GIORGIO FRANCHI | È inutile che facciate finta: vi ho sgamati. Siete tutti attori pagati, pure tu che leggi e che fai l’indifferente, pedine di un esperimento sociale perverso e sadico ordito da un’emittente senza scrupoli. Ora ne ho la certezza: l’Italia è un gigantesco set televisivo, e io sono il vostro Truman. Un’enorme candid camera, che ha richiesto la chiusura dei teatri perché fossero trovate le comparse, che ogni giorno si chiede quanto sia possibile alzare l’asticella dell’assurdità prima che l’ignaro protagonista realizzi che tutta la sua vita non è altro che una menzogna.
Questo spiegherebbe, tra le altre cose, la sottosegretaria alla cultura che non legge un libro da tre anni e il sottosegretario all’istruzione che confonde Dante e Topolino.
Ma, si sa, accanirsi sul citazionismo lascia il tempo che trova. Concentriamoci su un altro aspetto della vicenda. Che l’opera A venga confusa con l’opera B richiede sempre, indipendentemente dal livello di ignoranza di chi si sbaglia, quantomeno un minimo grado di somiglianza tra le due. Per chi non ha almeno un briciolo di passione per i fumetti Disney, questo è inconcepibile: il fumetto rientra in varie espressioni colloquiali come l’emblema dell’inesattezza, il classico “Ma l’hai letto su Topolino?”
Chi conosce la rivista in questione sa che non c’è modo di dire meno veritiero. Le storie pubblicate sull’albo sono, per tradizione, ricolme di termini ormai in disuso: la pagina Facebook Ventenni che piangono leggendo la saga di Paperon de’ Paperoni (il nome omaggia un classico Disney firmato da Don Rosa) raccoglie da anni le espressioni auliche che Topolino trasmette ai bambini. Tanghero, pecunia, turlupinare sovrabbondano nelle storie a strisce, come anche telare e gaglioffo che, per rimanere in ambito citazionistico, vengono adoperate da Pascoli e Machiavelli. Nientemeno.
Insomma, un buono strumento per farsi una cultura, ha pensato il sottosegretario Rosario Sasso senza sbagliare. L’oggetto della sua confusione è L’Inferno di Topolino, pubblicato nel 1949 con i disegni di Angelo Bioletto e i testi di Guido Martina, professore piemontese che militò nella redazione del fumetto nei suoi primi anni. A lui si deve un’ampia fetta del merito per la dovizia espressiva dei primi paperi italiani, riassumibile nell’iconica nota di biasimo di Paperino verso suo zio: «Disgustosa ostentazione di plutocratica sicumera», nella storia Paperinik il diabolico vendicatore (1969, disegni di Giovan Battista Carpi).
La parodia colloca la famiglia allargata Disney – il trio Topolino, Paperino e Pippo, accompagnati da comprimari provenienti da fumetti e cartoni dell’epoca – tra le pagine del capolavoro del poeta fiorentino, ripercorrendone fedelmente trenta canti su trentaquattro (proemio incluso). L’atmosfera del fumetto è estremamente dark, considerato che nasce come prodotto per tutte le età, con echi che più che al magico Walt riportano a Gustave Doré: ma ancor più stranianti sono le didascalie in terzine dantesche, tutte in rima e metricamente impeccabili. La vignetta incriminata riprende il canto XV, in cui un alter ego zoomorfo di Brunetto Latini conversa con Topolino sotto una pioggia di fiamme. La didascalia recita:
«Ed egli a me: se vuoi saper per quale
colpa patisco queste ardenti pene
Dirò che in vita razzolavo male
Quantunque agli altri predicassi bene»
Il finto Latini, intanto, indica al suo interlocutore un blocco di pietra su cui è inciso: «Chi si ferma è perduto, mille anni ogni minuto».
Una proprietà lessicale che va oggi scemando, in Topolino come in altri prodotti per l’infanzia (e non solo). Difficile trovare, tra libri e fumetti rivolti ai bambini del 2021, una simile panoplia di arcaismi come quelli del Martina. Il motivo è semplice: l’intrattenimento per l’infanzia, con un secolo di ritardo, vive oggi la sua fase “espressionista”: personaggi e ambientazioni vengono dal mondo visto dagli occhi di un bambino. Un cambio di paradigma interessante, che ribadisce allo stesso tempo la necessità di consegnare in altro modo un vocabolario ricco e variegato alle nuove generazioni.
Daniele Timpano legge il primo canto de L’inferno di Topolino