole prendere consapevolezza di questa cruda realtà, questa tartare dell’esistenza, deve restare tranquillamente a prestar servizio in qualche corpo dell’arma o in una pensione di lusso per animali di piccola taglia.