GIAMBATTISTA MARCHETTO e ELENA SCOLARI | Tutto è iniziato grazie all’ ispirazione della nonna, che lo invitava a darsi al teatro. E inseguendo quello spunto Giorgio Ferrara è finito davvero in Accademia, abbandonata però ben presto per seguire Luca Ronconi.
Il direttore nominato del Teatro Stabile del Veneto lancia un guanto di sfida proprio al Piccolo di Milano. E all’inizio dell’insediamento – avvenuto il 2 aprile – annuncia di voler riportare il TSV agli antichi fasti, posizionandolo nel gotha del teatro italiano e facendone un centro di relazioni produttive e culturali internazionali.
Direttore, quale sarà la sua impronta sul TSV, ci sarà una linea più orientata alle relazioni internazionali?
Il Teatro Goldoni di Venezia sarà la vetrina internazionale; il Teatro Verdi di Padova si concentrerà su produzioni e coproduzioni ma anche ospitalità nazionali; per il Teatro Del Monaco di Treviso lavorerò sulla riscoperta del repertorio musicale veneto – non troppo frequentato negli ultimi anni – e su commissioni ad autori contemporanei per tre nuove opere o pezzi musicali.
Vorrei poi creare una piattaforma tra i tre teatri per cercare di far vedere in ognuno tutti gli spettacoli che vanno in scena nei tre diversi cartelloni.
Cosa porterà con sé l’esperienza che ha fatto al Festival di Spoleto? Cercherà un posizionamento meno “locale” e di più ampio respiro?
Certo, non tralasciando l’aspetto territoriale, che fa parte del Veneto e ha il diritto di avere visibilità. La linea della vetrina internazionale è una linea che paga e vorrei che diventasse il segno fondamentale della programmazione.
Tornare a essere un Teatro Nazionale è uno degli obiettivi del suo mandato, come pensa di conciliare questo fine con l’attenzione al territorio?
C’è tanta scelta tra le compagnie che agiscono in Veneto, e ci sono la Compagnia dei giovani del TSV e gli allievi della Scuola d’Arte Drammatica. Attraverso queste formazioni cercheremo di dare visibilità al repertorio regionale e al teatro più giovane.
Ci sono relazioni internazionali già intrecciate?
Sì, con il mondo russo e quello francese stiamo già dialogando. Per esempio con Boris Yuchananov, direttore artistico dell’Electrotheatre di Mosca (il teatro in questi giorni è aperto e ospita una sua versione di Pinocchio, n.d.r.). Con il lituano Rimas Tuminas, direttore del Teatro Vachtangov svilupperemo un progetto ed è probabile che lavoreremo anche con Robert Wilson. Stiamo poi immaginando una collaborazione con Fanny Ardant, ma naturalmente anche con figure di protagonisti italiani come Serena Sinigaglia.
Ci ha parlato prima della ripartizione tra le tre sale di Venezia, Padova e Treviso, con particolare attenzione alla materia musicale, ci sarà una spinta verso la multidisciplinarietà?
Dipenderà dal budget complessivo e dal programma. A Treviso vorrei mettere in scena opere liriche contemporanee, senza trascurare il recupero del repertorio dimenticato. Lavorando sulla multidisciplinarietà sarà più facile anche coinvolgere mecenati che possano contribuire a incrementare il bilancio, avremo un ventaglio ampio e adatto a cercare appassionati di prosa ma anche di danza o di lirica, costruendo con i privati anche coprogettualità per iniziative particolari.
In questi anni lo Stabile si è mosso per musica e danza. Il teatro di figura potrà tornare ad aver rilievo riacquistando identità e forza nelle programmazioni?
Penso proprio di sì, lo ho già fatto a Spoleto. L’importante è che si tratti di operazioni di alta qualità, che siano sorprese e prime assolute. Sarebbe molto bello vedere al TSV opere prime di puppet russi, giapponesi o cinesi.
Ora i teatri sono ancora chiusi, ha un’idea forte per il rilancio al momento della riapertura?
Io sto facendo un programma che va da maggio a dicembre e lavoro facendo finta che sarà tutto aperto, come spero. Bisogna fare così, senza stare appesi al probabile. L’obiettivo del Teatro Nazionale è il mio primo pensiero: il TSV non può essere considerato un TRIC (Teatro di Rilevante Interesse Culturale, n.d.r.), deve essere riqualificato, sappiamo che dipende pure dagli algoritmi ma io mi impegnerò al massimo.
Pensa che il pubblico riprenderà subito a frequentare le sale o ci sarà bisogno di ri-sedurre gli spettatori?
Guardi, credo che gli spettatori non vedano l’ora di tornare a teatro, ci sarà una corsa liberatoria. E una cosa da tenere senz’altro presente è la risata, dobbiamo tornare con allegria.
Il progetto di regia permanente affidato a Irina Brook prevede un lavoro con i giovani basato sull’Amleto, ci può spiegare meglio cosa sarà House of us?
Sarà un laboratorio che si svolgerà ogni anno. Irina Brook starà quattro/cinque mesi a Venezia, lavorerà con i giovani della Scuola di teatro sull’esperienza degli spettatori; sarà una specie di installazione/spettacolo suddivisa in tre atti. Il lavoro prende spunto dall’Amleto shakespeariano che Irina rielaborerà secondo una sua interpretazione seguendo un percorso fatto di varie fasi. Il progetto sarà poi portato in luoghi diversi dal teatro, si tratterà di “camere” da visitare.
Ha preso questo incarico al TSV come una sfida o più come l’inserimento in una struttura già autorevole e salda?
La struttura è senz’altro potente, ha circa 60 dipendenti, tre teatri che formano il circuito. Come mi è già capitato – all’Istituto Italiano di Cultura a Parigi come a Spoleto – vengo chiamato in strutture da risollevare. Questo Teatro Stabile è importante in una regione che lo è altrettanto ma oggi risulta un po’ trasparente, quindi la sfida è riportarlo a essere Teatro Nazionale e farlo diventare un soggetto di punta nell’ambito dello spettacolo italiano ed europeo.
Alcuni anni fa lei ricordava Togliatti che raccontava le favole a lei e a suo fratello Giuliano. Quanto ha contato quel fascino narrativo nella sua scelta di lavorare nel teatro?
Non saprei, quella era una fascinazione data dal personaggio, dalla curiosità di trovarsi in quella casa e di vederlo come fosse una specie di zio. Ha invece influito la mia nonna materna, piuttosto, la quale mi ha sempre detto che io avrei dovuto fare teatro, fare l’attore. Io mi ero in effetti iscritto all’Accademia di Roma come attore ma poi è arrivato Ronconi come insegnante e mi ha detto “No, guarda lascia perdere, vieni a lavorare con me”. Ho fatto l’attore, ma soprattutto ho iniziato con la regia.
Ma ce l’ha un sogno del cassetto, in qualità di nuovo direttore del TSV?
Vorrei rendere il TSV più importante del Piccolo Teatro di Milano.